mercoledì 13 gennaio 2010

California: il giurista repubblicano che difende le nozze gay

New York. Ci sono ragioni di destra a favore della legalizzazione del matrimonio gay.
A esporle è una delle più raffinate menti giuridiche del Partito repubblicano, Theodore Olson, il quale sta cercando di convincere una corte federale della California a cancellare il risultato del referendum dello scorso anno che ha negato il diritto alle nozze alle coppie omosessuali. La sentenza si conoscerà fra tre settimane, poi si passerà alla Corte Suprema della California, ma mai come questa volta si avverte la sensazione che i promotori della parificazione tra matrimonio etero e omosessuali possano farcela.
Il paradosso è che il merito sarebbe di un esponente di primo piano della destra repubblicana, un po’ come nel film “Avatar” gli indigeni buoni e gentili hanno bisogno di un marine per sconfiggere gli imperialisti del complesso militare industriale.
Olson non è un personaggio qualunque. E’ stato vice attorney general negli anni di Ronald Reagan, oltre che difensore del presidente ai tempi dello scandalo Iran-Contra. Nel 2000 è stato l’avvocato di George W. Bush davanti alla Corte Suprema nella sfida legale che ha chiuso il caos dei riconteggi in Florida e consegnato la presidenza al suo assistito. Bush lo ha ricompensato nominandolo solicitor general, il capo dell’Avvocatura dello stato americana. L’11 settembre del 2001, Olson ha perso la moglie Barbara, opinionista conservatrice, sul volo American Airlines che da Washington è partito per Los Angeles, ma che si è schiantato sul Pentagono.
Ted Olson è considerato un avvocato formidabile, capace di vincere quasi tutte le cause che discute davanti ai giudici della Corte Suprema. In questa occasione è affiancato dal democratico David Boies, l’avvocato di Al Gore alla Corte Suprema, suo avversario nel 2000: “Circa nove anni fa – ha detto Boies al New York Times – la gente mi ha accusato di aver fatto perdere tutto il paese. Ma questa volta Ted e io siamo dalla stessa parte”.
La copertina di Newsweek è dedicata alla battaglia californiana sul matrimonio gay e ospita un saggio di Olson, dove l’avvocato espone le argomentazioni conservatrici a favore delle nozze omosessuali: “Molti dei miei amici conservatori hanno un riflesso condizionato quando si parla di matrimonio gay. Non ha alcun senso, perché le unioni tra persone dello stesso sesso promuovono i valori che i conservatori apprezzano”.
Il matrimonio, spiega Olson che si è sposato quattro volte, è il pilastro della società. Quando funziona è un legame tra due individui che si impegnano a creare una famiglia e una partnership sociale ed economica. La società incoraggia le coppie a sposarsi perché l’impegno reciproco beneficia non solo la coppia, ma anche le loro famiglie e le comunità. Il fatto che anche persone omosessuali vogliano essere partecipi di questa vitale istituzione sociale è la prova che gli ideali conservatori godono di un consenso larghissimo. I conservatori dovrebbero esserne felici, invece che lamentarsene”.
Olson usa l’argomento fondamentale dell’esperienza americana: “Non credo che la nostra società potrà mai essere all’altezza della promessa di uguaglianza e del diritto fondamentale alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità finché non fermeremo un’odiosa discriminazione fondata sull’orientamento sessuale”.
Poi passa ad analizzare le ragioni del “no”.
La spiegazione primaria è quella della tradizione, ma secondo Olson dire che una cosa è stata sempre in un modo non significa che debba restare così, altrimenti ci sarebbero ancora le scuole segregate e il divieto di matrimonio tra bianchi e neri.
Il secondo argomento è quello della procreazione. Per Olson non ha senso, anche perché bisognerebbe vietare le nozze tra anziani, tra detenuti e tra chi non vuole avere figli. Impedire il matrimonio gay, aggiunge, non convince gli eterosessuali a fare più bambini. Allo stesso modo, legalizzarlo non scoraggia gli etero a sposarsi: “Il punto è che non c’è nessuna buona ragione per vietare il matrimonio tra partner dello stesso sesso. Ma ce ne sono parecchie a favore”.

Le parole di Del Turco a "l'Opinione"

Ottaviano Del Turco è stato intervistato da “l’Opinione”.
E ha rilasciato un’intervista moderata, priva di qualunque delle asperità che la vittima di un evento del genere avrebbe diritto a usare. È riuscito persino a non essere troppo duro né con la magistratura, né con i suoi ex “compagni” di partito, così signorile che il momento più duro è una forzatura del quotidiano, che titola “Ho sconfitto i Pm eversivi”. E, come anche Bettino Craxi dopo la rovina, continua a essere orgogliosamente di sinistra, a preferire Emma Bonino e Nichi Vendola. Si dice che è nelle avversità che si conoscono gli uomini. In questa occasione ho potuto conoscere quello che semopre più mi pare un galantuomo.


Ottaviano Del Turco, uno dei 45 leader fondatori del Pd, era governatore della Regione Abruzzo, dove era stato eletto con ampio consenso, quando alle sette e mezza del mattino del 14 luglio 2008 una fila di volanti gli piomba sulla porta di casa con un mandato d’arresto. La polizia fa irruzione e lo porta, a sirene spiegate, dietro le sbarre del carcere di Sulmona. L’operazione, definita “spettacolare”, era giustificata, come ebbe a dire il procuratore Trifuoggi, dall’esistenza di “prove schiaccianti”. Non era vero niente. Ad oggi tutte le accuse nei suoi confronti, come riconosce la stessa Procura della Repubblica di Pescara, si sono rivelate false. Destituite di fondamento. Ma la vita di un uomo politico, prima che la sua carriera, sono state stravolte.

Del Turco, ma su di lei non c’erano “prove schiaccianti”?
Io seppi della conferenza stampa dove mi mettevano alla berlina mentre ero rinchiuso in prigione a Sulmona. Non ho potuto replicare. Ho solo potuto leggere l’atto con cui venivo arrestato. Quando ho letto di prove schiaccianti, provai un sentimento di sollievo. Pensavo a un processo per direttissima, dove mi sarei difeso da accuse tanto infamanti. Invece è accaduto l’inverosimile: mi sono trovato con una proroga dopo l’altra. Questo mi fa pensare che si trattava in realtà di un bluff, un processo dove non c’era alcuna prova, e dove le indagini sono cominciate il giorno stesso dell’arresto.

C’è un problema di strapotere della magistratura in Italia?
C’è un rapporto complicato tra la politica e la magistratura, in cui quest’ultima ha potuto esercitare un abuso di potere tale da diventare talvolta eversiva nei confronti della politica stessa. Io sono stato eletto con il 60 % dei consensi dagli elettori abruzzesi, possibile che una forzatura di un solo magistrato abbia annullato quel risultato?

Come esce da questa esperienza?
E’ stato un incubo durato 17 mesi, ho rimesso in discussione una intera vita, cinque anni di commissione antimafia, venti anni di sindacato, quindici di politica attiva, una vita di cui sono sempre stato fiero... Tutto sembrava svanito all’improvviso, senza capire il perché. Ma da subito c’è stato qualcuno che non ha creduto alla versione raccontata dal mio accusatore Angelini.

Perché la Procura gli ha creduto?
E’ a sua volta indagato, Angelini, ma il gip ha ritenuto che la sua testimonianza fosse ben più importante della verità oggettiva e della mia libertà di persona onesta. Peccato non abbiano voluto valutare meglio il rapporto dei Carabinieri, settanta pagine che indicavano gli illeciti di Angelini.

Lei al mondo delle cliniche non piace troppo...
Stavamo tagliando in modo serio le spese sanitarie prodotte dalle cliniche private, come d’altronde chiedeva la finanziaria dello Stato.

E la gente, come ha reagito?
Dopo lo smarrimento iniziale ho capito di poter contare su un grande numero di simpatizzanti, di persone che mi davano fiducia. Oggi la cosa si è trasformata in un imbarazzante abbraccio corale, su Facebook 1250 ’amici’ hanno iniziato a scrivermi a qualsiasi ora del giorno. Non posso rispondere a tutti, li ringrazio da qui.

Proprio il suo partito, il Pd, le ha invece voltato le spalle.
Nel Pd c’è una cultura garantista a metà: chi appartiene alla cultura cattolica, viene difeso dalla parte cattolica. Chi proviene dalla cultura diessina, viene difeso dagli ex Ds. Chi è senza patria, come un socialista, non trova difensori. Mi ha amareggiato moltissimo constatarlo, ma il Pd nell’arco di una notte è del tutto scomparso, e da allora, malgrado le mie ragioni vengano riconosciute ormai dalla stessa Procura, mi hanno epurato da tutto.

Anche se è tra i 45 fondatori...
Sì. Adesso scrivono che i fondatori sono stati 44.

D’Alema ha detto di non avere nulla da dichiarare, su di lei. Di non essere né un procuratore né un avvocato.
Quando in Puglia hanno indagato gli amici di D’Alema, invece, è diventato insieme procuratore e avvocato.

Lei era amico di Walter Veltroni. Immagino lo abbia deluso più degli altri.
Avevo preso un abbaglio. Pensavo fosse un leader politico, invece si è dimostrato solo il capo dei vili. Ci siamo incrociati due volte, per le vie di Roma.

Cosa vi siete detti?
Abbiamo cambiato strada tutti e due. Lui per la vergogna. Io, per la vergogna che provava lui.

E adesso com’è il suo rapporto con la politica?
Amo la politica e sonno talmente orgoglioso di quel che ho fatto nella mia attività che non lascerò certo deciderne le sorti a quel tale Angelini che ha fatto sparire 100 milioni di euro dai bilanci della sua clinica. Non sarà né lui né una Procura a dire quando deve finire la mia storia politica.

Lei vota in Abruzzo. Ma chi voterebbe nel Lazio?
Emma Bonino. E voterei volentieri per Vendola, in Puglia.

Le sue ragioni oggi vengono riconosciute, torna a guardare alla vita con ottimismo?
Non ho mai letto tanto come dal 14 luglio 2008 ad oggi, non ho mai dipinto tanto come dal 14 luglio 2008 ad oggi. Quando mi hanno arrestato, me lo sono detto subito. Lo dovevo a me e alla mia famiglia: non dovevo mai smettere di lottare per affermare la verità.

L'articolo su “l'Opinione

Se questi sono dei giornalisti

Una legge fascista (nel senso che è stata approvata durante il fascismo), mi costringe a essere iscritto all’Ordine dei Giornalisti.
In ragione di questo, ricevo inutili e indesiderate comunicazioni: le e-mail della presidentessa dell’Ordine della Lombardia, spamming commerciale, una noiosa agenzia di stampa dei giornalisti.

Ed è quest’ultima che oggi mi ha gettato (poco a dire il vero, vista la mia opinione sulla categoria) nello sconforto.
La rivista telematica di giornalismo e comunicazione “Agenda del giornalista informa” pubblica oggi un suo inattualissimo lancio dal titolo Travaglio-Previti, condanna annullata in appello.

Scrive, l* sventurat* “giornalista”:
…La Corte d’appello di Roma ha annullato la condanna inflitta dal Tribunale al cronista torinese lo scorso anno. Il secondo round se lo aggiudica, così, il collaboratore di Michele Santoro ad “Annozero”, dopo che in primo grado era stato condannato alla pena detentiva di otto mesi per aver diffamato il braccio destro di Berlusconi in un articolo comparso sull'Espresso il 3 ottobre del 2002. Per quell'articolo era stata condannata a cinque mesi di carcere anche il direttore del settimanale, Daniela Hamaui. Anche per lei la corte d'Appello ha cancellato la pena. L'articolo incriminato, per cui Previti aveva denunciato i due giornalisti, riguardava i rapporti tra Forza Italia e la mafia. Dopo l’appello, della condanna di primo grado restano una multa di mille euro per Travaglio e di 800 per Daniela Hamaui.

Se la Corte d’Appello di Roma avesse “annullato” la condanna, avrebbe dichiarato l’innocenza di Travaglio e della Hamaui, quindi il non doversi pronunciare alcuna condanna e li avrebbe lasciati liberi da ogni conseguenza della loro condotta.
Invece la condanna di Travaglio e della Hamaui è stata confermata: ciò che i due rei hanno ottenuto è una riduzione della pena, commutata dalla detenzione in una multa, uno sconto.
Ma, dovendo essi comunque pagare una multa, ciò significa che sono stati riconosciuti colpevoli del delitto di diffamazione a mezzo stampa.


Questo non è giornalismo, questa è falsificazione dei fatti, frutto di grave ignoranza (improbabile, visto che queste norme del codice penale dovrebbero essere ben note ai giornalisti) o della deliberata volontà di coprire un proprio simile, di contribuire a diffondere una vulgata mendace, a disinformare. Se questi sono giornalisti, io sono un olimpico di salto in alto.

La COOP sei tu: chi ti può spiar di più?

Il racconto di Libero è favoloso: cassiere, dipendenti e persino sindacalisti spiati da un sistema di video e audio registrazione occulta nei punti vendita e uffici della COOP.

L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori è chiaro: “è vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori”.

Questo significa che per ogni dispositivo di controllo, persino per installare un nuovo centralino, di quelli che semplicemente tengono nella propria memoria un certo numero di chiamate in entrata e in uscita, è necessario l’accordo della Rappresentanza Sindacale Aziendale.
In COOP invece, nottetempo, avrebbero installato registratori, spie, telecamere occulte.
Non negli anni ’50, ’60, ’70 alla FIAT, ma nel primo decennio del ventunesimo secolo in una organizzazione che è la bandiera dell’imprenditoria “di sinistra”.
Se il soccorso rosso della magistratura non si “dimenticherà” di questa notitia criminis, e si ricorderà dell'obbligatorietà dell'azione penale tanto richiamata in altri casi ci sarà da divertirsi, questo sì.

l'articolo su Libero

venerdì 8 gennaio 2010

Caso Del Turco: la triste soddisfazione di avere visto lungo

Era il 14 luglio del 2008, quando scrivevo “Hanno fatto una retata, e preso Ottaviano Del Turco e un po’ di assessori e collaboratori… potrò essere smentito dai fatti, però… l’Abruzzo ha già dato: il sospetto che in procura qualcuno non abbia dimenticato i metodi del ’92 è forte
Nell’ottobre seguente scrivevo che “io non so se è innocente o meno ma, istintivamente, per la disistima che non posso negare di provare verso la nostra magistratura, per il passato specifico di quella abruzzese, per una sorta di fiducia personale che l’uomo mi ispira, non riesco a non schierarmi con Ottaviano Del Turco”.
E a dicembre osservavo che non solo “Per la seconda volta nel giro di quindici anni, il governo di una regione… è stato mandato a casa non da libere elezioni, ma dalle manette”, ma che i PM, dopo essere “andati avanti per mesi dicendo che le prove erano schiaccianti, che Del Turco era al vertice d’un sistema di corruttela eccetera…” prima s’erano trovati costretti a rilasciarlo e poi a chiedere una proroga della durata delle indagini.
Oggi “La Stampa” sembra proprio confermare i miei dubbi, sottolineando che “dal giorno degli arresti la Procura si è avvalsa per due volte della facoltà di chiedere una proroga delle indagini. In un anno e mezzo sono state disposte circa un centinaio di rogatorie internazionali alla ricerca di conti esteri o di società off-shore. Ma non un soldo è stato trovato e il pilastro dell’accusa resta, essenzialmente, la parola del «collaboratore» Vincenzo Angelini, il patron delle cliniche abruzzesi” e riportando come “nel frattempo dalle carte del processo sono spuntate alcune sorprese: la Procura - nel richiedere il rinvio a giudizio degli imputati per reati gravi come la concussione e l’associazione per delinquere - contestualmente ha dovuto depositare gli atti via via acquisiti. E sono emersi tre quattro rapporti - uno dei Carabinieri, uno della Guardia di Finanza e due della Banca d’Italia - che fino ad oggi non potevano essere conosciuti dalle parti e che sembrano andare in una direzione diversa da quella dell’accusa. In un rapporto riservato i Carabinieri avevano chiesto l’arresto di Angelini e di sua moglie e quanto alla giunta Del Turco si dimostrava che non aveva favorito le cliniche private, ma avviato invece un drastico taglio alle richieste illegittime del loro patron”.

Non gioisco affatto.
Vorrei potermi fidare di queste centinaia di migliaia di nostri dipendenti dai quali dipendono la nostra sicurezza e la nostra libertà
Ripeto l’opinione già espressa: Il problema è la natura dell’accusa nel punto di vista dei suoi rappresentanti. Appare evidente un’idea dell’accusa come il tamburo del revolver alla roulette russa, in cui il PM spera che prima o poi la pallottola si fermi in corrispondenza della canna della pistola, sicché compito del Procuratore è solo quello di far scattare il grilletto più e più volte, finché qualcosa accadrà. E così si arresta sperando in confessioni, inchieste lampo richiedono proroghe, a ogni assoluzione segue un’impugnazione, in un vortice di inefficienza il cui unico risultato sono la sfiducia o il disprezzo da parte di quei Cittadini che invece dovrebbero poter considerare tutto l’ordine giudiziario il supremo tutore delle proprie libertà.

Per superficialità ho concluso la volta scorsa “Avanti così, fatevi altro male”: la verità è che ancora di più, le vittime siamo solo noi.

giovedì 7 gennaio 2010

Elezioni regionali in Lombardia: la candidatura di Marco Cappato e la realpolitik

Gira questa idea di candidare il radicale Marco Cappato alla presidenza della Regione Lombardia.
Concordo con chi dice che si tratta di una bella candidatura, in grado di dare voce agli elettori liberali della Lombardia. Per una campagna elettorale che valorizzi posizioni autenticamente alternative a quelle del “partito unico dxcentrosx”, per una battaglia politica che attraversa le regionali e va oltre.
In poche parole, un’idea senz’altro divertente.
Ma…
Ma il PD ha già iniziato ad affiggere i manifesti per Penati.
Questo significa che, quando Penati perderà (perché perderà), Cappato diventerà il capro espiatorio della sconfitta: “sono stati i radicali a dividere l’elettorato del centrosinistra!”, urleranno compatti piddini, comunisti assortiti e quelli dell’Italia dei Valori immobiliari…
Dall’altro lato, a Roma Zingaretti sembra dichiarare che, in mancanza di nomi di maggior peso, sarebbe giusto convergere sulla candidatura della Bonino.
Sarò legato alle logiche della “vecchia” politica (che però almeno erano logiche), ma sono disposto a scommettere che “in cambio del sostegno a Emma”, Cappato dirà “grazie, ma no”.
Se poi fossi smentito, la mia firma alla candidatura ce la metto, per quel che servirà…