domenica 29 marzo 2009

Al termine della Messa, in attesa del Messia

Non ho seguito la spettacolare tre giorni di Roma.
Solo quest’oggi, a pranzo dai miei, ho visto “il più grande studio televisivo del mondo”, come lo definivano sul Giornale, ed effettivamente era colossale.
Non ho quindi ascoltato né il discorso di Fini, né quelli di Berlusconi.
Conosco abbastanza le dinamiche di assemblee e congressi per sapere che, a prescindere da quanto liberamente si intervenga sul podio, sono in realtà uno strumento di ratifica di equilibri preesistenti, e so anche che i discorsi dei leader sono, appunto, discorsi.
Di tutto il berlusconismo, anch’io trovo che, dopo il “discorso della calza”, il resto sia essenzialmente una riedizione, del resto l’uomo è uomo del fare, non uno celebre come poeta od oratore, e quindi, essendo anche un poco impegnato in questi giorni, non credo mi cercherò il filmato da vedere.
Detto questo, l’analisi di Polito mi pare interessante, e ve la propongo.
Buona lettura.

L'enigma del berlusconismo
Il Messia perenne, Quindici anni ed è sempre nuovo
di Antonio Polito

Ho rivisto anch'io, in questi giorni, il «discorso della calza». 26 gennaio '94. Non ho dovuto fare la mia brava e tardiva autocritica solo perché l'avevo già fatta da tempo: anch'io non avevo capito la portata e la durata di quella fondazione...
Quel discorso fu effettivamente un capolavoro. Puntò su due grandi assi: la rivoluzione liberale (con tutto quello che si portava appresso, la cultura del fare, la critica dei politici di professione, gli imprenditori che si occupano della cosa pubblica) e l'anticomunismo (aggiornato al dopo-Muro: la rivolta contro le tasse, lo statalismo intrusivo, il dominio culturale dell'intellettualità di sinistra nel discorso pubblico).

Fu talmente un capolavoro che niente l'ha eguagliato, nemmeno il discorso che ieri Berlusconi ha tenuto alla Fiera di Roma, e che è praticamente quello di allora, perfino letteralmente citato, solo più prolisso e con più capelli, ma in compenso davanti a una platea che, nelle sue file ordinate, ricordava molto da vicino l'esercito di terracotta dell'imperatore Qin Shi Huangdi. Berlusconi non ha mai prodotto niente di meglio del «discorso della calza», e in fin dei conti niente di diverso.

Questo ci dice che il berlusconismo resta un enigma anche quindici anni dopo la sua nascita. E sì, perché questo quasi Ventennio che tutti evocano e molti esaltano, è anche un eterno ritorno dell'uguale, e dunque è anche una storia di insuccessi. Come scrive Stefano Folli, chi è nato in quel gennaio del '94 oggi va al liceo, e tra un po' voterà. È passata una generazione. Ma, allo stesso tempo, Sergio Romano può ancora scrivere oggi, 28 marzo 2009, che gli oppositori «farebbero bene a interrogarsi sulle novità del fenomeno Berlusconi». Ora: come è possibile che si discuta ancora la novità di Berlusconi quindici anni dopo? Come fa qualcosa che ha quindici anni - e soprattutto in politica, campo in cui le novità si bruciano come fiammiferi svedesi - apparire e forse ancora essere «nuovo»?

La ragione fondamentale, a mio avviso, è che la rivoluzione berlusconiana non si è mai inverata. Non essendosi mai compiuta, ne ha salvato la carica escatologica, l'annuncio di un avvento. È qualcosa che resta nuovo perché deve ancora accadere, e da un momento all'altro accadrà, non appena il leader avrà finalmente il pieno consenso e il pieno potere che compiere quella rivoluzione richiede.
In questa attesa permanente, in questa promessa che si perpetua, c'è in parte il genio comunicativo e politico di Silvio Berlusconi: è lui che è bravo a tenerla sempre in vita. Ma c'è anche l'insuccesso di Berlusconi. Perché solo se le cose che lui predica da quindici anni non si sono ancora realizzate, si può ancora sperare e desiderare che si realizzino. In quindici anni la Thatcher aveva rivoltato la Gran Bretagna come un calzino, ed era pronta per il viale del tramonto. In quindici anni Kohl aveva fatto di due Germanie una, cambiando la storia dell'Europa, ed era pronto per l'oblio in cui ancora vive. In quindici anni Berlusconi è invece rimasto il Messia di quindici anni fa, il miracolo di cui ancora si aspetta il compimento. Per questo è ancora il «nuovo», nella politica italiana. In gran parte perché le promesse di quindici anni fa sono ancora tutte da realizzarsi.

Faccio due brevi esempi. Il primo è la rivoluzione liberale in economia. Meno tasse e più efficienza, il mutamento profondo della struttura produttiva del Paese. Ebbene: dal biennio Amato-Ciampi l'Italia non è cambiata poi molto da questo punto di vista. La pressione fiscale complessiva aumenta e cala di uno-due decimali, di governo in governo, ma resta tra le più alte del mondo libero. L'Italia è ancora un Paese in cui le banche e le industrie vanno aiutate, e il fatto che oggi lo facciano anche gli altri per via della crisi non toglie che il nostro Pil continua a crescere meno degli altri in tempi di vacche grasse e a decrescere più degli altri in periodi di vacche magre. La struttura produttiva del paese è ancora dipendente dalle esportazioni, invece che dal mercato interno e dal potere di spesa dei consumatori. Ma è ancora caratterizzata dalla frammentazione della micro-impresa, senza campioni capaci di innovazioni di prodotto e di processo tali da farci sperare di restare nel gruppo dei Grandi, ora che Cina, India, Brasile, Sudafrica ci insidiano il posto.

Altro esempio: la Grande Riforma istituzionale. Berlusconi si lamenta oggi, esattamente come quindici anni fa, di uno Stato inefficiente, di un Parlamento bizantino, di una architettura istituzionale che perde tempo e spreca risorse. Si capisce, e lo dirà con chiarezza domani, che sogna un sistema presidenziale. Ma non solo non ha compiuto in tutti questi anni un solo passo concreto verso il sistema di poteri che ha in mente, ma non è neanche riuscito ad emendare quelle piccole cose, come i regolamenti parlamentari, che fanno del Parlamento ciò che lui dice, un posto dove la gente scalda le sedie e spinge bottoni.
Mi si potrebbe obiettare che Berlusconi non è riuscito a fare tutte queste cose perché non ha potuto, pur volendo. In parte è vero. Un fatto che molti dimenticano, celebrando il quindicennio berlusconiano, è che in questo periodo il Cavaliere è stato al governo per poco più della metà del tempo. Più che di quindici anni, bisognerebbe parlare di sette anni e mezzo. Nove mesi alla prima legislatura, cinque anni alla seconda ma funestati dalle divisioni e dalla paralisi, un anno nella terza. Anzi, l'aspetto straordinario del dominio di Berlusconi sulla vita politica italiana sta proprio nel fatto che ha prodotto un così breve periodo di governo, che Berlusconi si sia fatto battere due volte da Prodi, e che non abbia mai governato per due legislature di seguito.

Un'altra obiezione che si potrebbe fare, e anche questa sarebbe in parte giusta, è che è difficile rivoltare l'Italia come un calzino perché l'Italia è un calzino bucato, e va prima rammendata, opera difficile e di lunga lena.

Ma sarebbe giusto ammettere che il bilancio di governo è magro anche e proprio perché il trionfo di potere è grande. Esattamente nel momento in cui Berlusconi raggiunge le più alte vette, e fonda un partito che ha l'ambizione e la possibilità di rappresentare un giorno la maggioranza assoluta degli italiani, cosa che non è mai accaduta nella storia della Repubblica, è giusto segnalare che tanta magnificenza del Principe non si è tradotta in altrettanta magnificenza del principato. L'Italia non ha vinto molte Champions in questi quindici anni, e anzi in molti campi gioca ormai in una lega minore.

Se questa analisi è corretta, ne deriverebbero delle conseguenze assai importanti per chi si oppone a Berlusconi. È infatti patetico, e talvolta un po' ridicolo, questo riconoscere oggi che Berlusconi ha interpretato al meglio il modo in cui l'Italia è cambiata, che viene da tanti nemici del Cavaliere: gente che, come Vendola, ora esagera nell'encomio dopo aver esagerato nella demonizzazione. Dicono: bisogna smettere di essere anti-berlusconiani per poter aver successo come anti-berlusconiani. Ma è una tautologia. Se continui a dire a Berlusconi che disprezza il Parlamento, pur sapendo quello che è oggi il Parlamento e quello che gli italiani pensano del Parlamento, vuol dire che non hai capito niente del berlusconismo, e allora è inutile impegnarsi in pensose autocritiche. Se continui a dire, quindici anni dopo, che Berlusconi sta lì perché ha capito la forza dei media, fai finta di essere moderno e di aver capito finalmente anche tu la forza dei media, ma non hai capito lo stesso niente, e cioè che lui non sta lì per la forza dei media ma per la forza del messaggio (inaugurare l'inceneritore di Acerra, dopo la storia dei rifiuti a Napoli, è un messaggio potentissimo, e non cambia niente che a mostrarlo sia la tv).

Se davvero la sinistra ha capito perché Berlusconi domina la scena politica italiana da quindici anni, e perché rischia di dominarla ancora a lungo, allora dovrebbe smetterla di contrastare il messaggio di Berlusconi, e concentrarsi sul governo di Berlusconi. Competere con lui su quello che va fatto, accettando che va fatto, che è un bene per il Paese, che è esattamente la ragione per cui la maggioranza degli italiani lo approva, e diventare il più convincente alfiere della sua realizzazione.

Il New Labour di Blair chiuse il ventennio conservatore quando apparve - e fu - più duro con il crimine di quanto lo fosse mai stata la destra. I new democrat di Clinton chiusero la stagione reaganiana solo quando assorbirono nel loro progetto economico quella rivoluzione, e dimostrarono agli americani di poterla proseguire con più efficacia, con più giustizia, e con più aderenza ai tempi che erano cambiati.
Oggi c'è la crisi economica che offre questa grande opportunità all'opposizione. Ma se a ogni idea di Berlusconi per fronteggiarla (prendete la manovra per rilanciare l'edilizia) si reagisce col riflesso condizionato del no, invece che con l'alternativa del come, si continua a costruire il piedistallo da cui Berlusconi potrà annunciare ancora e ancora il suo avvento, la sua novità permanente che non invecchia mai, e fornire sempre nuovi motivi agli italiani per convincerli che, se davvero vogliono che arrivi il Messia, devono prima liberarsi proprio dell'opposizione.


il Riformista

martedì 24 marzo 2009

Quando si dice "mai al governo con la porcilaia fascista"...

Dopo il maestro elementare di Predappio, relativista per eccellenza, ho sempre visto questa “qualità” (se così si può chiamare) nell’elettromedico da Cassano Magnago, che ben più di Mastella e del Cavaliere da vent’anni passeggia sotto ogni lampione che possa dargli luce.
Ma, una cosa è fare la baldracca, un’altra dare albergo a fascisti non pentiti che, anzi, fanno propaganda neofascista.



Le parole del senatore della Repubblica Borghezio non lasciano spazio a dubbi di interpretazione alcuna: sta organizzando un’infiltrazione fascista nelle istituzioni democratiche.
Sì, lo sta facendo ai danni della Francia, la qual cosa ci potrebbe pure divertire, ma non cambia di una virgola la gravità della cosa.
Dov’è l’antifascista Umberto Bossi?

Verso il regime, a 300 km/h!

Ora fa anche il capotreno… ci manca solo la battaglia del grano e una qualche guerra per conquistare il posto al sole (le spiagge di Sharm El-Sheikh non valgono), e poi il regime sarà completo!
(battute a parte: sembra incredibile ma i lavori della Milano-Roma sono finiti, Deo gratias)

foto da "il Riformista"

lunedì 23 marzo 2009

Decalogo per diventare un giornalista di successo (o un blogger carcerato)

Se trovi una bella notizia, copiala: vi ricordate il vecchietto sorpreso a rubare in un supermercato e a cui poi la gente ha portato la spesa? È uscito su tutti i giornali con tanto di seguiti e particolari toccanti e strappalacrime... peccato solo che la storia fosse inventata.

La disperazione vende:
 e ricordate sempre di porre domande di alta classe e sensibilità quali cosa ha provato nel sentirsi pugnalare? Che ne pensa della vita, ora che ha perso tutto quello che aveva? E poi, la prego, lo dica ai nostri telespettatori: è disposto a perdonare?

Informarsi e documentarsi è da sfigati: se scrivi un articolo su un argomento scientifico ma non sai nemmeno di cosa cazzo stai parlando, non preoccuparti. Basta inventare il nome di qualche eminente scienziato e a nessuno verrà mai in mente di andare a controllare se esiste davvero.

il resto continua qui

sabato 21 marzo 2009

Pubblica gogna: e pensarci un po’ prima?

Su "la Stampa" Barbara Spinelli pubblica una riflessione accorata sulla sorte dei due ragazzi romeni che, nonostante non lo abbiano evidentemente commesso, sono ancora pubblicamente associati a un ignobile stupro, grazie al fatto che gli organi di stampa insistono a mostrarceli in tutte le salse.

Giustamente la Spinelli si indigna: i due, innocenti per questo reato (che possano averne commessi altri è irrilevante, il nostro sistema penale non dovrebbe colpire "la cattiveria", ma solo i fatti) sono da oltre un mese ben ben rosolati da giornali e televisioni, affinché i loro volti restino indelebilmente metafora della vergogna della colpa.

E continua, la Spinelli, rimarcando che questo tipo di abuso a suo avviso non è perpetrato ai danni degli italiani sospetti di violenza sessuale, mentre per i romeni sarebbe diventato norma.
E cita parole ispirate, che condivido, che ricordano come «L'esperienza insegna che pratiche riservate inizialmente agli stranieri vengono poi estese a tutti», e richiama un suo collega di quel giornale, Riccardo Barenghi, che giustamente si chiede «Alla fine, quanti di noi italiani finiranno nella stessa situazione?». E cita, con Rita Bernardini. la devastante storia di Gino Girolimoni.

Tutto giusto, tutto vero, ma ce ne accorgiamo solo oggi?
Stiamo solo raccogliendo il frutto perverso della trasformazione della macchina della giustizia in una macchina da guerra, della trasformazione di ogni inchiesta in una guerra.
Una trasformazione avvenuta oltre trent'anni fa, quando lo stato borghese imbelle ha lasciato che la Magistratura prima e le forze di polizia poi si trasformassero in vendicatori, prima del proletariato oppresso, poi delle Vittime del terrorismo, poi dello Stato che soccombeva al crimine organizzato, poi della società civile contro i politici ladroni, infine dei cittadini spaventati ad arte da politici e giornali in cerca di consensi e di lettori.

E, mentre la macchina della Giustizia si trasformava in strumento della vendetta, i Diritti Civili scomparivano, la presunzione di innocenza diveniva una bestemmia, la pretesa che il Cittadino rinunciasse a ogni autodifesa per consegnarsi al suo carnefice in toga o in divisa si affermava.

Siamo arrivati al punto che di questa vergogna ce ne accorgiamo solo se riguarda due ragazzi romeni o un barista originario del Congo.

Ma la verità è che oramai il sistema ci riguarda tutti.

Io ricordo una mattina del 1983, quando un signore borghese di mezza età si ritrovò in una caserma per un'indagine contro il crimine organizzato.
Comprese subito quale meccanismo stava per stritolarlo, quando si accorse che in caserma stavano aspettando l'arrivo della stampa, per farlo sfilare in manette davanti agli obiettivi di fotografi e teleoperatori.
Quell'uomo si chiamava Enzo Tortora, questa foto non ha insegnato niente a nessuno.

Enzo Tortora, 17 giugno 1983

venerdì 20 marzo 2009

Blogger muore in carcere per quello che scriveva

"Un blogger, detenuto in Iran, è morto in carcere. Le sue critiche erano state considerati insulti verso le istituzioni."

L'Iran si conferma uno dei paesi più terribili, per chi vuole esprimere delle idee diverse da quelle di chi detiene il potere. Si sta ancora parlando, nel paese mediorientale, se stabilire o meno la pena di morte per i blogger che si azzardano a scrivere cose sgradite al governo, propagandando "corruzione, prostituzione e apostasia".

Sembra però che non ci sia molta voglia di aspettare i tempi parlamentari, infatti uno dei blogger arrestati è morto in carcere, a quanto pare per suicidio. Con un tempismo fenomenale, il governo ha rimosso il blocco su Facebook, per limitare i danni d'immagine portati dalla notizia.

Il blogger, Omidreza Misrsayafi, era stato arrestato con l'accusa di aver fatto propaganda contro lo Stato e aver insultato i rappresentanti delle istituzioni. Mirsayafi aveva scritto "Signor Khamenei sei in grado di amarmi quanto ami il figlio di Nasrallah?", riferendosi al sostegno iraniano agli Hezbolla libanesi. Una critica, piuttosto velata, che è stata più che sufficiente a finire in carcere.

Nonostante sia mal sopportato dal governo, oggi Internet è molto diffuso in Iran, tanto che il persiano è una delle lingue più usate in rete. In questo paese i blogger stanno cercando di resuscitare molte voci che sono state zittite con al chiusura di molti giornali, e il governo non ha tardato a reagire.
L'Iran è citato tra i "nemici di Internet" da Reporters Senza Frontiere, come abbiamo ricordato la settimana scorsa. L'organizzazione ha infatti commentato prontamente la notizia, sottolineando ancora lo stato d'allarme su questo e altri paesi.
Sciocca, come non potrebbe?, sapere che usare la rete per quello che è possa portare a conseguenze tanto drammatiche. Speriamo solo che queste situazioni, e il rumore che provocano, servano a tutti i governanti del mondo, affinché si prendano iniziative che difendano veramente la libertà di parola, non solo in rete, naturalmente.

da Tom's hardware

Col Cavaliere non sarebbe successo.

Il fatto che Mike Bongiorno facesse il promoter degli spettacoli del suo compare di spot sull'emittente satellitare del nemico australiano beh era senz'altro sconcertante.

Uno pensa a Bongiorno e immagina che un giorno ci sarà una grande statua in bronzo, alta almeno tre metri, in via Cinelandia 5 a Cologno Monzese, con alla base la scritta "con imperitura gratitudine, all'Uomo che col Fondatore rese possibile la nascita della TV commerciale in Italia, azionisti e collaboratori ricordano".

E potrebbe continuare a pensarlo a lungo perché il nostro è tipo riservato e i fatti suoi non li va a raccontare… a meno che non lo scoccino.
E allora, quando un'altra star di quella rete, dalla fedeltà aziendale molto meno provata, mette in discussione la sua persona, risponde.
E rivela che, semplicemente, dall'anno scorso, non è più sotto contratto con le TV del Biscione.

Ora, intendiamoci, Bongiorno ha più di ottant'anni, i suoi programmi forse non hanno più il successo d'un tempo, e lui stesso probabilmente non ha più le energie per registrare tutti i giorni.
Ma, anche se non sai cosa far fare a un uomo del genere, te lo tieni, e ti inventi qualcosa.
Gli fai fare l'ospite, lo inviti a "serate d'onore" dedicate alla storia della TV o dell'Italia del dopoguerra, gli fai fare il giurato ad Amici di Maria De Filippi, dove così ci sarebbe uno che sa cos'è lo spettacolo, ma non gli dici "arrivederci e grazie".

Se non altro perché si tratta di quel signore che, trent'anni prima – convinto senz'altro da un pacco di milioni, ma anche molto coraggioso – è stato il primo a fare il "grande salto" verso un'emittente che registrava negli scantinati, che è sempre stato molto di più di un "professionista a contratto", che ha rappresentato senza esitazioni l'azienda difendendola con tutto se stesso in ogni occasione, che rappresenta una parte fondamentale della storia di quel gruppo e, infine, perché i tuoi spettatori se lo attendono.

Invece non gli hanno rinnovato il contratto.

Col Cavaliere non sarebbe successo, evidentemente il figlio – a differenza del padre – non conosce il significato della parola gratitudine.

mercoledì 18 marzo 2009

Anch’io, del resto, a volte non ricordo dove ho messo le mie cose…

La Procura di Bologna
e i fascicoli spariti:
saltati 2.321 processi

Un normale mobile da ufficio a due ante, addossato ad un muro nella cancelleria della Procura di Bologna. A stupire è il contenuto, 2.321 fascicoli di indagine per i quali il Tribunale aveva fissato la data d'inizio del processo.
Ma invece di procedere con le citazioni a giudizio, ovvero le notifiche alle parti interessate, quei procedimenti sono stati messi sotto chiave.
Ad ingiallire fino al sopraggiungere, nella maggioranza dei casi, della morte naturale, ovvero la prescrizione.
Senza che nessun pubblico ministero sentisse la necessità di chiedere dove fosse andata a finire la sua inchiesta.
Il mobile della cancelleria rappresenta la difficoltà della magistratura a fronteggiare carichi di lavoro crescenti. Oppure, una certa incuria da parte dei titolari di quei procedimenti e dei loro superiori che non può essere spiegata soltanto con le carenze di personale amministrativo e di mezzi.
Dipende da come la si guarda. Come al solito, quando si tratta di giustizia.


Blitz

Per tutto il resto, c'è la conciergerie...

Avessi il tempo di indagare, cercherei di capire come il mio nome e il mio indirizzo possano essere finiti nel loro database… ma dubito che me ne occuperò mai.

Ho ricevuto un signorile bustone nero sul quale una mano dalla bella grafia aveva indirizzato "alla cortese attenzione del dottor Gabibbo"… all'interno un'elegante brochure, di quelle che la mia Azienda non si vergognerebbe di firmare, e una lettera personalizzata dell'Amministratore Delegato che mi proponeva un servizio del quale io, nella mia colpevole ignoranza, mai avrei sospettato l'esistenza.

"concergierie", sembra chiamarsi il servizio.
In pratica una segreteria personale che, notte e giorno tutti i giorni dell'anno, si occupa di organizzare
i viaggi più esclusivi, gli eventi più glamour, lo shopping personale, un posto in prima fila per una serata speciale, la ricerca di proprietà di pregio, i migliori sarti, la vacanza studio… ma anche una babysitter last minute o la gestione di un rinnovo del passaporto.
Una balia asciutta cui attaccarsi per liberarsi di tutte quelle incombenze che funestano l'esistenza di un (direi) alto borghese e gli impediscono di godere il meritato e lussuoso frutto dei suoi sforzi.

Come gli sia venuto in mente che io potessi avere interesse in un simile servizio mi sfugge, anche se conosco gente che probabilmente si abbonerebbe al volo. 
Non voglio fare il moralista: se sei pieno di soldi e desideri che il tuo tempo libero sia sempre occupato da eventi di qualità, che tra l’altro possono essere un eccellente strumento per far crescere il tuo business personale, il fatto che qualcuno si occupi per te di trovare il biglietto introvabile, organizzare la cena perfetta o farti passare un week end nella stessa spa frequentata da quegli happy few che sono probabilmente il tuo target può essere utile e aggiungere un bel po’ di piacevolezza alla tua vita.

Ma, sono prima di tutto decisamente poco propenso alle gozzoviglie sociali, il che esclude un bel po’ di ragioni di interesse al servizio… e poi c’è il fatto che – come giusto – tutta questa attenzione al tuo benessere non è esattamente regalata: si parte dai 1400 euro, per volare verso i 36000… all’anno.  E questo, per un micragna come me, chiude la porta a ogni possibile adesione.

lunedì 16 marzo 2009

Italia Beer Festival a Milano

Si terrà a Milano, dal 20 al 23 marzo, l’Italia Beer Festival (ex Salone della Birra Artigianale e di Qualità).
Sono in programma degustazioni (a pagamento) e carne argentina… io quasi quasi ci vado :-)
Palalido, Piazza Carlo Stuparich, Milano

Bene, ci sono andato: una immonda cagata.

sabato 14 marzo 2009

Vittime dell’AIDS: Howard Ashman

To our friend, Howard,
Who gave a mermaid her voice, and a beast his soul.
We will be forever grateful.
Howard Ashman 1950-1991

Era il 14 marzo 1991 quando Howard Ashman, "l'uomo che diede la voce a una sirena e l'anima a una bestia" moriva, a quarantuno anni, ucciso dall'AIDS.

Fu sfortunato, lui come tanti altri.
Non fece in tempo a incontrare la HAART, il multi trattamento che oggi controlla il virus e promette una vita "normale" a chi viene infettato.

Il lavoro su "la Bella e la Bestia" arrivò quando oramai Ashman era malato terminale di AIDS, una condizione che nascose a lungo persino ad Alan Menken, il suo collega di lavoro, autore con lui delle musiche di "Beauty and the Beast".
Menken ebbe a ricordare le paure di Ashman: "era terrorizzato di perdere l'opportunità di lavorare, e temeva che i suoi amici avrebbero avuto paura di lasciare i propri figli sedere sulle sue ginocchia, o di uscire a cena con lui".

L'anno seguente la Disney decise che a ritirare
"il primo Oscar dato a qualcuno perso a causa dell'AIDS" ci sarebbe stato – con Alan Menken, – l'architetto William P. Lauch, suo compagno di una vita.

Per Menken Howard Ashman "è stato il miglior librettista della nostra generazione"; la sua musica s'è spenta troppo presto.

biografia da www.glbtq.com

venerdì 13 marzo 2009

Notizie feline

Nera purtroppo, pur sentendosi bene, in realtà sta abbastanza male.

L'operazione di resezione intestinale ha rivelato un linfoma, ovviamente maligno.
Gli animali hanno una risposta alle malattie diversa dalla nostra, principalmente perché non sanno di essere malati.
Sicché dopo l'operazione Nera s'è ripresa alla grande, mostrando una vitalità e un appetito da tempo sconosciuti.
Ma il linfoma è ancora lì, e l'ecografia di questa mattina ha mostrato un linfonodo grande quanto una noce.
Ci ho pensato un po', perché la chemioterapia non è una passeggiata per gli umani ed è ancora una scommessa negli altri animali, e perché non vorrei, per l'egoismo di tenerla con me, farla soffrire un solo minuto.
Ma, da un lato l'oncologa con cui ho parlato m'è parsa sincera e sinceramente convinta del fatto che fosse un errore non provare a controllare la malattia. Dall'altro qualunque approccio prevedrebbe necessariamente un qualche trattamento farmacologico, anche solo palliativo, il cui peso in termini di stress per Nera comunque ci sarebbe.

Così ho accettato.
Una schedula di trattamento non leggerissima, ma in cui credo la parte più fastidiosa saranno non le iniezioni (che si scordano subito) quanto le prime due settimane di pastiglie (Nera capisce quando arrivo con "cattive intenzioni"), poi un richiamo al mese per sei mesi.

So che, anche se la terapia avesse successo, le prospettive comunque non sono lunghissime, ma non voglio metterla giù dura, Nera ha vissuto con me comunque già più di quanto sarebbe stata la sua attesa di vita "in natura" regalandomi quattro anni di affetto incondizionato e questo, appunto, è già stato un gran regalo.

Poi, si vedrà.

Come si suol dire, ci sono gli errori, gli errori clamorosi, e le statistiche giudiziarie.

Giustizia, in Italia arrestati ogni giorno cinque innocenti

Si chiamano tecnicamente "ordinanze di custodia cautelare". Si tratta di misure restrittive della libertà personale che vengono comminate dall'Autorità giudiziaria nella fase di un'indagine preliminare. Misure dirette all'indirizzo di soggetti accusati di aver commesso un determinato reato. Bene, stando ai dati ufficiali forniti dal ministero della Giustizia, pare che ogni giorno in Italia cinque di questi provvedimenti (che comportano l'arresto dell'indagato) finiscano per rivelarsi illegittimi.

Dal 2003 al 2007, le cause civili di risarcimento originate da queste "sbavature" del sistema giudiziario sono state 9.557. Ci riferiamo ai contenziosi arrivati a sentenza nelle Corti d'appello italiane. Una media, per l'appunto, di circa cinque persone ingiustamente arrestate ogni giorno.

Una riflessione a parte va fatta poi sui costi legati a tali errori: sempre nel periodo 2003-2007, lo Stato ha dovuto sborsare una cifra pari a 206 milioni di euro per risarcire quelle persone illegittimamente sottoposte a provvedimenti di custodia cautelare. Per un giorno trascorso ingiustamente in carcere è previsto un indennizzo di 235,83 euro. Nel caso degli arresti domiciliari, il risarcimento ammonta invece a 117,91 euro. Cifre del tutto simboliche, verrebbe da dire, che non bastano certamente a bilanciare il danno morale patito da chi finisce in manette per sbaglio. Uno sbaglio non suo, puntualizziamo…

Roberto Rizzuto per Italia Informazioni

giovedì 12 marzo 2009

Nonostante Franceschini, ragioni per rivotare il Cavaliere non ce n’è…

Povero Franceschini.

"Guida" un partito che ogni giorno perde più voti di quanti capelli restano sul guanciale del Cavaliere.

A sinistra c'ha i rossi.
A destra i di pietrini.
In giro i grilletti (quelli di Beppe Grillo).
È disperato, non sa come fare per contenere le perdite.

E allora spara cazzate a go go.

Così tante da iniziare a diventare fastidioso, lui col suo maglioncino (che per inciso, viene comunque dopo il casualwear del mostro di Arcore).

Dopo di che, purtroppo Berlusconi non farà affatto la svolta decisionista e le altre cazzate di cui farnetica il su-Dario (© Dagospia): i suoi sono solo proclami, tanto sa di non avere la forza per metterli in pratica a norma di Costituzione.

Perciò non c'è alcuna buona ragione per tornare a votarlo.

Più famiglia per tutti

La mia convinzione è che i diritti civili non faranno un solo passo avanti se messi sulle gambe della politica.
La politica, tutta, e i partiti, tutti pure loro, sono ostaggio del ricatto della Chiesa, che con una manciata di voti può – in regime di maggioritario – far vincere o perdere chi vuole.

Ed ecco che la strada obbligata è una: quella dei tribunali.

Prima che i preti rioccupassero il nostro sfortunato Paese, l'Italia ha fatto in tempo a darsi una Costituzione e ad aderire ad alcuni trattati internazionali.
Ce n'è di che far lavorare avvocati e tribunali per opporsi colpo su colpo a ogni tentativo di comprimere le libertà civili.

Questa strada è stata finalmente intrapresa dalla comunità omosessuale, che ha deciso di pretendere l'uguaglia di protezione giuridica per tutte le relazioni stabili, a prescindere dal sesso dei partecipanti e, finalmente, stanno iniziando a essere proposte le prime cause.
Sarà una guerra lunghissima. Molte di queste cause verranno bloccate poco dopo la proposizione, ma gutta cavat lapidem e, prima o poi, si arriverà davanti alla Corte Costituzionale.

Che dovrà rispondere a un semplice quesito: dove sta scritto nella nostra Costituzione che lo Stato può rifiutarsi di offrire protezione giuridica a due persone, solo perché intendono costituire una famiglia tra loro e sono dello stesso sesso?

Prima o poi, i giudici della Corte Costituzionale dovranno rispondere a questa domanda. Forse troveranno il modo di svicolare ma, alla fine, se tanti sapranno resistere in giudizio, prima o poi una risposta dovrà arrivare.


PER AMORE E PER LEGGE
Si presentano al proprio comune di residenza e chiedono di esporre le pubblicazioni di matrimonio. Sono coppie di uomini e donne dello stesso sesso, decise a percorrere la strada dei tribunali
mercoledì 11 marzo 2009 , di Il Manifesto

TORINO - Le hanno convocate da subito, dal primo grado di giudizio, ed è la prima volta. Non era mai successo. Due coppie di donne che dopo essersi viste rifiutare la pubblicazione di matrimonio civile dal Comune di residenza, avevano fatto ricorso al Tribunale. Sì, avete letto bene, stiamo parlando proprio di matrimonio, non di Pacs o Dico. Contratto in Italia, non all'estero. A Saluzzo, a giorni ci sarà la sentenza, e sotto la Mole, il 6 aprile, l'udienza davanti i giudici della settima sezione, quella che si occupa di diritto di famiglia. A Roma e a Firenze avevano, invece, respinto il ricorso e tanti saluti. Certo poi in quest'ultimo caso, nell'appello, la Corte fiorentina aveva disposto l'audizione delle parti dimostrando - seppur il reclamo sia stato rigettato - un interesse ad affrontare un tema delicato. In Piemonte, qualunque sarà l'esito, hanno deciso fin dall'inizio di discuterne nel merito. Formalmente, la legge non vieta le nozze tra persone dello stesso sesso, né la Costituzione, né il Codice civile. E' vero, ci sono ordinanze fumose che si oppongono, varie interpretazioni normative e soprattutto un senso comune difficile da scalfire. Così ventidue coppie, conviventi da tempo, da Nord a Sud, hanno deciso di mettere in gioco la loro faccia, la loro storia in questa battaglia che ha valore non solo simbolico, ma giuridico e politico. Si chiama «Affermazione civile» ed è una campagna lanciata dall'associazione radicale Certi Diritti e sostenuta dalla Rete Lenford, formata da avvocati che si occupano della diffusione del rispetto dei diritti delle persone omosessuali (il nome per esteso è «Avvocatura per i diritti Lgbt») e della loro tutela. «Visto che la strada legislativa oggi pare bloccata proviamo a percorrere quella giudiziaria» spiega Michele Poté, vicepresidente della Rete e avvocato del foro di Torino, che segue il caso delle due coppie piemontesi. «Non c'è alternativa a questa via, è troppa la sudditanza alle gerarchie cattoliche» aggiunge Enzo Cucco di Certi diritti. L'obiettivo è quello di stimolare un dibattito giuridico e provocare sentenze, che possano essere d'aiuto per arrivare a una legge che tuteli davvero i diritti delle coppie di fatto: «Se dovesse servire - sottolinea Poté - ci appelleremo fino alla Corte di Strasburgo».

Dopo Torino, anche a Venezia e a Bergamo sono state convocate le parti. Ma facciamo un passo indietro. Intorno allo scorso maggio fu lanciato un appello rivolto a coppie stabili intenzionate a sposarsi, per rivendicare il diritto dei gay e delle lesbiche al matrimonio. Non tutti nel movimento saranno stati d'accordo, ma per ora vige un tacito consenso dice Cucco: «Sì è voluto per anni giocare al ribasso, perdendo costantemente, quando invece si doveva partire dal matrimonio. E noi iniziamo da lì, senza cercare contrasti con altre componenti impegnate nella lotta». E' nata, allora, questa campagna, non di disobbedienza civile, ma di «affermazione», perché chiunque - sempre in teoria - può chiedere la pubblicazione degli atti. Gli unici «disobbedienti» sono gli avvocati che non richiedendo un onorario contrastano un loro obbligo professionale. In Italia sono ormai 44: la loro associazione l'hanno intitolata a Lenford «Steve» Harvey, un avvocato giamaicano, che difendeva i diritti delle persone sieropositive, barbaramente ucciso nel 2005 a soli 30 anni. La Rete (www.retelenford.it) è stata fondata a fine 2007 dagli avvocati Francesco Bilotta, Saveria Ricci e Antonio Rotelli e si è costituita nel gennaio dello scorso anno a Firenze con un convegno - tema le unioni tra persone dello stesso sesso - dai cui atti è stato prodotto il primo testo giuridico sulla materia. A Torino è sbarcata sul finire della scorsa primavera e oltre a Potè, hanno aderito Cesarina Manassero e Donata Brancadoro.

A Marene, paese di tremila abitanti in provincia di Cuneo, una coppia di donne si era recata in Comune per richiedere la pubblicazione degli atti di matrimonio. All'ufficio di Stato civile, dopo uno spaesamento iniziale - un copione che si è ripetuto in diverse città - hanno bocciato la loro richiesta. Utilizzando una formula che ormai è diventata classica: «E' contraria all'ordine pubblico intero». Si appella a una circolare del ministero dell'Interno (diffusa ai tempi di Amato), che però se vai a leggerle bene, come ha scritto Francesco Bilotta (uno dei fondatori della Rete Lenford, nonché ricercatore all'Università di Udine), «fa riferimento all'ordine pubblico internazionale, relativamente alla trascrizione di matrimoni celebrati all'estero». Il sindaco della cittadina, Edoardo Pelissero, sicuro della scelta e di aver rispettato ogni norma, ha constatato che nel nostro ordinamento «non esiste nulla che contempli il matrimonio tra persone dello stesso sesso». Ma, allo stesso tempo, quindi nemmeno che lo vieti. Le due donne, seguite dall'avvocato Michele Poté, hanno allora impugnato il diniego del Comune davanti al Tribunale di Saluzzo. Il 22 gennaio si è svolta l'udienza con un'inaspettata nota positiva. «Il pm - spiega il legale - a differenza di quanto è avvenuto a Firenze, non si è opposto al nostro ricorso. Ha evidenziato l'assenza di una normativa per il settore e ha fatto riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione in cui si riconoscono pari dignità e diritti a tutti. Ha, infine, sottolineato che fino a quando ci sarà una coppia discriminata, l'articolo 3 verrà violato». La decisione adesso tocca dunque ai giudici. Chissà se il comune di Marene sarà il primo a consentire il matrimonio tra omosessuali? Una piccola avanguardia in quella provincia che ai tempi della Dc era la più bianca della regione. Per ora, sugli esiti, nessuno si sbilancia. «In caso di sentenza negativa - aggiunge - ricorreremo in appello, in Cassazione ma anche in sede europea».

Cambia la società, cambiano le famiglie e il diritto italiano rimane al palo. «Mi verrebbe da dire - dice Enzo Cucco - che questo terribile ritardo sia l'estensione di un pregiudizio patologico radicato nel nostro paese. Mentre in altri stati, vedi la cattolica Spagna, hanno tradotto i cambiamenti sociali in norme giuridiche, qui non è quasi possibile parlarne». Solo qualche decennio fa, nel mondo non c'erano paesi in cui si contemplasse l'unione tra gay. Poi, in Belgio, Olanda, Spagna, Canada, Norvegia, Massachusset, Norvegia, Connecticut è successo che il diritto di matrimonio sia stato esteso alle coppie dello stesso sesso. Anche in Sud Africa, dove c'è stata una battaglia simile a quella intrapresa dalla campagna di «Affermazione civile». In Gran Bretagna, Nuova Zelanda e Germania sono, invece, state introdotte soluzioni analoghe ma con un nome diverso. «E' bastato - dicono dalla Rete Lenford - superare una convenzione linguistica e marito e moglie sono diventati semplicemente i coniugi».

Sono processi lunghi nella società, ma l'avvocatura Lgbt è pronta e ci crede all'impresa. E con l'aumento degli avvocati che partecipano alla Rete, cresce anche il numero delle coppie che si «offrono» alla causa e accolgono l'appello di Certi diritti (www.certidiritti.it). A Torino, o meglio in Piemonte, oltre alle due citate, se n'è aggiunta un'altra, sempre di donne, che ha da poco ricevuto il diniego dagli uffici comunali. E c'è, inoltre, una coppia di uomini che è intenzionata a intraprendere l'iniziativa. Tutte le persone coinvolte per ora vogliono mantenere l'anonimato, per evitare eventuali speculazioni mediatiche. Gli avvoltoi ci sono sempre e tutte le coppie sono consapevoli dell'importanza della battaglia, non vogliono fare passi falsi. Intanto, sale l'ansia per la sentenza di Saluzzo e per l'udienza di Torino, il 6 aprile, giorno importante per il Palagiustizia, contemporaneamente ci sarà l'udienza preliminare per la strage silenziosa dell'Eternit.

A Saluzzo, l´avvocatura dello Stato, che rappresentava il Comune di Marene, ha contestato l'istanza di ricorso sostenendo che «il matrimonio è un´istituzione tradizionale basata sulla diversità di sesso». Ma è proprio questa la tesi che gli avvocati della Rete rifiutano. L'articolo 29 della Costituzione riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. «Ecco non si parla del sesso dei coniugi» sottolinea Poté, che spesso si è occupato di diritti Lgbt, anche collaborando con Famiglia Arcobaleno, (associazione di genitori omosessuali). Neanche il Codice civile dice qualcosa e quindi ci si affida all'interpretazione di altre norme come quelle sulla filiazione. Non ne parlano - per dirla tutta - anche perché negli anni Quaranta non era prevedibile un matrimonio gay. Ma ora sì. «Sposarsi - conclude l'avvocato Potè - è un diritto per chi vuole garantire a sé e al compagno una tutela anche in caso di morte o di separazione». Il diritto di famiglia - riformato nel 1975 - ha già più volte ricevuto stimoli dalle sentenze. E se i tribunali spesso non fanno arrivare nemmeno i ricorsi in aula, a Torino un primo passo si è fatto. La strada è ancora lunga.

Via Gaynews

mercoledì 11 marzo 2009

Le commoventi preoccupazioni dei devastatori del panorama urbano del bel Paese

I fedeli lettori ricorderanno la prima legge del Gabibbo sugli allarmi lanciati dai sinistri:

  • quando li si sente strillare, i sinistri, su una grave minaccia che incombe sulle nostre teste (democrazia, libertà sicurezza sociale, pace), i casi sono due: o si tratta di una porcata che hanno già commesso e gli è riuscita male, oppure si tratta di una porcata che vorrebbero commettere loro, e stanno cercando di impedire agli avversari di arrivare per primi.

Questa legge è sempre valida, con più conferme sperimentali di quella di gravitazione universale, e trova una ulteriore conferma nelle lamentazioni del gotha dell'architettura italiana.


Ben scrive Vittorio Sgarbi ricordando gli scempi che questi incredibili (nel vero senso della parola) difensori del paesaggio hanno firmato.
Nel suo piccolo, l'autore di questo blog v'ha raccontato già il ferragosto del 2004 il moto di raccapriccio che un comune cittadino può provare a visitare il parto (l'aborto) di uno dei firmatari dell'appello, l'architetto Gregotti con la sua
Bicocca e, per chi non avesse voglia di andare fin lì, c'è sempre la possibilità di un giretto in piazzale Cadorna, dove la signora Aulenti ha firmato una roba da incubo, tra aghi, fili e facciate verdone che sembrano prese dagli interni di un negozio d'abbigliamento maschile degli anni '80…


Il rischio che si trasformi in una colata di cemento, forse c'è. Ma le cassandre che oggi alzano i loro lai farebbero bene solo a nascondersi.

lunedì 9 marzo 2009

sabato 7 marzo 2009

io, questa "circolare" di Brunetta, la estenderei all'impiego privato...

1. GIORNI DI MALATTIA
Non sarà più accettato il certificato medico come giustificazione di malattia. Se si riesce ad andare dal dottore si può benissimo andare anche al lavoro.
2. GIORNI LIBERI E DI FERIE
Ogni impiegato riceverà 104 giorni liberi all'anno. Si chiamano sabati e domeniche.
3. BAGNO
a. La nuova normativa prevede un massimo di 3 minuti per le necessità personali. Dopo suonerà un allarme, si aprirà la porta e verrà scattata una fotografia.
b. Dopo il secondo ritardo in bagno, la foto verrà esposta in bacheca.
4. PAUSA PRANZO
a. Gli impiegati magri riceveranno 30 minuti, perché hanno bisogno di mangiare di più per ingrassare.
b. Quelli normali riceveranno 15 minuti, per fare un pasto equilibrato e rimanere in forma.
c. Quelli in sovrappeso riceveranno 5 minuti, che sono più che sufficienti per uno slim-fast.
5. AUMENTI
Gli aumenti di stipendio vengono correlati all'abbigliamento del lavoratore:
a. Se si veste con scarpe Preda da euro 350,00 o borsa Gucci da euro 600,00, si presume che il lavoratore stia bene economicamente e quindi non abbia bisogno di un aumento.
b. Se si veste troppo poveramente, si presume che il lavoratore debba imparare ad amministrare meglio le sue finanze e quindi non sarà concesso l'aumento.
c. Se si veste normalmente vuoi dire che il lavoratore ha una retribuzione sufficiente e quindi non sarà concesso l'aumento.
6. PAUSA CAFFÈ
a. Le macchine erogatrici di caffè/the saranno abolite.
b. AI lavoratori che lo richiederanno, all'inizio dell'orario di lavoro sarà messa sulla scrivania una tazzina piena di buon caffè/the caldo che potranno bersi durante La pausa comodamente seduti sulle loro sedie senza alzarsi e perdere tempo a raggiungere il distributore.
c. Per chi volesse anche uno snack (ingordi) vi preghiamo tornare al punto 4.
7. STRAORDINARI
Gli straordinari non saranno più pagati... se decidete di restare in ufficio oltre l'orario di lavoro significa che non avete altro da fare a casa quindi dovreste solo ringraziarci. Se non ci fossimo noi vi annoiereste fuori di qui.

Vi ringraziamo per l'attenzione e Buon lavoro!
P.S.: Per aver letto questa e-mail in orario dì lavoro vi verranno trattenuti 4 minuti di stipendio

Adesso evitiamo di scaldarci, eh, si fa per scherzare! (tranne quando girano...)

venerdì 6 marzo 2009

Elogio della follia di Giuseppe Englaro e di quella di Filippo Facci

Sul signor Giuseppe (odio quando la gente viene apostrofata con vezzeggiativi o soprannomi: ognuno di noi è unico e ha diritto a veder rispettata questa sua unicità a partire dal nome) Englaro si è scatenata oramai una tempesta di volgarità d'ogni tipo, e ci sono testate specializzate nel tiro al piccione contro quest'uomo colpevole essenzialmente di avere rifiutato l'ipocrisia.

Avrebbe potuto fare quello che ogni giorno si fa in tante corsie d'ospedale: contare sulla comprensione cristiana d'un Medico e lasciare che le condizioni s'aggravassero viepiù; sarebbe bastato ridurre a dosi sub terapeutiche il Clexane che viene somministrato a chiunque è allettato di lungo termine, per sperare in una bella embolia polmonare fatale, oppure portare Eluana a casa, tanto era assistita da amorevoli suorine, non da medici.

Invece lui s'è comportato come un borghese d'un romanzo ottocentesco: s'è rivolto a un tribunale, ha chiesto che lo Stato si occupasse della cosa, senza nascondersi dietro alla diffusa omertà.

Come i folli di Erasmo da Rotterdam, che in ragione della loro follia sono dispensati dalle convenienze comuni, ha urlato quella verità che tutti fanno finta di ignorare, e nessuno glielo ha perdonato.

Ora, sul Giornale che fu di Montanelli, e che oggi è alla guida delle brigate impegnate a calpestare la figura pubblica di questo padre, è rimasta solo una voce a difendere il signor Englaro: quella di Filippo Facci. A Facci va tutta la mia ammirazione, per il suo coraggio nel difendere sempre le opinioni in cui crede contro il conformismo e l'ipocrisia, ieri su Bettino (Benedetto) Craxi, oggi su Beppino (Giuseppe) Englaro.

giovedì 5 marzo 2009

Di Pietro è come i film di 007: lo vedi e sai da subito chi sono i buoni e chi è il cattivo.

L’avvocato che tradice il proprio Cliente e “cambia casacca” per sostenere le ragioni contrarie a quelle per le quali era stato assoldato è una figura ripugnante dell’etica: è come il medico che si vende alle compagnie farmaceutiche, il confessore che racconta i tuoi peccati a “porta a porta”; tutta gente che bisognerebbe mandare in un qualche girone dantesco già da viva.

Ma per Di Pietro evidentemente l’idea che la parola data vada rispettata è una cosa strana, solo che, convinzioni personali o no, ci sono le norme, quelle norme che lui avrebbe dovuto conoscere come Avvocato, e che cercano di salvare un po’ di dignità per questa Professione.
C’è quell’articolo 7 del Codice di Deontologia, scritto in italiano per niente aulico, che persino a lui dovrebbe essere chiaro:
  • E' dovere dell'avvocato svolgere con fedeltà la propria attività professionale.
  • Costituisce infrazione disciplinare il comportamento dell'avvocato che compia consapevolmente atti contrari all'interesse del proprio assistito.
  • L'avvocato deve esercitare la sua attività anche nel rispetto dei doveri che la sua funzione gli impone verso la collettività per la salvaguardia dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato e di ogni altro potere.

Ma lui l’esame da avvocato non l’ha sostenuto, è passato direttamente dai ruoli della pubblica accusa a quelli della difesa privata, e forse non ha mai capito la differenza.

Due pagine di articoli sul "Giornale": prima e seconda

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mercoledì 4 marzo 2009

Lezioni di finanza islamica, in salsa papalina

Marco Taradash segnala una notizia segno dei tempi: sul giornale del Papa, due signore che (Rolli, perdonami!) spiegano bene quale errore sia stato concedere il voto alle donne (e che, per inciso, scrivono per la rivista “culturale” dell’Università Cattolica) scrivono la cazzata del secolo: “Dalla finanza islamica proposte e idee per l’Occidente in crisi”.

C’è da farsi cadere le palle.
Dopo avere conquistato assieme ricchezza e libertà grazie al capitalismo, ora dovremmo ispirare le nostre istituzioni finanziarie ai principi di un’economia stracciona, che genera sudditi ed esporta morti di fame.
Il capitalismo è stato la culla delle libertà moderne: senza l’accumulo di ricchezza e di potere da parte della borghesia, saremmo ancora nelle mani dei nobili e dei preti, e della loro società illiberale, fondata sulla discriminazione e sulla negazione del merito individuale.

Se non vogliamo guardare al passato, guardiamo alla differenza tra le società di capitalismo liberale, e quelle che sono andate alla ricerca di una improbabile “altra via”: nelle prime ci sono ricchezza e libertà (per quanto si faccia a gara a piangere miseria e urlare ai regimi), nelle seconde, immancabilmente miseria e paura: chiedete a chi si è goduto “dal vivo” i paradisi socialisti e comunisti o viene dal mondo islamico, e poi guardiamo il nostro portafogli, e l’elenco di garanzie civili e politiche di cui godiamo, credo che si tratterà di un facile confronto.

Circa i cattolici, beh, è semplice, nonostante gli sforzi di accreditare il contrario, il capitalismo non è figlio del cattolicesimo, proprio perché fonda un potere che ha sempre preteso di essere indipendente da quello temporale della Chiesa, che le dame di “Vita e Pensiero” non lo amino, è solo comprensibile.

L'articolo integrale su: http://papirbrigade.blogspot.com/2009/03/proposito-di-business-etico.html

lunedì 2 marzo 2009

Se alla disoccupazione si risponde coi luoghi comuni.

Il "Giornale" è impegnato a sostenere l'improponibilità dell'assegno di disoccupazione e, per farlo, oltre a riprendere le legittime e fondate posizioni del Presidente del Consiglio attacca direttamente i disoccupati, con un articolo dal titolo "No grazie, il lavoro è troppo lontano", che sostiene come una parte della responsabilità della disoccupazione sia degli stessi disoccupati, i quali "non si adattano", "non si spostano", insomma non hanno voglia di sacrificarsi e di scommettere sul proprio futuro.

Mi viene in mente la generazione che mi ha preceduto che, con la valigia di cartone, tanta fame e qualche speranza, abbandonò i propri paesini per cercare pane e futuro al nord: di quella generazione io sono discendente e pertanto tengo in massima considerazione il suo esempio.

Eppure, il discorso che si fa oggi non mi convince del tutto, e non mi convince alla luce del mio punto di vista particolare, quello del datore di lavoro.

In azienda arrivano curriculum da tutta Italia, e il primo screening che faccio, almeno io, è quello geografico.

Il leghismo non c'entra nulla, non avendo io una sola goccia di sangue padano in corpo, anche se, come diceva Montanelli, milanesi si diventa: il fatto è che gli stipendi sono uguali in tutta Italia ma i costi per vivere no, e allora offrire a un giovane la possibilità di venire a lavorare in un'azienda milanese significa dirgli che butterà i due terzi del suo stipendio solo per trovare un letto.

Quando offri a qualcuno mille euro al mese, hai voglia a pensare che sono due milioni delle vecchie lire. Vivere a Milano costa anche seicento euro solo di affitto. Certo, se vuoi puoi risparmiare, andando a vivere a quasi un'ora dalla città, e allora ne spendi quattrocento. A questo punto però quello che hai risparmiato di affitto si trasforma in altre voci di spesa come gli abbonamenti ai mezzi di trasporto extraurbani e le frequenti cene fuori casa. E tutto questo per risparmiare duecento euro.

Con quello che ti resta devi vivere: vestirti, mangiare, sostenere i consumi di base… solo se hai una grande tenacia, poche attese di qualità della vita e magari l'aiuto dei genitori puoi "investire" così.

Io li vedo i miei Collaboratori in queste condizioni, e mi chiedo cosa pensino, cosa sperino, e non sono sicuro che siano poi così felici di avere trovato un lavoro.

Certo, vedo anche ragazze e ragazzi la cui etica del lavoro è inesistente, che non hanno alcuna idea di cosa significhi la parola sacrificio o anche solo investimento nel futuro, per i quali lo stipendio è solo un mezzo per cambiare telefonino, ma vedo anche tanti bravi ragazzi, che hanno studiato e fatto – specialmente al sud – una marea di corsi di specializzazione, e ai quali poi, dovendo far quadrare i bilanci pure noi, ci troviamo a offrire un'assunzione più che regolare ma nei limiti dei CCNL, e con quei soldi troppo spesso è meglio non muoversi da casa, è triste, ma è così.

Magari qualcuno lo trovi che è disposto a farlo, ma si tratterà di Collaboratori che, anche con le migliori intenzioni, penseranno tutti i giorni al fatto che stanno lavorando per un tozzo di pane.

Alla base ci sono troppe perversioni, tanto per iniziare un sistema delle abitazioni che premia l'acquisto e scoraggia gli affitti facendo impazzire i prezzi dei pochi appartamenti disponibili, l'idea che sia sostenibile un sistema-Paese in cui una metà geografica produca e l'altra metà consumi e fornisca manodopera, l'idea che i contratti siano tutti uguali a nord come a sud.

L'idea del sussidio di disoccupazione non mi convince affatto, per come si trasformerebbe in un carrozzone inutile capace solo di impoverire ulteriormente la nostra economia, e questo è un problema enorme, forse senza risposte, che va ben oltre la disoccupazione, perché riguarda appunto anche gli occupati, il problema di un'economia che spesso sembra produrre lavoro senza ricchezza; comunque sia, però che non si possa continuare a rispondere con i luoghi comuni mi pare scontato.