mercoledì 31 dicembre 2008

L'ultimo volo dello sconfitto

Mentre CAI cambia nome in Alitalia, e tutti fanno in fretta a cercare di cancellare una brutta storia, la vecchia compagnia vende gli aeromobili che non entreranno nella flotta di quella nuova.

Si tratta prevalentemente di MD80, aerei effettivamente vecchi, che in una compagnia del nord del mondo sono troppo costosi, perché il loro consumo di carburante non è “compensato” dal basso costo di manodopera e servizi. Ma, chiaramente, non è solo un’operazione di efficienza economica.

È una svendita per cessata attività.

Alitalia, quella “vera” è morta, e il professor Fantozzi sta cercando di “realizzare”, attraverso la cessione di quel che resta, e che spesso è stata la causa del disastro.
Prima la flotta vecchia e disomogenea (tanto ci sono gli aerei di AirOne, più nuovi), poi la collezione d’arte (sì c’era pure quella), gli immobili di servizio che non hanno più senso, via via, fino all’ultima suppellettile.

Di AZ resterà il marchio, e la memoria di un altro “fallimento di Stato” quello che, giustamente, si diceva già molti decenni fa incapace di gestire la bottega d’un ciabattino.

La foto è quella di I-DAWU, un MD80 al quale sono state tolte le insegne della Compagnia, ultimo gesto di rispetto per il marchio, affinché non venisse portato fuori dai nostri confini nel segno del disastro, in partenza per Shannon, ed è stata scattata da “ottanta” un membro del forum “Aviazione Civile”, ex pilota di MD80: con la chiusura della compagnia è stato messo in cassa integrazione, e probabilmente non sarà più riassunto.
Gli mancano meno di sette anni alla pensione, godrà del trattamento di lusso dedicato dallo Stato agli ex dipendenti di questa compagnia, sette anni di cassa integrazione all’80% dello stipendio. Certo, a lui è andata “bene” rispetto a un cassintegrato dell’industria metalmeccanica, ma è una professionalità buttata via, e un costo, l’ennesimo, a carico della collettività.

Per chi volesse, c’è la relazione di Fantozzi sulle cause del fallimento, che può essere sintetizzata nelle parole riportate ieri dalle agenzie di stampa, non sarà il Vangelo, ma è abbastanza fedele:

ALITALIA: FANTOZZI, COSI' HANNO UCCISO LA COMPAGNIA DI BANDIERA
30/12/2008

30 dic. - ''Alitalia e' morta di grandeur, non per il mio taglio dei voli. Perche' si e' voluta mantenere in piedi una struttura troppo ampia rispetto alle sue possibilita' di produrre reddito. Si e' detto che a Colaninno ho dato la polpa, ma anche lui avra' il problema di riempire gli aerei''.

Il commissario straordinario, Augusto Fantozzi, fa il bilancio in una lunga intervista al settimanale 'L'Espresso' dei motivi che hanno condotto al crac dell'Alitalia e sulla vicenda che ha portato alla vendita della compagnia di bandiera alla Cai. ''Nella mia relazione sulle cause dell'insolvenza - ricorda Fantozzi- dico chiaramente che l'azienda ha sperperato''.

''Diciamo -aggiunge- che in qualsiasi settore non si stava a tirare sul prezzo. Io sono stato attaccato perche' non pagavo i fornitori: saranno pagati tutti quanti, ma intanto ho messo la situazione sotto controllo. Ho fermato la 'signorilita'''.

Quanto ai 'matrimoni' sfumati con Air France e Lufthansa, il commissario sottoliena: ''ho lungamente parlato con Spinetta e con Mayruber. Quando Cai si e' ritirata, dopo la rottura con il sindacato, ho cercato questi signori e loro mi hanno detto chiaro e tondo che con i sindacati italiani non volevano avere a che fare''. (Adnkronos).



venerdì 26 dicembre 2008

Di dov'era Gesù?

Tre motivi per dire che Gesù era irlandese:
Non si è mai sposato
Non ha mai avuto un lavoro fisso.
La sua ultima richiesta è stata qualcosa da bere.

Tre motivi per dire che Gesù era portoricano:
Si chiamava Jesus.
Aveva costantemente guai con la legge.
Sua madre non era sicura di chi fosse suo padre.

Tre motivi per dire che Gesù era greco:
Parlava gesticolando.
Beveva vino ad ogni pasto.
Lavorava nel settore delle costruzioni.

Tre motivi per dire che Gesù era nero:
Chiamava tutti “fratello”.
Non aveva un indirizzo fisso.
Nessuno lo voleva assumere.

Tre motivi per dire che Gesù era californiano:
Non si tagliava mai i capelli.
Era sempre scalzo.
Ha inventato una nuova religione.

… e finalmente la prova che Gesù era italiano:
E’ andato a lavorare nell’impresa di suo padre.
Ha vissuto in casa fino a 33 anni.
Era convinto che sua madre fosse vergine.
Sua madre era convinta che lui fosse Dio.

via: HappyBlog

martedì 23 dicembre 2008

Viaggiano a scrocco...

AUTO BLU, RECORD MONDIALE ALL'ITALIA
CON 600 MILA VETTURE

L'Italia ha conquistato un nuovo record mondiale per il proprio parco di “auto blu”, che ha raggiunto le 607.918 unità.
È quanto emerge dallo studio condotto da Contribuenti.it - Associazione Contribuenti Italiani con “Lo Sportello del Contribuente” che ha analizzato il parco auto esistente, sia proprie che in leasing, in noleggio operativo ed in noleggio lungo termine, presso lo Stato, Regioni, Province, Comuni, Municipalità, Asl, Comunità montane, Enti pubblici, Enti pubblici non economici e Società misto pubblico-private, Società per azioni a totale partecipazione pubblica.
In soli due anni, in Italia, si è passati da 574.215 a 607.918 auto, un aumento del 6% in soli due anni.
Dopo la legge del 1991 che limitava l'uso esclusivo delle auto blu ai soli Ministri, Sottosegretari e ad alcuni Direttori generali, si sono sempre proposte regolamentazioni e tagli, mai effettuati.
La classifica dei paesi che utilizzano le “auto blu” vede oggi al comando l'Italia con 607.918 seguita dagli USA con 75.000, Francia con 64.000, Regno Unito con 55.000, Germania con 53.000, Turchia con 52.000, Spagna con 42.000, Giappone, con 31.000, Grecia con 30.000 e Portogallo con 23.000.
«In Italia gli amministratori pubblici hanno superato ogni limite - sostiene Vittorio Carlomagno, presidente Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani - Basterebbe una norma che stabilisse il limite di cilindrata delle auto blu per ridurre drasticamente il parco auto, sostenere le industrie automobilistiche italiane e incrementare l'utilizzo di prestigiose utilitarie italiane come la Grande Punto».

Post scriptum: può darsi che noi si considerino “auto blu” veicoli che in altri Paesi sono qualificati diversamente, anzi ne sono sicuro, in fondo anche la mia scuola superiore aveva l'auto: una FIAT 128… ma la certezza che i nostri esagerino è inevitabile.
Post scriptum 2: l’articolo è stato pubblicato da “il Sole 24 ore”, i cui giornalisti ignorano che “blu” si scrive senza accento… mala tempora currunt.

lunedì 22 dicembre 2008

Eutanasia: anche la Bibbia dà ragione ai laici, ma sinceramente non me ne frega nulla.

Ho ricevuto stamattina una mail dal “Centro Studi Liberali” sul tema del testamento biologico.

Con qualche pazienza, c’è chi ha trovato, nel libro del Siracide (capitolo 30, versetto 10) la legittimazione dell’eutanasia.
Dice infatti l’Autore di questo testo sapienziale che è “meglio la morte che una vita amara, il riposo eterno che una malattia cronica”.

Bum! Uno potrebbe dire.
Con un endorsement così (si tratta della Bibbia CEI nella traduzione ufficiale vigente, pubblicata sul sito del Vaticano, il che qualcosa vorrà pur significare), come osano questi pretonzoli mettere in discussione la legittimità etica dell’eutanasia?

Eppure, ma della Bibbia, che ce ne frega?
Non si tratta di essere o meno credenti, ma di applicare un qualche principio logico al ricorso che a questo testo si fa.
La Bibbia non è un libro di storia, non è un libro di astronomia, non è un libro di medicina, di fisica, di matematica, di igiene o morale sessuale… non è necessariamente la parola di Dio.
È una raccolta di tradizioni orali che narrano la storia del popolo di Israele vista con gli occhi della fede di chi la interpretava come la prova dell’intervento di Dio di quel popolo, almeno questo hanno insegnato a me, ai corsi di introduzione alla teologia in Università Cattolica.

La Bibbia contiene di tutto, dalle prescrizioni sanitarie all’ordine di mettere a morte chi coltiva due essenze nello stesso campo, insomma, contiene la Speranza dell’uomo impastata a un mare di scemenze.
È figlia di una società che non è la nostra, con conoscenze tecniche e valori morali lontanissimi dai nostri, in cui si praticava la schiavitù, lo sterminio, l’assassinio per motivi religiosi: ciò che è veramente scandaloso è ricordarsene a fasi alterne, pretendendo di leggervi solo ciò che torna utile e facendo finta che il resto non ci sia.
Così si compie un’operazione scorretta dal punto di vista laico e blasfema da quello religioso: non si può dire che è o non è la parola di Dio secondo i nostri comodi.

Siamo laici: diamo alla Bibbia il suo significato di testimonianza di fede, smettiamo di trascinarla nel fango delle nostre misere liti quotidiane, e assumiamoci la responsabilità di prendere le nostre decisioni senza cercare scuse.

mercoledì 17 dicembre 2008

Mi spiace, ma non è Gianfranco Fini a dover ritrattare

E così, oggi, l'Osservatore Romano si ricorda dell'eredità fascista di Gianfranco Fini. Che coraggio politico e culturale, complimenti. Resta il fatto che, per convenienza o folle spirito di catarsi, Fini non ha mentito. Il fascismo, nella criminale strada verso il razzismo e la complicità con la Shoah ebbe tanti compagni di viaggio, che solo una ricostruzione manichea della storia può cercare di occultare.

IL SILENZIO SULLE LEGGI RAZZIALI - TUTTI ZITTI I GRANDI INTELLETTUALI ITALIANI - ABBAGNANO, LUIGI EINAUIDI, UGO OJETTI, PADRE AGOSTINO GEMELLI GIOCAVANO A CHI SE LA FACEVA PIÙ ADDOSSO – FINITA LA GUERRA, MORTO IL DUCE, HANNO SCOPERTO L’ANTIFASCISMO…

Pierluigi Battista per il "Corriere della Sera"

La «non reazione» della Chiesa, certo. Ma nel '38 e negli anni successivi non reagì, non parlò, non si oppose nessuno. Il silenzio imbarazzato o accondiscendente nei confronti delle leggi razziali promulgate dal fascismo coinvolse cattolici e laici, conservatori e progressisti. Le eccezioni furono rarissime. Gli ebrei vennero lasciati soli, come il padre di Giorgio nel Giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani, iscritto al Fascio di Ferrara, volontario nella Prima guerra mondiale.
Nel '38 il personaggio di Bassani vide improvvisamente la sua famiglia messa ai margini della società, dal partito, dalle biblioteche, dal circolo del tennis, senza che nessuno, ma proprio nessuno spendesse una parola contro la discriminazione. Vittorio Foa, che mai recriminò contro i coetanei che facevano carriera mentre lui languiva nelle prigioni fasciste, verso la fine della sua vita ruppe il suo riserbo («non so bene perché diavolo lo faccio ») e scrisse: «Non uno di quegli illustri antifascisti aveva detto una sola parola contro la cacciata degli ebrei dalle scuole, dalle università, dal lavoro, contro quella che è stata un'immonda violenza».

Dieci anni fa Giulio Andreotti si chiese perché non si fossero avviate indagini critiche «sul comportamento di senatori come Croce, De Nicola, Albertini, Frassati, che disertarono la seduta del 20 dicembre 1938 facendo passare senza opposizione la legislazione antisemita ». Vero. Ma non risultano commenti altrettanto indignati di Andreotti sulle accuse che padre Agostino Gemelli, Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, mosse nel '39 all'indirizzo degli ebrei, «popolo deicida» che «va ramingo per il mondo » a scontare le conseguenze di quell'«orribile delitto».
E a proposito di Croce fa molta impressione leggere, nel libro "L'espulsione degli ebrei dalle accademie italiane" di Annalisa Capristo, l'elenco degli intellettuali che risposero con zelo ed entusiasmo al censimento per identificare «i membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti che cesseranno di far parte di dette istituzioni». Bastava una compilazione burocratica e svogliata dei moduli, per chi non avesse avuto il coraggio di sottrarsi a quel compito infame.

E invece i Giorgio Morandi e i Gianfranco Contini, i Roberto Longhi e i Natalino Sapegno, i Nicola Abbagnano e gli Antonio Banfi, gli Alessandro Passerin d'Entrèves e i Giuseppe Siri (e centinaia con loro, illustri come loro) vollero sfoggiare «l'aggiunta di esplicite dichiarazioni antisemite sotto forma di precisazioni ai vari quesiti tenuti nella scheda». Da Luigi Einaudi, che sottolineò orgoglioso «l'appartenenza alla religione cattolica ab immemorabile», a Ugo Ojetti, che fu puntuale fino alla pignoleria: «Cattolico romano, dai dieci ai sedici anni ho servito tutte le domeniche».
Solitaria eccezione, appunto, quella di Benedetto Croce, che rispedì al mittente i moduli della vergogna con impareggiabile sarcasmo: «L'unico effetto della richiesta dichiarazione sarebbe di farmi arrossire, costringendo me, che ho per cognome CROCE, all'atto odioso e ridicolo insieme di protestare che non sono ebreo, proprio quando questa gente è perseguitata».

Era già una «persecuzione »: ci voleva poco a capirlo, malgrado i risibili rosari autoassolutori del «non sapemmo » e del «non capimmo». Mentre Alberto Moravia implorava le autorità fasciste perché gli venisse data la possibilità di continuare a scrivere sulle riviste («sono cattolico fin dalla nascita, mio padre è israelita, ma mia madre è di sangue puro »), Guido Piovene recensiva rapito Contra Judeos di Telesio Interlandi. Il giovane cattolico Gabriele De Rosa (in un «libercolo » che lo storico decenni dopo avrebbe definito «goffo e scriteriato ») inveiva contro «il focolare ebraico» in Palestina, alimentato dal popolo responsabile della crocifissione di Gesù Cristo.
Il giovane Giorgio Bocca discettava sui pericoli del piano ebraico di conquista del mondo rivelata dai (falsi) Protocolli dei savi Anziani di Sion. Giulio Carlo Argan, colto collaboratore del regime per la difesa dei beni culturali e artistici, in una corrispondenza del 1939 dagli Stati Uniti dissertava sull'influenza del «potentissimo elemento ebraico» in America. Una fornitissima appendice documentaria apparsa nella seconda edizione del «lungo viaggio» di Ruggero Zangrandi «attraverso il fascismo» descrisse nel 1962 l'ampiezza del consenso servile degli intellettuali alla politica antisemita del regime, ricostruito per la prima volta in quegli stessi anni da Renzo De Felice nella Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo.

Rosetta Loy, nel suo libro "La parola ebreo", ha definito la «Difesa della Razza» una «rivista dalla grafica aggressiva e anticonvenzionale che aveva tra i suoi finanziatori la Banca Commerciale ». Sandro Gerbi ha confermato che sul quindicinale fossero comparsi «talvolta avvisi pubblicitari della Comit, del credito Italiano, della Ras, dell'Ina e via dicendo», precisando però che quelle inserzioni erano il frutto di «chiare direttive "superiori" del Minculpop e non di scelte autonome e di dirigenti delle singole aziende». Non furono scelte «autonome». Ma furono o no, anch'esse, l'esito di una tacita «non reazione»?
«Non reagirono» gli scrittori che, come è documentato dall'Elenco di Giorgio Fabre, non si rifiutarono di firmare i manuali e le antologie scolastiche al posto degli autori ebrei il cui nome era ostracizzato e dannato. Non reagirono i docenti universitari che ereditarono le cattedre lasciate vacanti dai colleghi estromessi a causa della legislazione antisemita. Roberto Finzi ha rivelato che per Ernesto Rossi, in carcere, la cacciata dei docenti ebrei avrebbe rappresentato «una manna per tutti i candidati che si affolleranno ora ai concorsi». Rossi non si sbagliava: l'«affollamento » fu macroscopico, corale, macchiato solo da qualche residuale caso di coscienza.
Un capitolo controverso di viltà collettiva che faticherà a chiudersi anche nell'Italia democratica. Alberto Cavaglion ha ricordato che la cattedra di letteratura italiana sottratta ad Attilio Momigliano sotto l'effetto delle leggi razziali «dopo la fine della guerra sarà sdoppiata perché fosse restituita a chi era stato illegittimamente cacciato, ma anche per non scomodare chi al suo posto era tranquillamente subentrato».
Chi, in altre parole, non aveva «reagito» nel '38 e negli anni successivi non perderà la cattedra. E del resto le leggi razziali saranno completamente e radicalmente soppresse solo nel 1947, con una lentezza che forse tradì il turbamento per non aver saputo contrastare, coralmente e individualmente, l'abiezione della legislazione antiebraica. La vergogna per non aver «reagito»: con poche, ammirevoli, sporadiche eccezioni.

lunedì 15 dicembre 2008

Inchiesta Del Turco: più in basso di così c'è solo da scavare

Appare oggi sul Corriere della Sera un articolo di Pierluigi Battista sul caso Del Turco (qui via Legno Storto).
La sintesi dell’articolo è semplice semplice: hanno arrestato Del Turco con fanfara e sirene, manco dovessero impedire a Osama Ibn Laden di prendere l’aereo per le Petronas Tower, sono andati avanti per mesi dicendo che le prove erano schiaccianti, che Del Turco era al vertice d’un sistema di corruttela eccetera… poi gli è toccato rilasciarlo, e adesso chiedono una proroga della durata delle indagini.

Giustamente Battista si chiede come mai prove cotanto schiaccianti richiedano una proroga delle indagini: forse le stesse si stanno estendendo fino a provare la responsabilità dell’ex governatore dell’Abruzzo nel terremoto del 1915?
A me sovvengono le parole di Scott Turow citate qualche post più sotto, con le quali Turow loda il procuratore federale dell’Illinois per la sua “volontà quasi ossessiva di fissare gli elementi probatori prima di avanzare le accuse”, e ricorda come tale procuratore “non è abituato ad utilizzare il sistema giudiziario per vanificare l´operato delle altre istituzioni democratiche”, esattamente il metodo abruzzese.
Per la seconda volta nel giro di quindici anni, il governo di una regione, espressione costituzionale della sovranità dei cittadini di quel luogo (“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”) è stato mandato a casa non da libere elezioni, ma dalle manette.
La prima volta la pubblica accusa ha raggranellato una ben magra figura.
La seconda, almeno finora, non sta andando meglio.

Il problema è la natura dell’accusa nel punto di vista dei suoi rappresentanti.
Appare evidente un’idea dell’accusa come il tamburo del revolver alla roulette russa, in cui il PM spera che prima o poi la pallottola si fermi in corrispondenza della canna della pistola, sicché compito del Procuratore è solo quello di far scattare il grilletto più e più volte, finché qualcosa accadrà.
E così si arresta sperando in confessioni, inchieste lampo richiedono proroghe, a ogni assoluzione segue un’impugnazione, in un vortice di inefficienza il cui unico risultato sono la sfiducia o il disprezzo da parte di quei Cittadini che invece dovrebbero poter considerare tutto l’ordine giudiziario il supremo tutore delle proprie libertà.
Avanti così, fatevi altro male, più in basso di così c'è solo da scavare.

sabato 13 dicembre 2008

Ciambellone soffice del gabibbo

Ingredienti:
  • 3 uova
  • 200 grammi di zucchero
  • 50 grammi di miele
  • un fondo di caffé, 30 grammi di cioccolato e farina 00 quanto basta per raggiungere i 250 grammi complessivi (volendo si può mettere qualunque ingrediente di proprio gradimento)
  • 130 g di latte
  • 130 g di olio extra vegine di oliva delicato(se il gusto dell'olio non vi esalta, si può sempre usare della panna da cucina)
  • 8 g di lievito per dolci (insomma, una bustina)
Si sbattono le uova con lo zucchero, si aggiunge l'olio e il latte, infine la farina e il lievito, continuando a fare andare le fruste. 
L'impasto viene piuttosto liquido, e deve esserlo, per cui non serve "asciugarlo" con altra farina.
La dose è per uno stampo a ciambella di 24 cm.
Si cuoce in forno preriscaldato a 175° per 40/45 minuti.
Che dite? non ha la forma di una ciambella?
fatevi gli affari vostri!

Qui la ricetta originale

venerdì 12 dicembre 2008

Il caso Blagojevich: 7 domande per Obama

Allora, la storia la sappiamo: negli USA c’è un sistema per cui in caso di decadenza dall’ufficio dei senatori federali questi non sono immediatamente rieletti, ma sono nominati interinalmente dal governo dello stato che rappresentano… mi sovviene che anche la signora Fletcher è diventata senatrice in tal modo in un episodio della sua infame serie TV.

Ora, sembrerebbe che il governatore dell’Illinois abbia cercato di ottenere favori in cambio della nomina del sostituto del presidente eletto Barack Hussein Obama.

La vicenda è ben imbarazzante per un presidente neo eletto nel nome del cambiamento, e si capisce che questi abbia cercato di separare se stesso dall’immagine del governatore fedifrago…

Sul brillante “Politico” (il nome del sito è tutto un programma, fa opinione politica, non pretende di essere un neutrale reporter dei fatti) appaiono alcune domande irriverenti, che scalfiscono l’abito bianco dell’angelico presidente del cambiamento.

Insomma, un po’ perché politici illibati non ce ne sono, un po’ perché la realtà appare sempre un po’ sospetta se la si guarda cercando il marcio, le dichiarazioni di Obama non hanno convinto proprio tutti e persino un suo sostenitore, il governatore democratico della Pennsylvania Ed Rendell gli ha detto in faccia che sarà pure il presidente eletto, ma ha gestito questa vicenda come un GW Bush qualsiasi…

7 domande per Obama

Le pesanti accuse contro il governatore dell’Illinois Rod Blagojevich e il responsabile del suo staff John Harris sollevano diverse domande per il presidente neoeletto USA Barack Obama – ad alcune delle quali egli ha risposto Martedì (9/12) scorso, nella sua prima conferenza stampa da quando Blagojevich è stato accusato del tentativo di vendita del suo seggio al senato.

Qui ci sono sette domande che sarebbe importante fare a Obama:

1 – “Lei ha mai comunicato direttamente o indirettamente con Blagojevich circa la sua sostituzione al senato USA?

Obama ha rilasciato una dichiarazione categorica martedì, per la quale lui non avrebbe parlato con Blagojevich circa il proprio seggio senatoriale — ma è sembrato correggersi in una maniera da suggerire che altri del suo entourage possano averlo fatto.

“Io non ho avuto contatti con il governatore o col suo ufficio e, così noi non eravamo – io non ero a conoscenza di quanto stesse accadendo" ha detto Obama.

Ancora, secondo la descrizione che gli investigatori hanno fatto delle telefonate intercettate di Blagojevich, il governatore the Illinois sembrava credere di avere un canale di comunicazione con il team di Obama.

Per esempio, Blagojevich è stato registrato mentre diceva a un rappresentante dei sindacati che Blagojevich “comprendeva… che ci fosse un emissario” per discutere dell’interesse di Valerie Jarrett – una dell’entourage di Obama - nel seggio.

Ma, a un certo punto, Blagojevich sembrava cosciente che il team di Obama non era interessato nella sua opzione preferita: la nomina della Jarrett in cambio della propria come segretario di stato alla salute, affermano gli investigatori. Come poteva saperlo?

Alla domanda in conferenza stampa se lui o qualcuno dei suoi avesse interagito con Blagojevich O il suo ufficio sulla sua sostituzione al senato, Obama ha detto che, personalmente, non l’aveva fatto.

Ma ha lasciato aperta la porta alla possibilità che qualcuno dei suoi assistenti possa averlo fatto, ed ha promesso di offrire “nei prossimi giorni” i risultati di un’indagine interna su possibili interazioni.”

Ha detto: “ciò che voglio fare è ottenere tutti i fatti su ogni contatto che può esserci stato tra l’ufficio di transizione e l’ufficio del governatore.”

Egli ha poi affermato che riteneva che nessuno del proprio staff fosse coinvolto con Blagojevich nei suoi supposti tentativi di vendere il seggio senatoriale per beneficio personale

2 – “Perché né lei né qualcuno del suo staff avete corretto il suo consigliere David Axelrod quando questi ha detto che lei aveva parlato con Blagojevich circa la sua sostituzione?”

Il mese scorso, Axelrod ha descritto senza ambiguità una conversazione tra Obama e Blagojevich sulla sua sostituzione.

“Io so che (Obama) ha parlato al governatore, e c’è un’ampia schiera di nomi, molti dei quali già emersi, e penso che abbia una buona opinione," ha detto Axelrod a un intervistatore della affiliata Fox di Chicago.

Ma poi, Axelrod ha ritrattato la sua dichiarazione – dopo che il presidente-eletto ha affermato martedì di non avere parlato con Blagojevich. Axelrod ha rilasciato una dichiarazione in cui dice che si era "sbagliato dicendo a un intervistatore il mese scorso che Obama aveva parlato direttamente con il governatore Blagojevich del proprio seggio senatoriale. Essi non lo avevano fatto allora, né mai hanno discusso l’argomento."

3. “Quando ha saputo che l’indagine che riguardava il tentativo di Blagojevich di vendere il suo seggio al senato, o dell’imminente arresto del governatore?”

Il portavoce di Obama, Robert Gibbs, ha detto che questi non ha conosciuto i dettagli delle accuse contro Blagojevich fino a martedì – lo stesso giorno in cui sono state comunicate al pubblico – e che non sapeva esattamente quando o come Obama ne fosse stato informato.

Ma almeno alcune persone hanno ricevuto delle anticipazioni: il deputato Jesse Jackson Jr. ha detto ai reporter che gli era stato comunicato lunedì notte che dagli investigatori federali che le indagini erano giunte a termine, che un arresto era imminente e che Jackson non ne era obiettivo.

4 – “Lei o qualcuno del suo entourage avete contattato l’FBI o il procuratore federale Patrick Fitzgerald circa i supposti tentativi di Blagojevich di vendere il suo seggio senatoriale al migliore offerente?”

Blagojevich sembra credere che il team di Obama fosse conscio delle – e avesse respinto – sue offerte, quando dice nella conversazione intercettata l’11 novembre con Harris che Obama non era “intenzionato a dare altro (a Blagojevich) che il proprio apprezzamento” per la scelta della Jarrett.

Se Blagojevich ha contattato qualcuno del team di Obama anche solo accennando ad uno scambio sulla nomina, ci sembrerebbe che questi sarebbero stati obbligati a riferirlo all’autorità giudiziaria.

Un rapporto da Chicago suggeriva che il possibile contatto fosse Rahm Emanuel, scelto da Obama come responsabile dello staff e potenziale canale per ogni comunicazione dall’ufficio di Blagojevich a quello di Obama. Ma l’ufficio di Emanuel office ha negato questa ipotesi.

5 – “Gli investigatori federali hanno interrogato lei o qualcuno a lei vicino nel corso delle indagini?”

Fitzgerald ha detto martedì che non avrebbe “parlato di ciò che il presidente-eletto fosse a conoscenza” ma è difficile immaginare che gli investigatori non abbiano raggiunto Obama o il suo team durante il corso delle indagini su Blagojevich e sul businessman Tony Rezko, considerato quanto l’argomento coinvolgesse Obama da vicino.

Rezko, è un ex collettore di donazioni di Obama, che è stato imputato a giugno di 16 accuse di corruzione, egli ha affermato che gli investigatori hanno fatto pressioni su di lui affinché coinvolgesse Blagojevich e Obama.

A questa domanda è stata data risposta nella conferenza stampa. Richiesto se gli investigatori federali avessero contattato luo o il suo team nel corso delle indagini, Obama ha risposto che né lui né i suoi erano stati interrogati.

6 – “Quando è stata l’ultima volta in cui lei e Blagojevich avete parlato, e di cosa?”

Obama e Blagojevich hanno entrambi partecipato al meeting della National Governors Association della scorsa settimana a Philadelphia e sono stati fotografati stringendosi le mani all’evento.

Prima del meeting, era stata riportata una dichiarazione di Blagojevich che diceva d’aver chiesto al team di transizione di Obama aiuti federali allo sviluppo di 3 miliardi di US$ nei seguenti tre anni per aiutare l’Illinois a coprire un deficit stimato in 2 miliardi.

Se Obama ha parlato con lui al telefono dall’Election Day in poi, è credibile che la conversazione possa essere stata registrata dall’FBI, che ha ottenuto lo scorso ottobre un’autorizzazione alle intercettazioni da un giudice.

7 – “S’è pentito del sostegno offerto a Blagojevich?”

Obama ha sostenuto Blagojevich nelle sue due campagne per l’elezione a governatore, ed è stato tra i suoi consiglieri chiave durante il primo mandato, nel 2002.

Durante la campagna per la rielezione del governatore nel 2006 – con la stampa che riportava le voci su un’indagine del gran giurì su supposti scambi lavoro-contributi – Obama ha lodato il governatore come un leader “che ha fatto molto per la gente dell’Illinois.”

Non sembrerebbe che questi avesse la stessa alta opinione di Obama, almeno non ultimamente, considerato che durante una conference call del 10 novembre ha apostrofato il suo vecchio alleato politico e presidente eletto con un’oscenità..

© 2008 Politico.com

L'uomo dell'anno

stavo cercando delle informazioni di cucina e ho trovato questa :-)

giovedì 11 dicembre 2008

Tra Chicago e il metodo Travaglio la distanza è più d'un oceano

Questo è il problema del comprare gli articoli dei “bei nomi” del giornalismo mondiale dalle syndication: che, siccome li paghi in anticipo, poi ti tocca pubblicarli.
Oggi, il giornalaccio pubblicava un interessante articolo di Scott Turow, che mi sarei perso se non avessi la proficua abitudine di compulsare Dagospia.
Turow, columnist per il The New York Times, autore di legal thriller ed ex procuratore federale, appare basito dall’idea che un governatore cerchi di vendere il seggio al senato dell’Unione, ma questa è, per noi lettori d’oltre oceano, la parte meno importante.
Proprio come un Di Pietro o un Travaglio qualunque infatti, Turow si lancia in lodi del procuratore che ha arrestato l’ex governatore dell’Illinois, ma leggete il perché:

“L´elemento più preoccupante è che lo sfacciato comportamento di Blagojevich pone lo stimato procuratore Patrick Fitzgerald nella poco invidiabile posizione di dover portare un caso in tribunale prima del tempo. …
I procedimenti penali di alto profilo promossi da Fitzgerald - come quello contro I. Lewis Libby, l'ex capo del personale del Vice Presidente Dick Cheney, e quello contro George Ryan, il governatore che ha preceduto Blagojevich - sono stati preparati in modo metodico, con la volontà quasi ossessiva di fissare gli elementi probatori prima di avanzare le accuse.
Inoltre, la storia di Fitzgerald dimostra che non è abituato ad utilizzare il sistema giudiziario per vanificare l´operato delle altre istituzioni democratiche.
Così, malgrado un´indagine durata oltre cinque anni, l´incriminazione di Ryan fu sospesa fino a quando il governatore, nel 2003, lasciò l´incarico; Fitzgerald, inoltre, non si oppose alla richiesta della difesa di fissare il processo per falsa testimonianza e intralcio alla giustizia in cui Libby era imputato ad un momento successivo alle elezioni di metà mandato del 2006...
Durante la conferenza stampa di martedì scorso, Fitzgerald ha lasciato intendere che l'incriminazione di Blagojevich non era nei suoi piani fino alla prossima primavera…”


Ogni commento, ogni confronto con il rito processuale e giornalistico ahimè non più ambrosiano ma oramai italiano è a dir poco inutile…

domenica 7 dicembre 2008

Cosa resterà di quegli anni ottanta

DAGO SPEAKING - PERCHÉ GLI ANNI OTTANTA FURONO LA DECADE MIGLIORE DEL NOVECENTO: DALLA CULTURA ALLA TECNOLOGIA (AL DIAVOLO L’IDEOLOGIA) - "COSÌ USCIMMO DAL TUNNEL DELLA NOSTRA GUERRA CIVILE ANNI ‘70" – CRAXI, SINISTRA CIECA E POP POLITICS…

1 - DAGO SPEAKING - PERCHÉ GLI ANNI OTTANTA FURONO LA DECADE MIGLIORE DEL NOVECENTO

Ivo Germano per Il Giornale

«Anni di cartone, di plastica, di "emme"...». C'è chi gli '80 li ha dragati a dovere e con piacere:Roberto D'Agostino, critico dell'effimero e giureconsulto del look. Tutto ebbe inizio con la lettura di un manualetto su come fare tv e... Un trentenne, dopo aver lavorato in banca per dodici anni e impiegato gran parte del proprio tempo libero a scrivere di musica e a proporre musica rock, come disc-jockey del «Titan», per ragazzi de sinistra, scoprì di farsi aggettivo e categoria di pensiero. Un decennio da cui pareva essersi accomiatato girando una pellicola preveggente sul rutilante ventennio successivo: Mutande pazze (1992).

Ma sono esistiti davvero gli anni '80, oppure sono un inutile blabla?

«Nel mondo sì. In Italia sono stati vissuti in maniera completamente diversa. Mi sono accorto degli anni '80 andando e guardando in giro per il mondo. Un viandante postmoderno alla Walter Benjamin che prendeva coscienza, in tempo reale, della reale dimensione del decennio: la tecnologia al posto dell'ideologia, cioè, il computer, il walkman e, alla fine del decennio, persino l'e-mail».

Quindi in Italia è sembrato di vivere un decennio, quando nella realtà non è stato così?
«Uscivamo da una "guerra civile" che aveva fatto 2400 morti, per motivi politici e ideologici. Beninteso: uso il termine in tono minore, ma il dopoguerra finisce con l'assassinio di Moro. Naturale e fisiologico il desiderio popolare e popolano di uscire dal tunnel, anche se non ancora codificato in popculture o poppolitics. Decisiva fu l'estate romana dell'assessore Nicolini. La gente tornava in piazza per vedersi, toccarsi, strusciarsi, cioè, per tornare a essere e sentirsi civile. Non può sapere la felicità di vedere 5000 persone ballare felici, per cui niente sarebbe stato come prima».


Dove sta il problema: politico, sociale, culturale?

«A rendere problematici gli '80 è l'eredità del leader politico che ne ha intercettato l'essenza, la speranza, la voglia di fare. Craxi è un problema irrisolto su cui scornarsi ideologicamente. Ma io mi chiedo: le polemiche odierne sul "caso" Zaleski sono o no molto più gravi delle "mazzette" intascate in quegli anni, fosse solo per la mera somma aritmetica?».

Allora gli '80 furono solamente un feticcio commerciale, mode, oggetti, consumi?
«Per nulla. Il riflusso è annunciato da John Travolta che interpreta l'icona del proletario nel più grande film sulla classe operaia, La febbre del sabato sera (1977). Un commesso che sente la febbre della "me-generation" descritta da Tom Wolfe, cioè lo shopping, il tempo della metropoli nella notte, come palcoscenico di look e immagini. L'ideologia aveva fatto bancarotta. A sancirlo, più di altri, Madonna e il suo cambiare immagine, in un vorticoso cambio di stagione, dal momento che l'immagine è ciò che vorrei essere. La verità vera è che tutto ciò infastidiva la sinistra che reagì, come adesso, stigmatizzando, giudicando, talvolta mescolando indignazione a un malinteso e esacerbato superiority complex. La sinistra nel momento in cui il look stravinceva ha perso più di un passaggio».


Qui lei anticipò la linea pubblicando «Come vivere - e bene - senza i comunisti»...
«Già. A Verona i tipografi bloccarono le rotative e all'Espresso gli girarono niente male, tanto che m'isolarono. In quel libro erano contenute minime verità: che era meglio il cattivo gusto di una revolverata. La linea non la dava più il "partito-chiesa", l'"intellettuale organico", ma il tg, più in generale, la tv. Purtroppo, il tic ideologico fu tale da rappresentare chi usciva, anche solo per inconsapevole svago, come un clone, peggio: un coglione. Con il risultato di allontanare la sinistra dal sentimento popolare e viceversa: regalando tre reti e non solo a Berlusconi».


Quindi «lookparade» a go go?

«Un giorno parlai ad Arbore di look. Non ne sapeva nulla. La musica, l'arte, la moda sono stati il sismografo del cambiamento. Questo erano gli '80. Con soggezione e doveroso rispetto: scrivere un libro,Sbucciando piselli, con Federico Zeri; presentare Achille Bonito Oliva e la Transavanguardia, parlare dell'ultimo successo editoriale autenticamente esplicitato da Il nome della rosa di Eco. Per non parlare di Kundera: mi bastò una puntata per farlo conoscere. Insomma, non poteva finire che con il crollo del muro di Berlino. E c'è ancora chi si ostina a chiamarli "anni di merda". Sarebbero di merda gli anni della rivoluzione informatica e digitale, della pubblicità, del design?».

Dagospia è il frutto o un lascito di quel decennio?
«È il prodotto degli '80. Ora che il popolo di sinistra guarda e vota la transizione dalla realtà all'Isola dei Famosi vinta da Luxuria. Certo, molti vivono tutto ciò scontando l'ombra ideologica, prima verso Craxi, ora nei confronti di Berlusconi. Ma qualsiasi anatema è un riporto ideologico. Ancor più quando la moneta corrente è "la mia verità diventa la tua fiction, il tuo reality"».

IL DIZIONARIO DEGLI ANNI OTTANTA 
Luigi Mascheroni per Il Giornale

Venti parole per un decennio, ovvero: perché gli anni Ottanta furono la decade migliore del Novecento. Rivalutazione, a priori, di un'epoca - fortunatamente irripetibile - in cui tutto andava bene.

Abbronzatura Eleganti, belli e lampadati, gli anni Ottanta sono stati i vent'anni del Novecento, la gioventù breve del secolo lungo. Immaturi e splendidi.


Amaro Ramazzotti Che poi, la «Milano da bere» non era uno spot, ma un modo di centellinare i piaceri dell'esistenza.

Aspettative Negli anni Ottanta si toccò l'apice delle aspettative accumulate dal dopoguerra in poi, perché siamo stati l'ultima generazione del '900 a essere più ricca della precedente e perché per l'ultima volta si è creduto che andando avanti il mondo sarebbe diventato migliore. Anche se presto capimmo che le rivoluzioni ci cambiano solo in peggio.

Blade Runner L'equivalente cinematografico delle Les demoiselles d'Avignon di Picasso. Rivoluzionario.

Cubo di Rubik La metafora del decennio. Come rimettere in ordine il caos che la nostra generazione si era trovata fra le mani come «regalo» dalla precedente. In media, ci abbiamo messo 35 secondi.

«Drive In» Anche, ma non solo. Ci furono pure la nascita del virtuale, la tv 24 ore su 24, l'amore al tempo delle discoteche, l'eterno presente della tecnologia, la rivoluzione dell'home computer, videogiochi a 16 bit, la leggerezza calviniana che si sostituisce al pessimismo storico dialettico. Fade To Grey dei Visage e Zoff, Gentile, Cabrini...

Duran Duran Sposerò Simon le Bon non era una speranza, ma un imperativo. Volevamo, e abbiamo avuto, tutto e subito. Non avevamo né ideali né certezze, ma se ci fossero serviti sapevamo dove comprarli.

Edonismo reaganiano Un sogno di civiltà, anche per il peggior antiamericanista.

Icone La canzone A Berlino va... bene di Garbo; le penne panna e salmone; le Burlington; il gel Tenax; gli A-ha; Miami Vice; la concorrenza; Pier Vittorio Tondelli; il buon senso; l'evasione fiscale.

Idee Molte, al posto di un'unica ideologia. Periodo di corto circuito delle idee altamente creativo, in dieci anni si è pensato tutto ciò che sarebbe stato elaborato nei venti successivi, a partire da una nuova concezione del moderno, che arrivando ovviamente dopo di noi non poteva che essere «post». Post-moderno, appunto. Qualsiasi cosa il termine voglia dire.

Indimenticabili Le avventure di Lupin III, la grande nevicata del gennaio '85, Le mille luci di New York di McInerney, la new wave italiana, il Nephenta, il Live Aid del 13 luglio 1985, la Transavanguardia, Michail Gorbaciov che annuncia il nuovo corso della perestrojka, Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio con le musiche di Philip Glass, il grunge. E soprattutto Craxi che dice no agli americani a Sigonella.

Marca Generazione a cui piaceva ostentare le etichette, ne appiccicammo una gigante con scritto «Vaffanculo» al fascismo, al comunismo, al femminismo, al capitalismo, al liberalismo, all'ecologismo e pure al pacifismo, noi che abbiamo sempre preferito gli Alphaville ai Beatles. I Want To Be Forever Young.

Moda L'importante, allora, non erano le mode, ma la moda.

Modernizzazione Non solo un televisore a testa in famiglia, ma anche un canale televisivo per ciascuno; e poi il videoregistratore per dare una forma a una memoria frammentata, un bancomat per pagare senza soldi, le lampade Uva per essere abbronzati a pezzi e ricchi integrali, le segreterie telefoniche per essere sempre presenti, la pillola trifasica per farlo sempre e comunque...

Paninari E per farla finita con le Timberland e il Moncler, va accettato il fatto che il paninarismo fu l'ultimo afflato comunitario giovanile - quando ancora i ragazzi si univano in compagnie - prima della disgregazione individualistica degli anni Novanta e della solitudine di massa dei Duemila. Wild Boys.

Plastica Dicono il disimpegno, il riflusso, la leggerezza... Semmai la moderazione, la stabilità, la concretezza. La formula perfetta, non a caso, della Democrazia cristiana.

Riflusso Semmai rivoluzione: gli anni Ottanta furono il decennio in cui si spazzarono via, indossando un bel paio di guanti da muratore di El Charro, le macerie culturali del Novecento.

Rucola Ma perché si metteva dappertutto?

Stile Federico Zeri e Roberto D'Agostino quando scrissero un libro insieme, per di più intitolato Sbucciando piselli, avevano molto stile. Purtroppo uno è morto, l'altro ha fatto Dagospia.

Videomusic Rizomatici, elettronici, anapologetici, gli anni Ottanta sono sintonizzati su Videomusic con il videoclip dei Buggles Video Killed the Radio Stars, il gesto creativo più libertario di un'epoca anarchica. Alla faccia dell'Age of Plastic.



e questo è dedicato a Calamar, e al suo incredibile coming out :-)