lunedì 31 agosto 2009

La jihad dei deficienti

Aspiranti Bin Laden
Mica è sempre l’unidici settembre. Nonostante ce li descrivano come esseri geniali e diabolici, Corano in una mano e mouse nell’altra, furbizia levantina e cinismo occidentale, i terroristi islamici sono tutt’altro che infallibili. Anzi, alle volte più che a bin Laden fanno pensare a Cattivik. Specie dopo il 2001, da quando in certi ambienti l’idea di uccidere per conto di Allah ha iniziato a portarsi parecchio, è pieno di aspiranti bombaroli maomettani che tramano e innescano a maggior gloria dell’Altissimo. E per uno che ci riesce non possono non essercene nove che falliscono. Il problema, semmai, è come falliscono. Perché non diversamente dagli altri comparti del consorzio umano, nell’universo del terrorismo islamico c’è una statistica, fisiologica quota di completi deficienti. I quali, dato l’ambito lavorativo che si sono scelti, hanno alle volte modo di offrire dimostrazioni più che eclatanti della loro idiozia. I Fantozzi del jihad. D’altronde, difficile pretendere che uno che decide di fare il terrorista islamico poi sia pure intelligente. Segue classifica.

5° posto: Piccoli fans (2004)
Dhiren Barot, musulmano indiano trapiantato a Londra, 23 anni, ha un sogno: diventare più famoso di bin Laden. Obiettivo ambiziosetto, ma lui non lascia nulla al caso. Il piano che ha in testa è semplicemente perfetto. Tre attentati, contemporanei. Altro che quei dilettanti delle Torri gemelle. Fase 1: acquisto di tre limousine da imbottire di propano e parcheggiare nei sotterranei di altrettanti hotel ed ivi detonarle. Fase 2: acquisto di diecimila rilevatori di fumo per le stanze d’albergo, combustione degli stessi onde favorire il rilascio di ossido di americio (sostanza radioattiva contenuta negli apparecchi) ed ottenere un contagio nucleare su vasta scala. Fase 3: trivellazione del tunnel della metropolitana di Londra nel tratto in cui passa sotto il Tamigi e conseguente inondazione dello stesso. L’Apocalisse.

Cos’è andato storto
Piano poco meno che diabolico, peccato solo che il nostro: a) lavori alla biglietteria dell’aeroporto e sia senza una lira; b) non faccia parte di alcun gruppo terroristico; c) non abbia armi, equipaggiamento o esplosivi; d) non sia in grado di costruire una bomba. Certificano la dabbenaggine del soggetto ulteriori circostanze quali il fatto che è impossibile buttare giù un edificio col propano, che l’ossido di americio è innocuo e che il tunnel della metro di Londra è spesso decine di metri.

Questo il quadro, c’è solo una cosa più stupida che si può fare. Farsi pubblicità. Il piccolo Dottor Male ovviamente lo fa, si fa beccare e finisce in galera. Insieme a tredici – tredici! – tizi che nel frattempo aveva reclutato e a cui la trilogia di attentati, evidentemente, era sembrata un’ideona.

4° posto: Tieni il tempo (1991)
Il centro culturale Thomas Jefferson di Manila è il simbolo della colonizzazione americana delle Filippine e deve saltare in aria. Arrivano in due, Ahmed e Sa’ad: hanno la bomba, hanno i fili, hanno il timer. E sono due completi deficienti. Primo: decidono di assemblare la bomba dentro il centro. Per farsi luce, dato che è notte e a nessuno dei due è venuto in mente che portarsi una torcia poteva tornare utile, optano per un accendino, oggetto notoriamente indicato per trafficare con le bombe. Miracolosamente scampati, piazzano il timer. Sa’ad lo mette a cinque minuti, così hanno tutto il tempo: bip bip bip.

Stanno ancora raccogliendo la roba quando la bomba esplode.

Cos’è andato storto

Motivo? Il timer era stato appoggiato al contrario, e quello che sembrava un 5 in realtà era un 2. Cose che capitano, e poi mica uno può girare con le istruzioni del timer. Ahmed viene disintegrato seduta stante. Sa’ad, sbalzato fuori dall’edificio, viene raccolto da un taxista che lo scambia per una vittima e lo porta all’ospedale, dove poco dopo lo arrestano.

3° posto: Artiglieria pesante (2000)

Lo Yemen, patria di bin Laden, è zeppo di uomini di Al Qaeda. Gente col brand, indiscussi leader del settore. Che infatti hanno solo trovate geniali. Tipo caricare un po’ di esplosivo su un gommone e andare a farsi esplodere accanto alla portaerei americana “The Sullivans” (che visto il nome un po’ se lo meritava), ormeggiata al largo nel golfo di Aden, ed affondarla. Piccola barca scoppia, grande barca affonda, sempre sia lodato. Efficace, eppure semplicissismo: c’è solo da imbarcare qualche bomba ed è fatta.

Il momento è solenne: il prescelto per la missione è pronto a spingere in acqua il natante. I compagni lo abbracciano e lo incoraggiano al supremo sacrificio. Qualcuno prega. Il martire accende il fuoribordo, e si avvia verso la gloria. Gli altri lo guardano dal molo. Lo guardano allontanarsi e diventare sempre più piccolo, finché non sparisce dalla loro vista.

Cos’è andato storto

Soltanto in seguito si apprenderà che era sparito sì dalla loro vista, ma perché era affondato. Il fenomeno aveva fatto le cose in grande con le bombe, stipando nella bagnarola una quantità spropositata di esplosivo. Il cui peso trascina giù gommone, carico e kamikaze. Che inizia a fare glu glu con la faccia di Wil E. Coyote.

2° posto: Hot wheels (2007)

Quello di Glasgow è l’aeroporto più trafficato del Regno Unito: un obiettivo perfetto per i due terroristi islamici più cretini della storia della Scozia (ammesso ne siano esistiti altri). I quali hanno l‘idea di caricare di propano una jeep, guidarla attraverso l’ingresso principale dell’aeroporto medesimo, andarsi a schiantare contro il primo muro disponibile e da lì transitare direttamente in paradiso.

Cos’è andato storto

Piano rudimentale, ma non privo di efficacia. A patto solo di avere visto almeno una volta nella vita l’aeroporto di Glasgow. Dettaglio che i due avevano colpevolmente trascurato, ignorando dunque che a dieci metri dall’ingresso principale ci sono – come fuori da ogni edificio pubblico – quei piccoli panettoni di metallo che servono a non far passare le macchine. Contro il primo dei quali i nostri finiscono pertanto a schiantarsi. Siccome è comunque di professionisti che stiamo parlando, il propano si incendia all’istante, trasformando la jeep in una mortale palla di fuoco. Ferma a dieci metri dal suo bersaglio.

I due scendono avvolti dalle fiamme. Mentre uno si dà all’affannosa ricerca di una pozzanghera l’altro, perché sia chiaro che mamma non ha cresciuto pappemolle, tira un cazzotto al primo poliziotto accorso. Col brillante risultato di trovarsi cinque secondi dopo, oltre che sinistrato e a fuoco, con un imprecisato numero di agenti inspiegabilmente nervosi che lo sfigurano a mazzate.

1° posto: Deficienti.avi (2007)

Tutto è pronto: il commando, le armi, le mappe, gli obiettivi. Scorrerà il sangue alla base di Fort Dix, New Jersey. Il gruppo di fuoco è pronto, manca solo una cosa: il video di rivendicazione, che se poi non ti si vede in tv che dici Allah akbar allora che lo facciamo a fare. Dunque, si procede all’acquisto della videocamera di ultima generazione, si sceglie la location, si lucidano i fucili, giù il passamontagna e tutti in posa. Tasto rec. Pochi minuti dopo, il documento è pronto. È venuto benissimo, sai il figurone. La copia nella memoria della videocamera è per loro, bisogna fare quella per la Storia. Solo che nessuno sa come diavolo si fa a riversare il video su dvd. Vabbè, si dicono, un modo lo troviamo.

Cos’è andato storto

Non avendo tempo da perdere, i fenomeni si presentano con la videocamera da Circuit City – sorta di Standa di fotografia e cinematografia amatoriale americana – e chiedono al commesso di sviluppare il dvd col contenuto della telecamera. Il ragazzo, convinto di avere in mano l’ennesimo video di qualche palloso matrimonio, esegue. Collega l’apparecchio, prende il file e lo copia sul dvd. Per controllare che funzioni, lo apre. E vede gli esaltati che sventolano il kalashnikov. Si allontana con una scusa, quelli aspettano fregandosi le mani. Qualche minuto, e l’Fbi viene a prenderseli.


domenica 30 agosto 2009

La verità gli fa male si sa...



Boffo: la verità come plastilina
Gianni Pardo

Chi è solo razionale si accorge presto che gli strumenti della logica e dell’evidenza non intaccano la corazza del credente: chi ha fede vuole arrivare ed arriva indefettibilmente ad una certa conclusione, anche se assurda e contraddittoria. Mentre di solito cioè si tende a considerare la verità come un blocco di marmo, duro ed inamovibile, quando si ha fede la verità diviene plastilina: le si può dare la forma desiderata. E qui si fornirà un esempio, tanto per non farci mancare altri nemici.

Nel 1950 è stato proclamato il dogma dell’Assunzione in cielo della Vergine Maria. Non solo dell’anima, si badi: anche del corpo. Questo ora, in quanto dogma, per i cattolici è un dato incontestabile e indiscutibile, diversamente si è eretici. Qualcuno però può obiettare: un corpo è qualcosa che consta di “pondere, numero et mensura”, cioè peso, numero e misura, come si legge nel Libro della Sapienza, XI, 20 e come poi scrive (salvo errori) anche San Tommaso d’Aquino nella Summa Theologica, proprio quando vuole distinguere lo spirito dalla materia. Se dunque Maria è stata assunta in cielo con un corpo umano che sarà più grande di dieci centimetri e più piccolo di dieci metri, peserà più di un chilo ma meno di una tonnellata, sarà in un determinato posto ma non in un altro posto (e certo non in tutti i posti), diviene legittima la domanda: Dov’è? Non c’è da offendersi: è la Chiesa che parla di “corpo”, non il miscredente; e un corpo, se è tale, è in un dato luogo.

Ebbene, queste argomentazioni che, non si trattasse della Vergine Maria, sarebbero tanto evidenti che l’interlocutore si offenderebbe a sentirsele esporre (“Mi prendi per un idiota?”) non sono sufficienti se si parla con un cattolico. In questo caso, la plastilina della verità riuscirà ad affermare che in cielo c’è un corpo che è un vero corpo umano – se no si andrebbe contro il dogma – ma non è un vero corpo umano, tant’è vero che non è in nessun posto, o è da qualche parte ma “in modo mistico”, cioè “In un modo che non so, non capisco, non posso spiegare, forse è assurdo, ma tu ci devi credere lo stesso”.

Non c’è ragione di insistere su questo genere di argomenti. Si usa dire che “la Fede è un dono” e non bisogna strapparlo a chi l’ha. Meno accettabile è un atteggiamento fideistico che interferisca con la concretezza e la politica, come si sta verificando oggi in Italia. Stavolta da un lato i cattolici si sono impegnati come un sol uomo a difendere Dino Boffo contro l’evidenza e dall’altro i credenti della sinistra, pur di dare addosso ad un giornale “berlusconiano”, sono anch’essi scesi in campo per difendere Boffo e la Chiesa, contro la verità.

Ecco una sintesi: a Berlusconi sono stati attribuiti comportamenti che non costituiscono reato e di cui non è stata fornita la prova, ma Berlusconi è colpevole; a Boffo sono stati attribuiti quanto meno comportamenti certificati da una condanna penale accettata dallo stesso interessato (che infatti ha patteggiato la pena), ma Boffo è innocente.

A questo punto, non rimane che assumerlo in cielo.

sabato 29 agosto 2009

PD verso il congresso 4 - La gente di sinistra è normale. Si può dire la stessa cosa del suo gruppo dirigente?

La gente di sinistra è gente normale.
Il Pd se n'è accorto?
di Peppino Caldarola

Il segreto del successo di una classe dirigente politica è la conoscenza della propria base. Berlinguer sapeva a chi parlava. Coscienza nazionale, statalismo, internazionalismo solidale. Craxi nel momento di maggiore fulgore interpretò la voglia modernizzatrice e liberale dei sopravvissuti agli anni del fronte delle sinistre. Il popolo seguiva i leader e spesso li precedeva.

Nella Dc era più complesso il rapporto fra la base e i capi, frutto delle diverse mediazioni delle correnti ma era il partito dei cattolici moderati. Anche la destra storica ha conosciuto leader e base che procedevano in simbiosi. Fidelizzare il proprio elettorato era il primo passo per cercare di ampliare i consensi. Quanti cittadini inconsapevoli si sono caricati sulle spalle l’intera storia dei comunisti italiani negli anni in cui il comunismo morente mollava gli ormeggi della vecchia tradizione?

La Seconda Repubblica ha reso tutto più facile. Caduta la barriera dell’arco costituzionale, spezzata l’egemonia del “politicamente corretto”, a destra il popolo dei militanti si è identificato con i suoi capi.

Berlusconi è la sua base elettorale. Né più avanti né più indietro, per usare categorie antiche. Fini ha dato al popolo della destra estrema l’ebbrezza dell’ingresso nei salotti buoni. Possiamo raccontare i malumori, la difficoltà delle svolte ma a destra il popolo vive una lunga luna di miele con i suoi capi. A sinistra le cose sono più complicate. Alcuni leader hanno un seguito di massa, altri sono alla ricerca della base perduta. Spesso vediamo gruppi dirigenti impegnati in battaglie politiche che sembrano costruite a tavolino per ricercare il consenso dei militanti dello zoccolo duro. Ma a chi parlano? Ovvero hanno mai cercarti di capire gli orientamenti di fondo dei loro elettori per costruire su questo rapporto una linea politica espansiva?

Cito quattro episodi che meritano riflessione e dibattito. La Lega ha chiesto che i dialetti diventino lingue nazionali. Me ne occupo nel “Mambo” di oggi. La sinistra ha detto di no. Leggete questa lettera apparsa ieri sul Riformista. Un lettore Mario Caronna, dopo aver passato in rassegna le grandi firme della letteratura nazionale con forte impronta regionale, conclude: «Forse sarebbe il caso che tutti i nostri ragazzi, di tutte le regioni, venissero messi in condizione di affrontare lo studio di codesti grandissimi scrittori, fornendo loro ovviamente gli adeguati strumenti linguistici e culturali». Secondo caso. La Lega ha aperto una polemica atroce contro la Chiesa sull’immigrazione. Hanno torto Bossi e Calderoli e fanno bene i vescovi a difendere il dovere di accoglienza. Tuttavia tutti i sondaggi dicono che anche a sinistra la linea del contenimento dell’immigrazione clandestina e del respingimento in mare raccoglie ampi consensi. Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che sindaci di sinistra abbiano evitato di polemizzare con le misure anti-immigrati del Governo e spesso le hanno condivise. Il terzo esempio riguarda un uomo famoso, Marcello Lippi. Il ct della Nazionale ha rilasciato un'intervista in cui ci sono due notizie che riguardano la politica. La prima dice che Lippi voterà per le primarie del Pd, rivelando una predilezione per questa parte dello schieramento, la seconda che non sopporta l’antiberlusconismo e soprattutto quello che scaturisce dalla vita esagerata del premier. L’ultimo episodio ve lo racconto con le parole della cronaca che ne ha fatto il Corriere della Sera. Fini è a Genova alla festa del Pd accolto da grandi sorrisi e applausi. A un certo punto pensa di dire una cosa di destra e pronuncia queste parole: «So che molti di voi non apprezzeranno ma sono stato soddisfatto per la sentenza della Corte europea: come italiano sono stato felice che il carabiniere (Placanica, sparò al giovane Giuliani, ndr) sia stato inequivocabilmente assolto per legittima difesa». Scrive il Corriere: «Dalla platea della città di Carlo Giuliani parte un applauso, neanche un fischio, una contestazione, un rumore di seggiola».

Riassumendo un lettore di sinistra, un sondaggio, un elettore eccellente, la platea della festa danno un quadro imprevedibile della base del Pd. Siamo stati abituati a inseguire dipietristi di complemento, nostalgici del gauchismo, antiberlusconiani “senza se e senza ma”. L’intero apparato culturale del Pd, si fa per dire, si è orientato per vellicare le pulsioni del suo lato sinistro. E se la verità stesse dall’altra parte? E se la crisi del Pd ha la sua radice profonda nel fatto di aver inseguito un elettorato di sinistra marginale mentre la maggioranza dei militanti rimugina altri pensieri? La verità è che questi piccoli ma significativi episodi hanno il pregio di riconsegnare la base del Pd alla comunità nazionale. Non siamo di fronte a un'enclave di sconfitti, di ultimi giapponesi, di Amish che cercano rifugio in lontane terre per vivere nel passato, ma la politica ci restituisce un popolo di moderati di sinistra che cerca soluzioni diverse agli stessi problemi che agitano elettori dell’altra parte. La gente di sinistra è normale, questa è la notizia. Si può dire la stessa cosa del suo gruppo dirigente?

venerdì 28 agosto 2009

Vittorio Feltri: un uomo, un mito

Berlusconi/ Feltri: Si dissocia?
Mi sarei stupito del contrario

Al Giornale comando io, non mi sento delegittimato come direttore

Roma, 28 ago. (Apcom) - Il presidente del Consiglio si dissocia? "Devo dire che mi sarei stupito del contrario, ovvero che si associasse".
Raggiunto telefonicamente da Apcom, il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, non sembra troppo preoccupato dalla presa di distanza di Silvio Berlusconi dal suo editoriale di oggi.
"D'altra parte - afferma - il direttore del Giornale sono io e qui comando io. Lui è il presidente del Consiglio e comanda a Palazzo Chigi".
Feltri assicura di non sentirsi "delegittimato nelle vesti di direttore" per questo: "anche perché - spiega - il mio editore è suo fratello".

...anche perché il mio editore è suo fratello!, mi ricorderò questa battuta quando mi sentirò giù di morale :-)

Nessuna pietà per i falsi e gli ipocriti

Il blog Blue Highwaysha pubblicato il commento di Franco Grillini sulla disavventura del direttore di Avvenire. Nulla da aggiungere :-)

Feltri. Bravo! giusto smascherare moralisti incoerenti.
Boffo la punta dell'iceberg.
Italia paese dei “puttanieri moralisti”.
di Franco Grillini
Negli ambienti della politica e del giornalismo tutti sapevano tutto del direttore di “Avvenire” come tutti sanno tutto delle decine e decine di moralisti nella politica italiana e in Vaticano che hanno una vita privata totalmente incoerente con la loro vita pubblica.

Se si passa il proprio tempo, come ha fatto finora Dino Boffo, a sparare a zero sugli omosessuali, sulle donne che abortiscono, su chi si rivolge ai centri per l'inseminazione assistita, sui divorziati, e chi più ne ha più ne metta, dovrebbe, come minimo dare il buon esempio.

Invece viviamo nel paese dei “puttanieri moralisti”, degli omosessuali velati e omofobi, dei divorziati che partecipano al family day, dei deputati ultra-cattolici che firmano leggi contro droga a prostituzione e di notte organizzano festini con cocaina e prostitute.

Chi scrive combatte il moralismo ipocrita e bugiardo da una vita e ritiene francamente insopportabile che ci sia una gerarchia vaticana che pretende di imporra, magari anche per legge, uno stile di vita (il familismo tradizionalista) che per primi non praticano.

Come noto l'Italia è il Paese dove si straparla di famiglia tradizionale, quella composta da marito, moglie e amante, e si fatica ad accettare una realtà plurale fatta di diversi stili di vita, tra cui quello omosex, tutti ugualmente legittimi, tutti ugualmente plausibili.

E' per questo che il moralismo da quattro soldi delle gerarchie vaticane è diventato insopportabile.
Noi riteniamo che chi costruisce la propria carriera, sia essa politica o religiosa, sulla base del più anacronistico dei moralismi dovrebbe viaggiare con una telecamera nelle mutande.

A chi su questa terra potrò volgere il mio sguardo?

Mentre cerco il sonno,
Cielo prestami il tuo ascolto.
Sono perso senza un motivo
dopo aver dato tutto me stesso.
La furia dell’inverno è arrivata
oscurando il mio sole.
Dopo tutto ciò che ho passato
a chi su questa terra potrò volgere il mio sguardo?


Sono i primi versi di “I look to You”, la title track del nuovo album di Whitney Houston, che esce oggi in Italia, curiosamente prima ancora che negli USA. Leggendole nella loro versione originale mi hanno ricordato il pianto che si trova in alcune pagine dell’Antico Testamento, quando i padri di Israele implorano il soccorso dell’Unico che può aiutarli. Non è un caso che risuonino proprio quelle voci: chi canta è una donna che non ha mai fatto mistero della propria fede, e la cui storia musicale inizia proprio nei cori di una chiesa.
I primi tre brani (questo, Million Dollar Baby e I Didn't Know My Own Strength), diffusi gratuitamente dall’editore (questo) o “casualmente” finiti su Internet (ossia pubblicati di nascosto dallo stesso editore per accendere l’attesa per l’album) sono veramente belli.

La voce è cambiata perché quarantasei anni sono un bel numero per tutti, ma la passione no, e i brividi che “l'artista donna più premiata di tutti i tempi” riesce a dare sono quelli delle sue hit degli anni ‘80 e ‘90.

Io ho profittato dell’offerta di Amazon USA (su Amazon UK potete ascoltare anche i sample) acquistando il CD a poco più di 12 euro, spedizione compresa… lo attendo con ansia, così, se nelle prossime settimane incrociaste per Milano un tamarro che suona pop soul a tutto volume, non fateci caso; sono io. ;-)

Altro che perdonanza e pentimento. È iniziata l’ora della vendetta, e la merda, dal ventilatore, raggiunge oramai tutti quanti.

Aveva ragione Dagospia, l’arrivo di Feltri al Giornale era funzionale a una stagione di bombardamenti senza quartiere sul nemico.
In meno di una settimana, il quotidiano di via Negri ha cotto e servito De Benedetti, la Fiat, e ora sta passando ai vescovi.
Io provo imbarazzo e spavento, quando vedo tirata in ballo la vita privata dei singoli, ma questo vale per tutti.
E la mia difesa dell’altrui diritto alle proprie miserie si ferma di fronte alle condotte ipocrite di chi, conoscendo la propria trave, addita la pagliuzza nell’occhio dell’altro.

Così, pur umanamente vicino al povero direttore de l’Avvenire, non posso che dire che se l’è cercata: Quando si chiede purezza al prossimo, bisogna avere una storia più immacolata di una camicia lavata col Vanish.

Boffo, il supercensore
condannato per molestie

«Articolo 660 del Codice penale, molestia alle persone. Condanna originata da più comportamenti posti in essere dal dottor Dino Boffo dall’ottobre del 2001 al gennaio 2002, mese quest’ultimo nel quale, a seguito di intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria, si è constatato il reato».
Comincia così la nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore, alias il direttore del quotidiano Avvenire, disposto dal Gip del Tribunale di Terni il 9 agosto del 2004.


Copia di questi documenti da ieri è al sicuro in uno dei nostri cassetti e per questo motivo, visto che le prove in nostro possesso sono chiare, solide e inequivocabili, abbiamo deciso di divulgare la notizia.
A onor del vero, questa storia della non proprio specchiata moralità del direttore del quotidiano cattolico, circolava, o meglio era circolata a suo tempo, per le redazioni dei giornali.
Dove si chiacchiera, anche troppo, per tirar tardi la sera. C’è chi aveva orecchiato, chi aveva intuito, chi credeva di sapere.


Ma le chiacchiere non bastano a crocefiggere una persona.
O meglio bastano, sono bastate, solo nel caso di due persone: Gesù Cristo per certi suoi miracoli e, più recentemente, Silvio Berlusconi per certi suoi giri di valzer con signore per la verità molto disponibili.

Ma torniamo alle tentazioni, in cui è ripetutamente caduto Dino Boffo e atteniamoci rigorosamente ai fatti, così come riportati nell’informativa: «...Il Boffo - si legge - è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione. Rinviato a giudizio il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004, pagava un’ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione. Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela...».

Dino Boffo, 57 anni appena compiuti, è persona molto impegnata. O, come si dice quando si pesca nelle frasi fatte, vanta un curriculum di rispetto. È direttore di Avvenire da quindici anni, direttore e responsabile dei servizi giornalistici di Sat 2000, il network radio-televisivo via satellite dei cattolici italiani nel mondo, nonché membro del comitato permanente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, che detta le linee guida delle Università Cattolica del Sacro Cuore.
Acuto osservatore della vita politica italiana e delle vicende che segnano il mutamento dei tempi e dei costumi, recentemente, in più d’una occasione, Boffo si è sentito in obbligo, rispondendo alle pressanti domande dei suoi smarriti lettori, di esprimere giudizi severi sul comportamento del presidente del Consiglio.
E, turbato proprio da quel comportamento, è arrivato a parlare di «disagio» e di «desolazione». Persino, e dal suo punto di vista è assolutamente comprensibile, di «sofferenza». Quella sofferenza, per citare testualmente quanto ha scritto ancora pochi giorni fa, sul giornale che dirige «che la tracotante messa in mora di uno stile sobrio ci ha causato». Questa riflessione l’ha portato a esprimere, di conseguenza, più e più volte il suo desiderio più fervido, ovvero il «desiderio irrinunciabile che i nostri politici siano sempre all’altezza del loro ruolo».

Nell’informativa, si legge ancora che della vicenda, o meglio del reato che ha commesso e delle debolezze ricorrenti di cui soffre e ha sofferto il direttore Boffo, «sono indubbiamente a conoscenza il cardinale Camillo Ruini, il cardinale Dionigi Tettamanzi e monsignor Giuseppe Betori».
I primi due non hanno bisogno di presentazione, l’ultimo, per la cronaca, è l’arcivescovo di Firenze.
Si dice che le voci corrono. Ma, alla fine, su qualche scrivania si fermano.

il Giornale

Per inciso: al di là del disgustoso italiano con il quale scrivono i nostri Carabinieri, c'è una cosa che non ho capito: Boffo era "attenzionato" perché uso a molestare i mariti o perché omosessuale?

martedì 25 agosto 2009

La tecnologia è proprio divertente, quando funziona

Una delle cose che sopporto di meno è andare in banca.
Per questo, alla nascita delle banche on line ho subito festeggiato, aprendo un conto con una di queste.
Devo dire che la mia soddisfazione è massima: home banking semplice e veloce, costi pari a zero (grazie al fatto che sono loro cliente anche per il mutuo), mai un problema vero in tutti questi anni.

Una banca on line ha anche degli aspetti meno piacevoli.
Uno è il fatto che non ti danno il fido, che a volte torna utile, ma ion qualche modo si può ovviare.
Un altro è il fatto che, le rare volte in cui avresti bisogno di fare un’operazione “fisica” ti tocca scontrarti con il personale della banca “classica” convenzionata… che scatena di solito ogni possibile istinto omicida.


Quando per versare un assegno mi toccava andare in banca, passavo alcuni dei peggiori quarti d’ora, osservando evidenti “assunzioni obbligatorie” al di là dello sportello, ed emeriti deficienti perditempo al di qua dello sportello, magari pure così maleducati da non considerare che, se dietro di te c’è la coda, non è il caso di cazzeggiare con l’operatore.


Così l’altro giorno ero incerto se prendere una robusta dose di calmanti o stracciare un assegno, piuttosto che andare in banca a versarlo.
Poi ho avuto un’idea che s’è rivelata luminosa.
Anziché ricorrere alla filiale vicina all’ufficio, sceglierne un’altra, un filo più distante, lungo la strada di casa, per vedere se pure lì la fauna davanti e dietro allo sportello fosse la stessa.
Siccome il mio secondo nome è fortunato, la fauna era esattamente la stessa.
Questa volta però, un dipendente meno desideroso di lavorare degli altri ha colto la palla al balzo, accorgendosi dell’assegno che stavo tormentando, e chiedendomi cose volessi farne.


Rinunciando al proposito di rispondergli che volevo infilarglielo su per il naso, ho risposto scorato che avrei voluto fare un bonifico (loro lo chiamano così) sul mio conto per accreditare questo maledetto assegno ma che, oltre alla fila, m’ero pure accorto del fatto che ‘sti sciagurati avevano cambiato la modulistica, e non sapevo più che fare.

E qui s’è aperto un modo di opportunità: “Lei ha con sé la tessera bancomat di quel conto?
“Sì certo perché?”
E allora lasci stare i moduli, venga che le mostro come si può fare.
In breve, la filiale era dotata di bancomat evoluti, che oltre a darti i soldi li ritirano pure… e che si cibano pure di assegni!

È stato divertentissimo: ho inserito il bancomat, scelto l’operazione di versamento assegni, inserito l’assegno, il suo importo, e il bancomat ha fatto il resto,riconoscendo le coordinate bancarie e il numero dell’assegno, e accreditandomi salvo buon fine (si intende) l’assegno.
Infine, a mo’ di ricevuta, mi ha dato una divertente fotocopia del fogliettino di carta rappresentativo del misero pagamento che avevo incassato!

Inutile dire che ero deliziato: la prospettiva di non dover più frequentare la fauna della banca convenzionata mi ha a dire poco esaltato, aprendo nuove prospettive, quali assegni e contanti versati la sera tardi, il sabato e la domenica… insomma la libertà!

Bella cosa la tecnologia, quando funziona...

lunedì 24 agosto 2009

Libera Chiesa in libero Stato... la perfidia di Cossiga

...È lecito che il magistero morale della Chiesa si traduca in ammonimenti del genere?
«La Chiesa ha non il diritto, ma il dovere di esprimere giudizi in materia di morale.
Ma gli ammonimenti debbono essere fatti in caritate e in modo che il giudizio non appaia mai come istigazione a combattere qualcuno, eventualmente anche sul piano politico.
Ormai invece sembra che l'unica preoccupazione di certi ambienti sia quella di esprimersi sui festini a Villa Certosa o a Palazzo Grazioli.
Ma se la Chiesa ritiene incrinato per motivi etico-cultural-religiosi il vincolo che la lega allo Stato italiano, attraverso il regime concordatario e i suo corposi allegati finanziari, non esiti a proporre l'abrogazione del Concordato. In Parlamento la maggioranza sarebbe larghissima, e voterei anch'io a favore».

www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=376655

http://www.difesa.it/Sala+Stampa/Rassegna+stampa+On-Line/PdfNavigator.htm?DateFrom=24-08-2009&pdfIndex=20

PD verso il congresso - 3
Il Pd sa perché gli italiani non lo votano?

di Enrico Morando
Perché il consenso verso Berlusconi e il centrodestra si mantiene stabile, malgrado il discredito provocato dagli scandali di cui il leader del Pdl è protagonista? Sbaglierò, ma penso che il congresso del Pd ormai in corso farebbe bene a concentrarsi sul tentativo di rispondere a questa domanda, piuttosto che sull’individuazone del partner “giusto”, per una nuova tattica delle alleanze politiche: Di Pietro o Casini? O entrambi? E, se entrambi, tenuti assieme come?
Tra l’altro, mettendo il dibattito congressuale su questo binario morto, si aggiunge ambiguità all’inconcludenza.

Le (sempre utili) semplificazioni giornalistiche, non ci avevano detto che - tra i due principali contendenti alla segreteria del Pd - Bersani era quello che voleva tornare alle alleanze, dopo “l’ubriacatura della vocazione maggioritaria”, intesa (male) come autosufficienza? E Franceschini, non era quello che non negava la continuità con la scelta “dell’andare da soli”, sia pue con tutte le cautele del caso? Ma se Bersani non vuole Di Pietro mentre Franceschini sì (faccio mia la semplificazione giornalistica delle ultime dichiarazioni di entrambi), di quali alleanze stanno parlando, l’uno e l’altro?

Meglio, dunque, tornare alla domanda iniziale. Che, naturalmente, può essere formulata in modi diversi: perché - mentre Berlusconi annaspa nel guano dei suoi scandali - i cittadini delusi non rivolgono con fiducia lo sguardo verso il Pd? E ancora: perché, in un anno, il Pd ha perso quattro milioni di voti, mentre il Pdl non ne ha guadagnati, anzi ne ha persi a sua volta un bel po’?

Per cercare la risposta, sarà bene riconoscere una volta per tutte che Berlusconi - con la nascita del Pdl, partito egemone alleato della Lega, cui nessun dibattito ferragostano può conferire la centralità che non ha - non è un’anomalia, un incidente di percorso, una parentesi nella storia politica italiana, destinata a chiudersi senza lasciare grande traccia di sé. Al contrario: Berlusconi e il centrodestra di cui è leader hanno saputo interpretare la crisi italiana post ’89 meglio di quanto abbiamo saputo fare noi del centrosinistra e hanno fornito una risposta di tipo populistico-conservatore ai principali problemi del Paese. È una risposta «confusamente, ma spesso efficacemente vocata al cambiamento: federalismo fiscale che vuole vuole apparire non indifferente al Mezzogiorno (consiglio dei Ministri a Napoli e soluzione della questione rifiuti); lotta ai “fannulloni”; riforma della scuola e… della giustizia; approccio alla riforma dei principi contrattuali, vera rivoluzione per il mondo del lavoro; ripresa di un rapporto positivo con l’Europa (ruolo di Tremonti)». Sono parole di De Giovanni (A destra tutta, Marsilio, Maggio 2009), che così conclude questa parte del ragionamento: «… il centrodestra sembra essersi collocato nella corrente giusta, perché cerca di star vigile su tutte le crepe che si sono aperte nel vecchio sistema egemonico… e le elezioni politiche mi pare abbiano stabilizzato questo suo insediamento. Si tratta di vedere come reagirà il centrosinistra».
Appunto. Se si vuole che la reazione sia adeguata, è dal cambiamento che vogliamo per l’Italia che dobbiamo ripartire. Le alleanze presenti e future le misureremo con questo metro. Sapendo che - in ogni caso - moltissimo (quasi tutto) dipenderà dal Pd. Non saranno infatti né l’Idv, né l’Udc, né Sinistra e libertà che potranno portarci in dote ciò che saremo costretti a prenderci da soli: due milioni di voti di italiani che hanno votato e votano per Berlusconi, ma potrebbero smettere di farlo e scegliere il centrosinistra se quest’ultimo fosse davvero in grado di rompere con quello che De Giovanni chiama «il vecchio sistema egemonico», che «spinge alla conservazione delle sue dominanti: l’intoccabilità della prima parte della Costituzione; … l’insediamento nella varie corporazioni sindacalizzate;… un rapporto con la magistratura che confonde la sua indipendenza con la sua assoluta discrezionalità…; la difesa del parlamentarismo incapace di decidere; il sedersi su sistemi di potere locale che hanno anche dissipato denaro pubblico…».

Il centrosinistra che ha dato vita all’Unione era tutto qui? Certamente no. Ma se Berlusconi ha potuto, dopo 15 anni di successi e sconfitte elettorali, stravincere il confronto del 2008, è stato perché, dopotutto, sembrava credibilmente promettere agli italiani quel cambiamento che l’Unione - per cultura politica, rappresentanza sociale ed assetto politico - non “poteva” realizzare e non aveva neppure iniziato a realizzare. Salvo nel caso (l’euro) in cui aveva potuto fare leva su di un vincolo esterno.

L’esperienza di questo anno sta deludendo molti che avevano preso sul serio - un po’ per convinzione, un po’ per disperazione - la promessa berlusconiana: il nuovo modello contrattuale sembra buono solo per uscire da pasticcio estivo delle gabbie salariali; la legge sulla sicurezza trasforma per un mese in pericolosi criminali quegli stessi lavoratori cui un’altra legge, contemporanea alla prima, garantisce una sanatoria senza precedenti; sì alla cassa integrazione in deroga, no alla riforma degli ammortizzatori sociali, perché «abbiamo il mercato del lavoro migliore del mondo».

Perché il Pd non riesce ad approfittarne? Perché appare più preoccupato di rappresentare “minoranze” minacciare dagli interventi confusi del Governo che di rappresentare la maggioranza degli italiani, almeno potenzialmente interessata a un cambiamento ispirato ai suoi valori. Di qui il confuso discutere di alleanze politiche: come se si sperasse che possa venire da lì, non dalla capacità di far valere le buone ragioni del cambiamento presso la maggioranza della società italiana, la forza per tornare la governo.

Il Congresso del Pd può ancora rimettere le cose al loro posto, se i suoi principali protagonisti saranno i primi a non accontentarsi di un dibattito che resti in superficie, che non parta dalle domande vere.
Due esempi, uno sulle politiche, l’altro sulla politica. Constatati gli effetti della crisi, è venuto o no il tempo di una radicale riforma del modello contrattuale, che esalti la contrattazione di secondo livello; e dell’adozione di un sistema di flexecurity secondo le precise proposte di Ichino (quelle, non “quasi” quelle, ché non si sa cosa vuol dire)? Il sistema politico-partitico uscito dal voto del 2008 - due coalizioni che competono per il governo, ciascuna organizzata attorno a un partito perno - merita di essere consolidato, con apposite riforme costituzionali e dei partiti, o è un’anomalia da superare? E se si preferisce il suo consolidamento, le necessarie riforme istituzionali debbono essere realizzate in primo luogo attraverso una convergenza tra Pdl e Pd, o costruendo prima un accordo tra “le opposizioni”?
Le risposte si possono rintrecciare nelle mozioni già presentate? Sì, ma la confusione di questi giorni suggerisce di tornarci sopra, con uno sforzo ulteriore di chiarezza.

http://www.ilriformista.it/stories/Italia/79139/

PD verso il congresso - 2
«Abbiamo sbagliato. Una sinistra liberale da noi è impossibile»

di Alessandro Da Rold

Nicola Rossi, il senatore Pd è critico sul passato, «Per anni abbiamo infastidito il nostro elettorato», e amaro sul futuro: «Ora la domanda è dove andrà chi come me ha creduto in tutto questo?».

«Romano Prodi spiega puntualmente i problemi culturali della sinistra italiana. Io stesso riconosco di aver commesso questo errore. È assodato: la sinistra italiana ha una cultura impermeabile ai principi liberali. Risulta quindi del tutto ininfluente chi sarà il futuro segretario del Partito democratico. Soffrirà degli stessi problemi di Prodi, perché il centrosinistra, il Pd in primis, non ha mai voluto riempire questo vuoto culturale». Così Nicola Rossi, senatore del Pd e professore di Economia all’Università di Roma, in merito all’articolo scritto dall’ex premier sul Messaggero alla vigilia di Ferragosto.

Senatore Rossi come giudica le parole di Prodi, condivide questa critica alla scelta di una parte della sinistra a metà deglianni 90 di appoggiare l’ormai nota “terza via di Tony Blair”?Il nostro è stato un tentativo del tutto inutile. Abbiamo commesso un errore. Pensare che questo tipo di cultura si potesse adottare in Italia è stata una speranza mal posta. Da noi una sinistra liberale non era possibile, come lo è ancora meno oggi. Aveva ragione chi ci criticava. Anche se dalla gran parte dei dirigenti che hanno appoggiato queste idee c’è stato più un approccio tattico che strategico. Nessuno ha mai posto realmente il problema.

Il suo giudizio è quindi favorevole.Prodi ci spiega il perché è stato lui per più di 10 anni il leader del centrosinistra. È stato il simbolo delle difficoltà della sinistra a confrontarsi su temi come l’innovazione o lo sviluppo economico.

Il suo collega Michele Salvati si definisce «un peccatore non pentito».Io stesso lo sono, ma faccio un ragionamento ulteriore. Le parole di Prodi dovrebbero essere utili a tutti, non solo a chi ha appoggiato questa via, soprattutto in vista del congresso del Pd. Per anni abbiamo infastidito il nostro elettorato perdendone una buona parte.

Secondo lei l’intervento di Prodi è casuale proprio in un momento così critico per il Pd? E perché ha avuto così poca risonanza?A questo non so risponderle. Non lo so. Mi pare però evidente l’invito al Pd a cercare una forma definita, compiuta, che non troverà mai.

Nessuna speranza?Assolutamente nessuna. Non lo farà perché non lo vuole fare. La sua cultura è sbarrata a ogni possibilità. Lo stesso “grande Liberalizzatore” (Pierluigi Bersani, ndr) dovrebbe farsi qualche domanda a riguardo.

Ritornando all’articolo di Prodi cos’altro l’ha colpita?Centra le difficoltà di rapporto del centrosinistra con il suo elettorato. A metà degli anni 90 (governo D’Alema, ndr) c’è stata l’illusione di espanderci. La sinistra raccoglieva un 25% dei voti, mentre esisteva un 50% di potenziali elettori. Oggi elettori reali e potenziali hanno la stessa percentuale.

E l’Ulivo mondiale?Non scherziamo…

Forse, invece di parlare di Ulivo mondiale, la sinistra avrebbe dovuto affrontare temi come la questione meridionale o settentrionale?Ma come può una forza politica che ha contribuito con i propri dirigenti alla rappresentazione della questione meridionale, e per converso della questione settentrionale, a trattare questi argomenti? È impossibile.

Si aprono le porte magari per una nuova sinistra, è forse il momento, come scrive Piero Sansonetti, di rifondare un centrosinistra?Qualsiasi cosa accada, nel caso si aprano nuove alleanze, un nuovo movimento politico di sinistra soffrirà di queste ultime, perché saranno loro a dettare la linea culturale all’interno della coalizione.

Quindi?Mi viene in mente una frase di D’Alema detta durante una trasmissione televisiva a metà degli anni 90. “La sinistra dovrebbe smettere di attaccare i manifesti o organizzare feste, dovrebbe pensare a governare”. Ecco, io credo che ancora adesso alla sinistra importi più di organizzare feste e attaccare manifesti.

Dal congresso di ottobre del Pd potrà uscire qualcosa di nuovo?La scelta su chi sarà il nuovo segretario del Pd è del tutto ininfluente. Non cambierà le cose. Lo ripeto: il problema è la cultura stessa del Pd. La domanda che dovrebbe pormi ora è dove finiranno coloro che hanno creduto in tutto questo.

Gliela pongo, che fine farete?A questo non so risponderle nell’immediato. È la prossima sfida. È certo che a breve si dovrà aprire un dibattito in tal senso.

http://www.ilriformista.it/stories/Prima%20pagina/79136/

PD verso il congresso

Io il PD non lo voto, si sa. Eppure…

Eppure sono cosciente di quanto sia grave che, per me e milioni di altri italiani, il Partito Democratico sia un'opzione addirittura meno credibile del PCI d'un tempo.

Velleitario e inconcludente, non comunista eppure incapace di dire la verità fino in fondo su quella storia, non cattolico eppure incapace di essere laico, percepito come minacciosamente pronto a usare lo Stato come clava come i propri avversari è il peggior nemico di se stesso, e di tutti noi.

Credo che da questo congresso non uscirà nulla di buono, che il prossimo segretario tirerà la carretta più o meno dignitosamente come questo, che – incredibile dictu – Veltroni fosse l'unica speranza di far fare pace a quel partito con il nostro Paese.

Peccato.

Perché il Paese ha disperatamente bisogno di un'alternativa moderna al centrodestra.

Di un partito che, come il Labour di Blair raccolse l'eredità tatcheriana e la usò per partire per una nuova volata di riforme, colga il meglio dell'esperienza berlusconiana, ossia la scomparsa della legittimazione ideologica e il rifiuto della guerra civile a oltre sessant'anni dal silenzio delle armi, per compiere la stessa operazione.

Purtroppo non sarà così, temo.

Chiunque raccoglierà gli esangui resti del partito leader del centrosinistra continuerà a combattere nel passato: a non essere comunista eppure a non compiere quell'operazione di verità che i missini sono stati costretti a loro tempo, a non essere cattolici eppure a non lottare per i diritti civili e la laicità dello Stato, a non essere totalitario eppure percepito come minaccioso; insomma a lavorare nei fatti contro l'evoluzione di questa nostra Patria, sì bella e perduta.

L’orso Marcello è ritornato, ma non gioca più

La vicenda di “Marcello”, l’orso-scivolo di cemento che era il simbolo dei giardinetti di via Benedetto Marcello è oramai conclusa, così come l’interminabile novela dei giardinetti stessi.
Di questi giardinetti ho parlato in un mio post dello scorso novembre: costruiti sopra una stazione di pompaggio dell’acqua potabile, dopo la chiusura di questa erano stati trasformati per anni in un cantiere, finalizzato a trasformare l’ampio spazio sotterraneo in un parcheggio pertinenziale per i palazzi intorno.
Ora la lunga attesa è finita: i giardinetti sono stati recuperati e, seppure ancora recintati per dare tempo al verde di radicarsi, sono nella loro versione definitiva:


Marcello, l’orso in cemento sul quale tante volte ho scivolato, però non giocherà più con i bambini del quartiere: è oramai troppo vecchio e la sua materia prima troppo fragile per i piccoli teppisti delle odierne generazioni.
Così, come un pensionato, ha guadagnato un posto tutto suo ai giardinetti, a lato della costruzione di accesso al parcheggio, da dove continuerà a guardare il traffico circostante e i bambini che tornano a giocare.


Finalmente tutto torna al posto giusto!

Botta e risposta

Lettera a Luca Ricolfi
By Mauro della Porta Raffo

Caro Ricolfi,

adoro, semplicemente adoro, i suoi scritti.

Concordo, pienamente concordo e ogni volta, con lei.

Solo, mi chiedo: come mai questo fine intellettuale, nato nel 1950, ha impiegato decenni e decenni per comprendere cose che io capivo e notavo già nel 1968 e dintorni?

Come mai gli è stato necessario un infinito lasso di tempo per arrivare ad intendere che lui stesso con le sue idee e i propri sodali è all’origine del patatrac intellettuale e sociale nel quale ci troviamo e che denuncia?

La risposta, se me lo consente, è semplicissima: lei è di sinistra e pertanto incapace di afferrare se non appunto a distanza di decenni come e dove va il mondo e soprattutto di ammettere la nefasta conseguenza delle azioni intraprese sulla base di una cieca ideologia.

Alcuni tra voi sedicenti intellettuali ‘sinistri’ hanno letto da giovani un paio di libri e visto quattro film e per questo si ritengono colti.

Lei, oggi e non solo da oggi per sua fortuna, emerge dallo stagno, ma quanti tra i suoi antichi ‘compagni’ con le rane colà tuttora gracidano pretendendo comunque di impartire lezioni a destra e a manca?

Suo Mauro della Porta Raffo

Varese, 23 luglio 2009


Di seguito, la risposta ricevuta da Luca a stretto giro di mail:


“Caro della Porta,

mi sembra che lei abbia sostanzialmente ragione sugli intellettuali di sinistra e sulla mia generazione.

Posso solo aggiungere che, per quanto mi riguarda, ho messo un anno (dal 1968 al 1969) per capire che i contestatori non avevano voglia di studiare e tre anni (dal 1968 al 1971) per capire che la maggior parte dei militanti extraparlamentari amava comandare più che cambiare il mondo.

Dunque, sono stato un bradipo rispetto a lei, ma tre anni sono comunque meno di quaranta.

Un saluto cordiale.

Luca Ricolfi


http://www.cartalibera.it/publish/article_447.shtml

domenica 23 agosto 2009

OGM, il dibattito a sinistra

Nonostante la crisi della stampa, il fatto che quella di partito sia foraggiata allegramente dalle finanze dello Stato fa sì che alla riduzione delle copie vendute continui a corrispondere l’aumento delle testate.

Una delle più recenti è “l’Altro”, quotidiano della sinistra più sinistra (ex rifondaroli o comunque comunisti di qualche schiatta, non mi interessa molto), che da qualche giorno ospita un interessante dibattito sugli OGM.
Tutto nasce quando Gilberto Corbellini, professore de “la Sapienza” con più di qualche quarto di nobiltà sinistra, pubblica un articolo dal titolo “OGM Il biologico è moda, il futuro è OGM”. Apriti Cielo, ne è scaturita una polemica bella aspra, che ha sicuramente ravvivato lo spento dibattito agostano.

L’altro ieri, Corbellini ha rincarato la dose, con un articolo dal titolo intrigante, che ha naturalmente suscitato nuove reazioni, vi propongo l’articolo e qualche link.


Le staminali sì, gli Ogm no.
Ma non sapete dire perché

Mi son chiesto perché coloro che leggendo il mio intervento sugli Ogm hanno reagito come se li avesse morsi una tarantola non hanno dato segni di vita quando David Bidussa ha scritto qualcosa di non molto diverso su sinistra e scienza (vedi l'articolo pubblicato su L'Altro nel sito altronline.it) ricordando l'anniversario della conferenza di Charles Snow del 1959 sulle due culture. L'unica risposta che son riuscito a darmi è stata: perché quello che ha scritto Bidussa non l'hanno capito. Il livello dell'analisi di Bidussa non consentiva certo di far sparate populiste. D'altro canto, se il punto di riferimento a sinistra resta Gregory Bateson, che francamente di epistemologia e scienza non capiva granché, vuole dire che a sinistra si è smesso di studiare.
Del resto a sinistra qualcuno è arrivato a prender sul serio un Massimo Fagioli, il che fa pensare che agli intellettuali italiani di sinistra piaccia il ruolo, ma non lo studio serio.
Prima di riprendere il filo da Bidussa: non mi ha sorpreso riscontrare nei confronti delle mie posizioni, toni identici a quelli che hanno usato i giornalisti de l'Avvenire e i bioeticisti cattolici quando attaccavo la legge 40 e difendevo il diritto di Welby ed Eluana Englaro di decidere come morire.
Avendo scritto un libro intitolato Perché gli scienziati non sono pericolosi, dove tra le altre cose sostengo che le posizioni del postmodernismo sinistrorso sono altrettanto antiscientifiche e illiberali del fondamentalismo cattolico, forse non potevo aspettarmi qualcosa di diverso.
Del resto, se non si capisce che non c'è differenza, sul piano scientifico e del valore pratico della ricerca, tra Ogm e, per esempio, la ricerca sulle staminali embrionali vuol dire che non si sa come stanno i fatti.
E che si ragiona ideologicamente.

Probabilmente, chi giudica gli Ogm pericolosi e le staminali embrionali no, e quindi si schiera peraltro in difesa della libertà di ricerca sulle staminali embrionali, lo fa per far dispetto e dar contro alla Chiesa. Non perché abbia davvero capito che cosa significa libertà di ricerca scientifica, e come stanno i fatti.

I fatti.
Ecco dove alla fine andava a parare Bidussa nel suo intervento, quando concludeva che "i moderni non possono non dirsi scozzesi". L'ingresso nella modernità e quindi la possibilità stessa dell'uomo di uscire dalla condizione di "minorità" di cui parlava Kant riferendosi alla stagione pre-illuminista, è passato attraverso l'acquisizione del rispetto per i fatti, cosa che manca del tutto alle religioni e alle ideologie simil-religiose, e di un atteggiamento scettico che induce a controllare regolarmente quello che viene riportato da altri come un fatto - e anche questo non è certo un tratto gradito dalle religioni e dalle ideologie.

Adottando quegli atteggiamenti che Bidussa vede carenti nella cultura di sinistra italiana, si arriva alle mie tesi "fattuali" sugli Ogm. Che non hanno nulla a che vedere con le dimensioni economiche e politiche connesse con l'uso delle biotecnologie. Un gene è un gene, e un Ogm è un Ogm: la loro natura non cambia a seconda se chi li studia è uno scienziato reazionario o progressista.
Nella scienza le chiacchiere stanno a zero, e bisogna fare gli esperimenti.
Ebbene, gli esperimenti dicono il contrario di quello che gli intellettuali e i militanti di sinistra "credono" su moltissime questioni di natura scientifica. Lo scienziato reazionario e quello progressista possono, invece, avere idee diverse su come usare i geni e gli Ogm.
Per questo in una società democratica moderna i cittadini dovrebbero avere sufficienti elementi conoscitivi su come funziona la scienza, e anche per esempio su cosa è un gene, per scegliere quei governanti che danno maggiore affidabilità di far uso di metodologie obiettive di valutazione dei rischi e delle opportunità implicati nello sviluppo di nuove tecnologie. Chi ha scritto che gli Ogm fanno male alla democrazia, fa un uso pericolosamente disinvolto del termine "democrazia".

Quali sono le condizioni dell'Italia sul fronte dell'alfabetizzazione scientifica e civica?
Pessime.
Chi desideri verificarlo può studiarsi i dati degli Eurobarometri, del World Value Survey e dell'European Value Study.
Non si possono certo stabilire nessi causali esplicativi, e dimostrare in modo scientifico, cioè facendo esperimenti, il nesso tra alfabetizzazione scientifica e qualità della vita civile e politica. Però, guarda caso, le moderne dottrine e istituzioni democratiche sono storicamente successive alla rivoluzione scientifica e i paesi del Nord Europa, dove la qualità della vita sociale è indiscutibilmente migliore, si collocano ai vertici rispetto ai valori di tutti i parametri in questione.

Il problema di fondo della sinistra è sempre lo stesso, cioè come coniugare le aspettative umane incomprimibili ma anche in ultima istanza poco conciliabili, di libertà ed eguaglianza, nella costruzione di un modello funzionale e durevole di democrazia.
Io penso che senza la scienza, cioè senza un miglioramento dell'alfabetizzazione e acculturazione scientifica della società e della politica, questo obiettivo non sarà mai raggiunto.

Se si ostina usare strumenti di analisi e argomenti che sono diventati inadeguati, la sinistra italiana è destinata alla marginalizzazione. E quindi all'estinzione. Perché se si tratta di far leva su emozioni e impulsi di conservazione, funzionano certamente meglio le esche qualunquiste, populiste e giustizialiste dei Di Pietro, dei Travaglio e dei Grillo.

Il marasma intellettuale in cui versa la sinistra e la prevalenza di un pregiudizio antiscientifico sono testimoniati anche dal fatto che sull'organo ufficiale della lista Bersani, il Riformista, l'integralista cattolica Lucetta Scaraffia ha potuto scrivere, senza che ci fosse alcuna reazione tranne un intervento di Anna Meldolesi, che Ignazio Marino è intellettualmente inadeguato come leader del Pd in quanto è uno scienziato. La Scaraffia ha usato dei tipici argomenti postmodernisti cioè relativisti per attaccare Marino. Ma, a parte Meldolesi, nessun lettore del Riformista si è reso conto delle stupidaggini che la Scaraffia spargeva a sinistra ovviamente sapendo di trovare un terreno fertile. Se questi sono i livelli di sprovvedutezza e impreparazione, al punto da farsi dar lezioni di antiscientismo da chi lavora intellettualmente per l'instaurazione in Italia di una teocrazia, c'è poco da urlare al "provocatore". Sarebbe il caso di mettersi davvero a studiare, per dare un contenuto praticabile all'aspirazione di poter coniugare libertà ed eguaglianza.

Gli altri interventi
OGM Il biologico è moda, il futuro è OGM di Gilberto Corbellini
BIOLOGICO Le capriole pro OGM di Roberto Musacchio e Francesco Martone
La risposta di Rina Gagliardi
Che ci faceva su l'Altro un articolo pro Ogm? di Gaia Pallottino
I miei dubbi di Giorgio Nebbia
Siete impazziti? Non vi leggo più di Vinicio Giandomenico Se non ci sono tabù...di Nanni Riccobono

sabato 22 agosto 2009

Riflessioni del sabato pomeriggio

La probità dei dissoluti
è la migliore.

Donatien Alphonse François, detto il Marchese De Sade,
dal "
terzo dialogo" de "La filosofia nel boudoir"

venerdì 21 agosto 2009

Ah, signora mia, non c’è proprio più il senso dello Stato!

Siccome sei un poco fesso, decidi di usare le vacanze per sistemare un po’ di arretrati, così vai a trovare la signora che non sa cucinare per mettere pace tra lei e il suo computer.
Siccome
Bill Gates ha la stessa idea sugli arretrati, Windows decide che il computer della succitata signora deve installare almeno settecentoquindici aggiornamenti critici, che ti impediranno di fare qualsiasi cosa su quel computer per almeno mezz’ora (la storia che puoi continuare a lavorare col computer mentre lui installa gli aggiornamenti è una balla clamorosa).
Siccome sei nel bel mezzo di agosto, decidi che ve ne andrete a bere una bella spremuta al bar di fronte.

Quando tutt’intorno il quartiere è in ferie, e voi due siete i soli clienti del barista e della sua collaboratrice, è scontato che si inizi a chiacchierare.
E naturalmente si inizia a chiacchierare delle vacanze, di come crisi o non crisi, le città si svuotino e le località di villeggiatura si riempiano.

A questo punto, seguendo un modulo ben collaudato, si scivola nell’aneddotica citando le notizie più surreali apparse sui giornali, come quella secondo cui a Capri (o era Ischia?) ci sia chi, per andare in vacanza, accetta pure di affittare un garage per trascorrervi le ferie “ovviamente in nero”. “Del resto, signora, da quelle parti le cose vanno così, lei pensa che tutte quelle villette in riva al mare non siano mica abusive?”, “è che proprio hanno un altro modo di vivere, pensi che una volta a Palermo ho trovato un parcheggiatore abusivo che faceva parcheggiare sulle strisce gialle”, “ma anche a Roma, del resto, è tutto così: lì i baracchini delle bibite sono in mano alla criminalità, e se vai a bere qualcosa intorno al Colosseo, ti riconoscono come turista e ti fanno un prezzo maggiorato, perché loro non espongono il cartello dei prezzi”…

Dopo un quarto d’ora di questo andazzo, purtroppo verosimile ritratto di un Paese, vai alla cassa, paghi, e riesci a riprendere la via per quel computer.

Lungo la strada, guardi la tua amica e, con fare complice, le dici “e… ovviamente, il paladino della legalità non ha emesso lo scontrino fiscale”.
Sorridi e continui a camminare sotto il solleone.

giovedì 20 agosto 2009

Eziopatogenesi dello sputtanamento della politica

Quando, in un caldo pomeriggio di agosto, non sai come fare per far passare il tempo mentre attendi di portare la gatta a consulto dal veterinario, finisce che, senza sapere come, capiti su un sito tra i tanti, in cui trovi una ricostruzione storica illuminante.
È Filippo Ceccarelli a ricostruire, in un articolo del lontano 1999, il vortice di progressivo sputtanamento della nostra classe politica, realizzato con la sua entusiasta partecipazione:
  • La tv spazzatura.
    Visto anche il successo della deriva sadica di Cipria, la produzione televisiva stabilì che si poteva andare oltre. E il masochismo politico assecondò tale pulsione. Andarono così in onda trasmissioni di autentico e pregiudiziale dileggio di cui Politistroika, pur con tutti i suoi limiti, si può considerare capostipite.
    Spiegava il conduttore, Patrizio Roversi: "Il nostro obiettivo è quello di sdrammatizzare il mondo della politica. Più che satira vogliamo fare informazione divertita e divertente. In fondo non c'è nulla di perverso o scandaloso nel pretendere che i politici si comportino come uomini di spettacolo...". Ebbene, la chiave per interpretare il programma stava tutta in quella paroletta, in quel verbo: pretendere. La televisione cominciava ad avere la consapevolezza di aver preso prigioniera la politica. Non ne valutava gli effetti sul lungo periodo, ma sul breve poteva funzionare. E funzionò.
    Gli ospiti venivano chiusi in certe cabine e sottoposti a domande bizzarre, a test; oppure veniva loro richiesto di improvvisare comizi. Il modulo venne perfezionato - a destra - dai comici dell'ex Bagaglino: senza cabine, ma con gli onorevoli che dovevano, accanto ai comici, raccontare delle barzellette.
    Il ministro Fabbri, indimenticato, raccontò quella della "passera scopaiola", che è un uccello, tra gli sghignazzi del pubblico e di Pippo Franco; il quale, una sera, ebbe anche il modo di sgridare l'onorevole Bassanini che aveva raccontato di quella volta che un suo rivale (l'onorevole Gangi) l'aveva schiaffeggiato in pieno Transatlantico dicendogli: "Faccia di merda!". "E no, e no, onorevole - lo rimproverò allora Pippo Franco - qui in tv le parolacce non si dicono!".
    Dopo le barzellette, le ricette. Dopo le ricette, le prove gastronomiche - e affettando una carota il ministro Romita si tagliò un dito. Dopo le prove di abilità manuale, i travestimenti. Un deputato dell'Union Valdotaine fu ripreso vestito da orso; l'onorevole Casini uscì fuori da un uovo di Pasqua…
    Questi comportamenti divennero norma; o meglio, divennero un genere.
    A un certo punto parve normale di vedere Giorgio Benvenuto, con le scarpe, sdraiato sul lettone di Amanda Lear.
    I politici seguitarono ad affettare patate e a recitare poesie, si vestirono da pazzi e fecero di tutto anche nella vita normale, o in quella zona dell'esistenza ormai contaminata e invasa da una schiuma metà spettacolare e metà autopubblicitaria.
Il resto potete leggerlo su Golem

mercoledì 19 agosto 2009

A margine della solita tempesta estiva in un bicchier d'acqua...

A me, "Fratelli d'Italia" piace. Perché, in un Paese dimentico di sé, rapresenta un bigino i quello che fu la lotta per il nostro Risorgimento. Poi, probabilmente è brutto, ma non è bello ciò che è bello...

...a proposito di questo dibattito estivo (eternamente ritornante), non c’è dubbio che tra “Va’ Pensiero” e l’Inno di Mameli non c’è partita: il primo è bellissimo, il se-condo è molto brutto, come pensava, fin dall’inizio, Giuseppe Mazzini. Il primo contiene forse non bei versi, ma un concetto fondativo ed entusiasmante: la libertà. Ed esalta la volontà di riscatto di un popolo oppresso. anzi schiavo, nonchè la dolcezza degli affetti legati al luogo in cui si è nati e cresciuti. Il secondo è denso della più vieta retorica bellicista e maschilista, con quella celebrazione di Roma che sta un po’ tra il ridicolo e l’osceno (“Dov’è la vittoria...che schiava di Roma Iddio la creò”) e quell’invito eroico che oggi suona quasi come una comica ( “Stringiamoci a coorte\siam pronti alla morte”). Perché mai, quando nacque la Repubblica e si trattò di sosti-tuire la “Marcia Reale” (e “Giovinezza” che per vent’abnni erano stati i due inni nazionali di fatto) i costituenti decisero per Mameli-Novaro, è un vero e proprio mistero. E’ vero che la marcetta risorgimentale era nota, cantata e forse perfino (?) apprezzata, ma certo non più del coro di Verdi. E allora? Allora, forse, pesò il fatto che l’Inno di Mameli aveva il carattere battagliero e appunto “marciante” che in genere hanno gli inni nazionali - anche i più belli, come la Marsigliese. O la banale considerazione che si trattava davvero di un parto risorgimentale, scritto da un giovane e ardente eroe repubblicano - là dove il “Va’ Pensiero” si riferiva ad un altro popolo e non era abbastanza roboante. Misteri d’Italia, ad ogni modo.
Ora, ad autunno, ci dovremmo occupare di questioni più urgenti. Certo, se il “Va Pensiero” diventasse finalmente l’Inno nazionale, noi (personalmente) saremmo molto contente. Ma non sarebbe una vittoria di Umberto Bossi: sarebbe una “vittoria” di Giuseppe Verdi, la nostra vera gloria nazionale in fatto di Musica - con la emme maiuscola.


Rina Gagliardi, l'Altro

Riforme istituzionali: referendum sul colore dei tram a Milano

Dopo avere completato la ricolorazione degli storici tram “serie 1500” (generazione 1928, mica fave) in bianco panna e “giallo Milano”, ATM ha messo in circolazione sulla linea 14 un prototipo del tram Sirietto con la stessa livrea, che accomuna tra l’altro anche le biciclette del servizio di bike sharing BikeMI.

Per l’occasione, ATM ha lanciato un sondaggio tra i visitatori del proprio sito internet, per scoprire se la proposta di estensione della livrea “giallo&panna” trovasse dei sostenitori.

Personalmente direi che il prototipo “giallo Milano” è fantastico, lega molto bene i mezzi moderni a quelli più antichi, e fosse per me tutti i tram della nostra città, di qualunque generazione, dovrebbero adottare la nuova/antica livrea.
Se poi si trovasse modo di far sparire anche quegli orripilanti verdoni con le foglie che appestano i filobus, meglio ancora: io ricordo gli originali mezzi “verdoni” e non si trattava di quel verde, ma di uno molto più sobrio, più “milanese”. Quindi, dal mio punto di vista, o si torna al “vero” verde dei mezzi pubblici milanesi, oppure tanto vale tenersi l’arancione da metalmeccanici…

Nota per il professor Sartori

C’è un grande uomo molto ricco e non troppo alto, spiritoso, titolare di un impero mediatico e finanziario, proprietario di numerose ville e di altrettanti jet privati che, una volta sceso direttamente nell’agone della politica, ha accumulato tanto potere e addirittura triplicato la propria ricchezza, al punto di far preoccupare per le sorti delle istituzioni democratiche uno dei baluardi della sinistra liberal come il settimanale New Yorker.

Il fenomeno di questo particolare imprenditore divenuto politico, scrive il settimanale di New York, che comunque lo sostiene e ne apprezza le capacità politiche e filantropiche, “non si può dire che sia democratico”.
L’uomo “è un intoccabile”, “ha comprato la sua carica a suon di milioni, spazzando via ogni record di spesa elettorale”, ha “modificato le regole a suo piacimento”, riempito le caselle delle lettere con sette o otto brochure patinate sulle sue straordinarie e riconosciute capacità di governo, costruendo un “carnevale di contorti interessi personali” e “una rappresentazione della vita tipica da Repubblica delle Banane”.

Governa con quella giusta dose “populista”, credibile nonostante le enormi ricchezze, è dotato di “una grande popolarità” e il suo “liberalismo pragmatico e paternalista” è molto apprezzato.
Gli organi di stampa sono tutti schierati dalla sua parte, anche quelli non di sua proprietà, e anzi ci sono colleghi di business e di politica che gli chiedono apertamente di far entrare nelle sue scuderie mediatiche, che già oggi contano più giornalisti del New York Times e del Washington Post, il Times e altri giornali in crisi e quindi di trasformarsi nel cavaliere bianco capace di salvare dalla crisi l’industria giornalistica.

Malgrado il rapporto privilegiato con la stampa, scrive ancora il New Yorker, all’imprenditore politico non piace rispondere alle (poche) domande scomode che talvolta qualche cronista gli rivolge. In genere, però, si assiste al fenomeno che il settimanale newyorchese definisce di “genuflessione anticipata”, quello secondo cui i suoi potenziali avversari si adeguano volentieri ai voleri del nuovo “Medici” perché “lavorare per lui è un’opportunità da non scartare con leggerezza, visti i possibili e generosi bonus” con cui, per esempio, “pagare il college ai figli”. Aggiunge il New Yorker: “L’accusa di comprarsi le elezioni questa volta si è tramutata in quella ancora più preoccupante di usare il portafoglio per prevenire qualsiasi competizione”. E nessuno gli ha rinfacciato di aver trovato il modo di far soldi anche in tempi di crisi, ricomprandosi per quattro miliardi e mezzo, dalle banche d’affari a corto di liquidità, quel venti per cento del suo impero che finora era stato costretto a condividere.

L’uomo dei sogni, ma un po’ anche degli incubi del New Yorker, è una delle icone dell’intellighenzia liberal d’America.
Si chiama Michael Bloomberg e si appresta a guidare New York per la terza volta consecutiva, con il via libera del New Yorker e delle sue garbate critiche al King of the Conflict of Interests.

Camillo

martedì 18 agosto 2009

La bolletta, mandiamola a Pecoraio Scanio

Kyoto e l'effetto serra:
un'eco-bolletta da 840 milioni

Cinquecentocinquanta milioni di euro, solo per il 2009, che potrebbero diventare 840 entro il 2012. È il conto, salato, che l'Italia rischia di pagare se vuole rispettare il tetto imposto alle emissioni di CO2 (anidride carbonica), gas ritenuto responsabile dell'effetto serra e del riscaldamento globale. Un costo per il paese, in difficoltà sui target, frutto di una negoziazione condotta un anno e mezzo fa a Bruxelles (era ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio). Rispetto ai limiti imposti dall'Europa infatti (l'Italia tra il 2009 e il 2012 può liberare nell'aria 201 milioni di tonnellate di CO2), avremo emissioni in eccesso per 56 milioni di tonnellate. Ciò rappresenta un costo: per produrre corrente elettrica, carta, cemento, acciaio e altre materie prime essenziali, il paese dovrà acquistare sui mercati internazionali dell'anidride carbonica diritti di emissioni che costano in media sui 12-15 euro la tonnellata. La stima di spesa per il sistema Italia per rientrare nei parametri è così nell'ordine degli 840 milioni. I tempi sono stretti. Nel solo 2009 si stimano 37 milioni di tonnellate di anidride carbonica di troppo, pari appunto a un costo di 550 milioni. Le conseguenze possono essere pesanti: già in autunno la nuovissima centrale a carbone che l'Enel ha finito da poco a Civitavecchia potrebbe rischiare lo stop. Stesso scenario per un'altra ottantina di impianti di ogni genere. Il problema riguarda infatti soprattutto le nuove installazioni. Ovviamente, tutto ciò non avrebbe alcun beneficio ambientale e si limiterebbe in un trasferimento semplice e diretto di denaro dai cittadini italiani verso chi ha diritti di emissione. Per esempio, verso le imprese tedesche e francesi (meno efficienti di quelle italiane sul fronte delle emissioni) i cui governi hanno negoziato a Bruxelles limiti assai più agevoli, anzi, così agevoli e comodi che gli impianti esteri possono emettere anidride carbonica a tonnellate senza nemmeno avvicinarsi ai tetti europei. L'allarme viene da una relazione del Comitato di gestione del Protocollo di Kyoto, autorità che ogni paese europeo deve darsi per seguire gli aspetti operativi e tecnici per ridurre la CO2 liberata in aria dalle ciminiere. In Italia il Comitato di gestione è formato dai ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico, ed è presieduto da Corrado Clini, direttore generale al ministero dell'Ambiente. Nei giorni scorsi il Comitato ha mandato uno studio ai ministri Giulio Tremonti (Economia), Stefania Prestigiacomo (Ambiente), Claudio Scajola (Sviluppo economico), Franco Frattini (Esteri) e Andrea Ronchi (Politiche comunitarie). La relazione dice che il piano nazionale delle emissioni per il periodo 2008-2012 «ha attribuito agli impianti esistenti 184,7 milioni di tonnellate di CO2 l'anno, mentre 16,93 milioni di tonnellate l'anno sono state destinate alla riserva nuovi entranti ovvero agli impianti che al momento della notifica del piano nazionale alla Commissione europea non avevano ancora ottenuto l'autorizzazione ad emettere gas ad effetto serra o non erano ancora entrati in esercizio. La rilevante differenza tra il fabbisogno stimato e l'assegnazione delle quote con il piano nazionale, come previsto ha determinato e sta determinando una situazione di particolare criticità, soprattutto per quanto riguarda la riserva nuovi entranti». Per il ministro dei rapporti con l'Europa Andrea Ronchi «i nuovi dati dimostrano che il governo italiano ha fatto una battaglia giusta, anche se solitaria nella fase iniziale, per correggere errori e velleità del passato che finiscono solo per avere una ricaduta su imprese e consumatori». Un fatto – insiste il ministro – «che è ancora più grave proprio perché nel frattempo si è aggravata la crisi dell'economia mondiale: l'ambiente è un tema strategico e rappresenta una risorsa ma va affrontato con ragionevolezza e senza demagogia». Tutto nasce dall'aver voluto fare i “primi della classe”. Il 28 febbraio 2008 l'Italia aveva proposto a Bruxelles un “tetto” massimo annuale di quote inferiore di almeno il 15% rispetto al fabbisogno necessario: 201,63 milioni di tonnellate, contro una stima di almeno 230 milioni data dai ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo Economico. Proposta piaciuta a Bruxelles e a tutti gli altri paesi europei, pronti a vendere a caro prezzo alle imprese italiane i diritti di emissione che loro avevano in eccesso. Il governo di allora si chiese: e se ci fossero problemi? L'unica risposta per proteggere la competitività delle imprese italiane fu l'impegno del governo – in caso di deficit di quote – a comprare con soldi pubblici i diritti e a donarli a tutti i nuovi impianti industriali che sarebbero entrati in servizio a partire dal 2008. In altre parole, è stato scaricato sul pubblico il costo di una distorsione ideologica a danno dell'economia italiana.
Per il Comitato di gestione di Kyoto, come soluzione potrebbe essere valutato il ricorso a un soggetto terzo (come la Cassa depositi e prestiti) per anticipare i soldi necessari a comprare i diritti di emissione, con un successivo rimborso da parte del sistema pubblico. «Avevo ripetutamente e invano segnalato al ministro dell'Ambiente di allora – ricorda Clini – che, considerati gli elevati livelli di efficienza energetica delle imprese italiane, un tetto inferiore al fabbisogno avrebbe comportato costi aggiuntivi ed effetti distorsivi per l'economia italiana. Ma il ministro era convinto che in questo modo le imprese italiane sarebbero state costrette a investimenti in nuove e più efficienti tecnologie».

lunedì 17 agosto 2009

Ferragosto carcerario

Sollecitati dai radicali, 150 parlamentari sono andati in giro per le carceri italiane.
Mi sfugge la simbologia ferragostana, dato che il lavoro ispettivo dovrebbe essere fatto tutto l’anno ed a sorpresa.
Il problema, comunque, è solo marginalmente nelle celle. Si trova in Parlamento. A volere essere volenterosi, quindi, si dovrebbero evitare ferie infantilmente lunghe e far funzionare decentemente il potere legislativo.

Le carceri, infatti, sono sovraffollate, ci siamo beccati, come italiani, anche una condanna europea per trattamenti disumani (e se, com’è giusto, anche gli altri detenuti la prenderanno ad esempio, nei prossimi anni pioveranno a centinaia), ma il dato più drammatico consiste nel fatto che più della metà dei detenuti è in attesa di giudizio.

Morale: le celle fanno pena, ma la giustizia è in condizioni di gran lunga peggiori.
Fin quando la politica si occuperà della giustizia solo per strumentalizzare le indagini che riguardano gli avversari e tutelarsi da quelle che entrano in casa propria, a questo disastro non si porrà rimedio.

Posto che i detenuti sono, in maggioranza, cittadini presunti innocenti, moltissimi destinati a restare tali, è singolare che la gran parte di quelli condannati debba ancora scontare una pena inferiore a tre anni.

Ciò significa che riformando i tempi della giustizia (a proposito: i magistrati hanno ferie più lunghe dei parlamentari, ed è una bella gara!) e rendendo obbligatori i termini temporali che procure, tribunali e corti devono rispettare, si riuscirebbe non solo ad avere maggiore certezza del diritto, ma anche condizioni meno disumane nello scontare l’eventuale pena.

Finito il giro carcerario, pertanto, i signori parlamentari sono pregati di non tornare indietro sostenendo che servono più soldi e più celle, giacché in quel modo non si farebbe che fornire un alibi ad un sistema giudiziario in coma.

Servono più diritto, più diritti, più giustizia, più lucidità nell’impostare riforme profonde, che non siano l’eterno rincorrere le emergenze. Serve maggiore autonomia del legislativo dal ricatto del giudiziario, e la totale estraneità del giudicante rispetto a chi sostiene l’accusa. Serve coraggio e determinazione.
Le buone parole di metà agosto, invece, sono inutili, ed aumentano la sgradevole sensazione d’appiccicaticcio.

domenica 16 agosto 2009

libertario sociale di centro destra sinistra?

My Political Views
I am a center-left social libertarian
Left: 1.14, Libertarian: 3.8

Political Spectrum Quiz

E le dieci domande agli Agnelli?

L'eventuale frode fiscale di Gianni Agnelli non ha indignato nessuno.
Giuseppe D'Avanzo non si è scandalizzato.
Ezio Mauro non ha dieci domande da fare agli eredi del maggior casato imprenditoriale d'Italia.
Gad Lerner non ha tuonato sui vizi di un grande imprenditore.
"Stampa" e "Corriere" hanno taciuto e messo a riposo i loro commentatori.

Avranno pensato che finché non c'è la prova certa della colpevolezza, il defunto Avvocato è innocente.
Peccato che per altri eventi giudiziari non hanno mostrato lo stesso rispetto del garantismo.

Siamo di fronte a un grande scandalo del sistema informativo italiano.
I nostri colleghi scelgono gli imputati o gli imputabili.
Se appartengono alla loro stessa parte politica o sono nei consigli di amministrazione delle loro case editrici preferiscono sorvolare.
Gli altri, politici compresi, vanno invece additati al ludibrio della pubblica opinione.

Vi ricordate i guai di Berlusconi, escort comprese?
È successo un ambaradan fino a far traballare un governo che io non ho votato ma che è stato scelto dalla maggioranza degli italiani.
Vi ricordate lo scandalo Unipol, quella telefonata con la tragica frase "Abbiamo una banca"?
Sono stati costruiti servizi e commenti per settimane e settimane.
Ora invece tutto tace.

Eppure siamo di fronte alla più grande truffa ai danni dello Stato, se sarà provata, ma nessuno si scandalizza, nessuno si interroga sul rapporti fra Agnelli (e i suoi intellettuali) e il Paese.
Poi vi chiedete perché vince Berlusconi.

Peppino Caldarola per Il Riformista

venerdì 14 agosto 2009

Canale è innocente, la falsa antimafia no

Le cose che seguono sono adatte solo a lettori con lo stomaco forte, resistenti alla depressione e capaci di dominare la rabbia. Una storia come questa, che riguarda il carabiniere Carmelo Canale, grida vendetta. Quanto meno ci obbliga alla memoria, che è scandalosa. Un uomo onesto può anche essere assolto (sono appena state depositate le motivazioni del secondo grado), ma quando tutto il male possibile è già stato fatto, quando la collettività è già stata condannata.
Canale è imputato di mafia. La sua vicenda processuale comincia nel 1996. Il 4 marzo del 1995 suo cognato, il maresciallo Antonino Lombardo, si era suicidato, nel cortile della caserma di Capaci, dopo che Leoluca Orlando Cascio lo aveva accusato di mafia, nel corso di una trasmissione televisiva condotta da Michele Santoro. Il vero scopo di quell’attacco consisteva nell’impedire a Lombardo di andare a prelevare, negli Stati Uniti, il mafioso Tano Badalamenti, che prometteva di smontare le accuse rese, de relato (per sentito dire), da Tommaso Buscetta contro Giulio Andreotti. Lombardo finì sfigurato in televisione e con pesanti minacce mafiose che lambivano la famiglia, così mise al sicuro i propri cari, non attese che altri lo uccidessero e provvide da solo. Canale fu chiarissimo: lo hanno ammazzato. Non gliela perdonarono, così anche lui finì nel tritacarne.
Fu accusato prima di concorso esterno in associazione mafiosa. Poi, fra il primo ed il secondo grado, di essere direttamente affiliato alla mafia, curandone gli interessi. C’è un dettaglio: egli era il “braccio destro” di Paolo Borsellino, come si legge nella sentenza, che lo chiamava “fratello”. L’accusa, fra le altre cose, utilizza questo rapporto per affermare che gli consentiva di avere anticipato accesso alle inchieste, che poi rivendeva ai mafiosi. Già, però questo poteva avvenire solo in uno di questi due casi: a. che Borsellino fosse connivente; b. che fosse del tutto cretino. Ma è un dettaglio che si sono gettati alle spalle. Quel che contava era far tacere Canale, e ci sono riusciti. Quelli della procura, intendo. Ora uno dei procuratori ha anche fatto carriera politica, è assessore regionale. Chissà non sia una delle voci pronte a spiegare in che consiste la “questione meridionale”. Siamo tutt’orecchi.
Il 15 novembre 2004, otto anni dopo le prime accuse, Canale è assolto in primo grado, perché il fatto non sussiste. Il 17 luglio 2008, dodici anni dopo, è assolto in secondo grado. La corte fissa in novanta giorni (come prevede la legge) i termini per il deposito delle motivazioni, che, però, arrivano solo in questo agosto 2009. Tredici anni dopo. Con ogni probabilità la procura ricorrerà in cassazione. Tanto a loro non costa, e perdere tempo è già un successo. Già, perché con la carriera bloccata, essendo imputato, Canale è stato posto a riposo. Con lui riposa la nostra sete di giustizia.
La lettura delle 126 pagine, che motivano la conferma dell’assoluzione, perché il fatto non sussiste, è tanto istruttiva quanto impressionante. I giudici premettono una lunga disamina su come devono essere utilizzate le dichiarazioni dei collaboranti, volgarmente ed imprecisamente detti “pentiti”. In pratica: non basta che dicano cose coerenti, non basta che si confermino fra di loro, ci vuole anche un riscontro, qualche cosa che somigli ad una prova. E qui non ce n’è neanche mezza. Lo dice il tribunale di primo grado, lo conferma, spesso con le stesse parole, quello di appello. Più sonora ed umiliante bocciatura delle accuse è difficile immaginare.
I pentiti che accusano Canale sono tanti, alcuni di alto rango, nella scala dei disonorati, come Siino e Brusca (quello che uccise Falcone, che fece strangolare e sciogliere nell’acido un bambino, quello che volò in aereo con Violante e gli ricordò gli accordi presi). I giudici di secondo grado lavorano di fino: il fatto che questi collaboranti siano credibili, che abbiano detto altre cose vere, non significa che si debba credere loro qualsiasi cosa dicono, ma, al tempo stesso, il fatto che oggi non si creda loro non fa perdere loro credibilità. Un colpo al cerchio ed uno alla botte. Ma siano sicuri?
Questi disonorati sono giunti al punto di voler dimostrare la corruttibilità di Canale affermando che chiese molti soldi per curare la figlia, gravemente malata e poi scomparsa (ed hanno sostenuto pure che chiese soldi per la tomba), salvo il fatto che la data della presunta corruzione precede di dieci anni la comparsa dei sintomi mortali. Basta questo, per capire che stanno lavorando di fantasia. Tralascio le mille altre ragioni d’innocenza, tralascio gli scrupolosi approfondimenti patrimoniali, che non trovano una sola lira fuori posto, così come la dimostrazioni che quelle cure, purtroppo inutili, furono anticipate dal servizio sanitario nazionale e che Canale ebbe l’aiuto di un vero amico, Borsellino. Tralascio tutto, ma la domanda è: perché una manica d’assassini, vergogna di tutti i siciliani, si sveglia una mattina e decide di accusare Canale? E perché si svegliano solo quando Canale denuncia le modalità della morte del cognato? E’ una troppo imbarazzante coincidenza con gli interessi della (falsa) antimafia militante. Non può essere taciuta.
So, per esperienza diretta, che nessuno accetta di parlare pubblicamente con Carmelo Canale. Orlando Cascio è stato invitato a pubblici dibattiti, ma si rifiuta. Lui, che parla anche quando dorme, in questo caso si scopre riservato, silente. Vergogna. Oggi Canale è ancora imputato, ma innocente. Noi, al contrario, siamo liberi, ma colpevoli se non dicessimo che tutta la storia di quegli anni, tutta la vicenda di Falcone e Borsellino, delle loro morti, dei processi politici e dell’antimafia deve essere scritta. Con inchiostro di sangue.