Con i ballottaggi s’è finalmente conclusa questa tornata elettorale.
Ci avreste creduto voi che uno con il faccino da sfigato come Alemanno avrebbe sconfitto il bellone imbolsito Rutelli?
Io no, non l’avrei mai creduto.
Neppure negli ultimi giorni, quando la campagna per Roma è diventata violenta e volgare come mai mi sarei atteso, chiaro indice di paura da parte dell’incumbent (sì, insomma, il bello guaglione), avrei immaginato non solo la sconfitta di cicciobello, ma addirittura un simile divario e, per di più, la chiara evidenza del fatto che decine di migliaia di elettori del PD hanno preferito votare Alemanno piuttosto che il “proprio candidato”… una cosa da fantascienza!
Comunque è finita.
In altro blog, qualche giorno fa, commentando il fatto che persino una comunità sensibile alle lusinghe sinistre come quella dei gay romani era incerta e anzi in alcuni casi palesemente a favore di Alemanno, osservavo che dallo stretto punto di vista di quella comunità, tanto non sarebbe cambiato niente: un bacchettone cattolico da un lato, e un bacchettone cattolico dall’altro.
Ma che dal punto di vista generale dei cittadini una eventuale – da me ritenuta improbabile – sconfitta del centrosinistra sarebbe stata un bene per Roma, perché a una classe oramai divenuta di parassiti avrebbe sostituito gente che, almeno nei primi anni, avrebbe fatto qualcosa di utile.
Ed è partendo da quella convinzione che vorrei proporre una riflessione che interessa anche noi padani, i milanesi in particolare e tutti quanti in generale.
Possiamo crogiolarci nell’idea dell’intrinseca capacità di buon governo del centrodestra lombardo, e ognuno può sostenere -più che altro per autostima- che i propri eletti siano migliori, ma dobbiamo essere preparati all’idea della sconfitta e dell'opposizione, prima o poi anche a Milano, anche in Lombardia.
E sarà un bene.
Forza Italia governa a Milano dal 1997, in Lombardia da ben prima.
Un periodo ininterrotto di potere con luci e ombre ma, soprattutto, ininterrotto.
Così come a Roma, a Napoli, in Emilia, in Toscana, nelle valli bergamasche, anche a Milano le poltrone del potere hanno oramai preso la forma dei sederi che da così tanti anni le occupano.
Così come in quei luoghi, il ricambio inizia a essere solo formale: cambiano i sindaci, gli assessori, i consiglieri, ma la struttura di potere resta immutata.
Un giorno ci sveglieremo ed scopriremo che i Formigoni (gran presidente, che io non ho votato, ma che è indubbiamente bravo) e le Moratti si sono trasformati in Bassolini e Rose Russe Iervoline.
Quel giorno ci chiederemo come è stato possibile, ma si tratterà di domanda oziosa: è inevitabile, è la natura delle cose a trasformare i politici in cozze abbarbicate allo scoglio.
Un tempo si raccontava di una multinazionale dell’informatica in cui, a prescindere dal loro valore, i dirigenti occupavano lo stesso posto per un massimo di cinque anni, poi cambiavano incarico: serviva a evitare le incrostazioni, le visioni conservatrici, i personalismi, chissà se era solo una leggenda o cosa vera.
Le democrazie più mature della nostra hanno da decenni incorporato tra i propri valori quello del ricambio necessario tra le generazioni politiche: a un certo punto, chi ha governato fino a quel momento se ne va, e chi gli succede è necessariamente diverso dal predecessore, per storia, cultura, vision del futuro.
Così Tony Blair segue Margareth Tatcher (Major chi?), Bill Clinton segue Ronald Reagan (di cui Bush sr. costituisce un’appendice e nulla più), Zapatero segue Aznar.
È il “ciclo quasi decennale” delle democrazie mature, che con una violenta scossa tellurica seppellisce sotto i calcinacci i potenti di ieri, per lasciare liberi i terreni all’edificazione del potere di domani, fino alla prossima scossa.
E noi?
A questo punto, poiché abbiamo visto che anche i nostri elettori sanno come risvegliare le viscere della terra e provocare quel salutare terremoto, resta una sola necessità: costruire un sistema che impedisca ai politici di abitare in case antisismiche.
Fuor di metafora, il ciclo quasi decennale è facilitato, nei sistemi in cui opera, da una struttura del potere che limita la possibilità di costruire connivenze tra la politica e la società civile.
Se la politica non può comprare il consenso dei cittadini né stabilire rapporti speciali con i poteri esterni, “neutri” o “forti” che siano, il giorno in cui arriva la scossa non ha rifugi in cui ripararsi.
Se a Napoli Totò e Peppina non avessero potuto contare su una vasta rete di complicità, in primo luogo nella classe intellettuale, la menzogna del rinascimento campano e i suoi fondali di cartone non avrebbero potuto coprire i cumuli di immondizia così a lungo.
Se a Milano, negli anni ‘80, i socialisti non avessero avuto l’illusione di essere legibus soluti, e sostanzialmente senza controllori, i golpisti in toga non avrebbero potuto perpetrare il loro crimine.
E allora, un politico che voglia essere statista, ossia che –secondo la massima degasperiana– voglia pensare alle prossime generazioni e non solo alle prossime elezioni, dovrebbe preoccuparsi di costruire una politica in cui il proprio posto sia sempre un po’ traballante, perché questo gli garantirà che – se un giorno dovesse perderlo – il proprio successore non possa eternare il proprio potere.
Se un giorno a Milano la bandiera rossa garrirà da Palazzo Marino non ne sarò affatto felice, ma se questo fosse il prezzo per garantire in futuro un sistema basato su un sano e assicurato ricambio, beh saprò sopportare.
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E' vero anche io pur nonavendo votato Alemanno, ritengo che 15 di potere ininterrotto crei un sistema di potere che diventa sempre più fine a se stesso, un sistema di potere che è anche sistema di clientele, di interessi parassitari, si subgoverni più o meno evidenti. Mi trovi d'accordo. In una democrazia normale è questo che avviene senza troppi traumi. Ma noi viviamo in una democrazia normale? Be' a vedere i festeggiamenti degli uomini di Forza Nuova e dei (Fasc)(tass)isti ieri in giro per la mia città e tutti gli altri problemi legati al prossimo presidente del consiglio, qualche dubbio mi viene.
RispondiEliminaA urne chiuse ti dico che per me elettore del PD e abitante a Roma la sconfitta di Rutelli era nell'aria, forse non in queste proporzioni, m ain ogni caso me l'aspettavo. I romani non hanno apprezzato l'uso delle istituzioni fatta come un autobus da cui si scende e si sale quando si vuole, insomma i romani hanno detto a Rutelli "Questa città non è un albergo!"
E adesso speriamo in bene per questa città.
Calamar, guarda: i fascisti vengono e se ne vanno, oggi con la mano tesa, domani col pugno chiuso, teste di cazzo che ci ammorbano il quotidiano ma che, anche grazie alle ultime elezioni, dovrebbero prossimamente puzzare un bel po’ di naftalina (oltre che di morte).
RispondiEliminaIl problema sono i tassisti, e l’idea di governare senza decidere e senza scontentare che rappresentano… li temo molto di più: ci sono più tassisti che fascisti, purtroppo.
Ti ricordi del pesto senz'aglio?
RispondiEliminaSei seduto?
C'è lo schienale?
Cacao amaro...
cos'è 'sta storia del cacao amaro???
RispondiEliminaparla, parla...
al posto dell'aglio? MA DDDAAAIII!!!
RispondiEliminaSemplice... Diciamo una 40 grammi di basilico, altrettanti pinoli, del parmigiano e poco pecorino, sale, olio.
RispondiEliminaE poi direttamente sugli spaghetti (ahimé, niente pasta fresca, non avevo tempo) un paio di pizzichi di cacao amaro, ma solo perché l'ho assaggiato prima su un pezzo di pane, e poi comunque volevo aggiungerne poco alla volta.
Il cacao toglie il dolciastro del basilico.
Certo, con l'aglio è ben altro... Ma anche così è più che commestibile.