Su "la Stampa" Barbara Spinelli pubblica una riflessione accorata sulla sorte dei due ragazzi romeni che, nonostante non lo abbiano evidentemente commesso, sono ancora pubblicamente associati a un ignobile stupro, grazie al fatto che gli organi di stampa insistono a mostrarceli in tutte le salse.
Giustamente la Spinelli si indigna: i due, innocenti per questo reato (che possano averne commessi altri è irrilevante, il nostro sistema penale non dovrebbe colpire "la cattiveria", ma solo i fatti) sono da oltre un mese ben ben rosolati da giornali e televisioni, affinché i loro volti restino indelebilmente metafora della vergogna della colpa.
E continua, la Spinelli, rimarcando che questo tipo di abuso a suo avviso non è perpetrato ai danni degli italiani sospetti di violenza sessuale, mentre per i romeni sarebbe diventato norma.
E cita parole ispirate, che condivido, che ricordano come «L'esperienza insegna che pratiche riservate inizialmente agli stranieri vengono poi estese a tutti», e richiama un suo collega di quel giornale, Riccardo Barenghi, che giustamente si chiede «Alla fine, quanti di noi italiani finiranno nella stessa situazione?». E cita, con Rita Bernardini. la devastante storia di Gino Girolimoni.
Tutto giusto, tutto vero, ma ce ne accorgiamo solo oggi?
Stiamo solo raccogliendo il frutto perverso della trasformazione della macchina della giustizia in una macchina da guerra, della trasformazione di ogni inchiesta in una guerra.
Una trasformazione avvenuta oltre trent'anni fa, quando lo stato borghese imbelle ha lasciato che la Magistratura prima e le forze di polizia poi si trasformassero in vendicatori, prima del proletariato oppresso, poi delle Vittime del terrorismo, poi dello Stato che soccombeva al crimine organizzato, poi della società civile contro i politici ladroni, infine dei cittadini spaventati ad arte da politici e giornali in cerca di consensi e di lettori.
E, mentre la macchina della Giustizia si trasformava in strumento della vendetta, i Diritti Civili scomparivano, la presunzione di innocenza diveniva una bestemmia, la pretesa che il Cittadino rinunciasse a ogni autodifesa per consegnarsi al suo carnefice in toga o in divisa si affermava.
Siamo arrivati al punto che di questa vergogna ce ne accorgiamo solo se riguarda due ragazzi romeni o un barista originario del Congo.
Ma la verità è che oramai il sistema ci riguarda tutti.
Io ricordo una mattina del 1983, quando un signore borghese di mezza età si ritrovò in una caserma per un'indagine contro il crimine organizzato.
Comprese subito quale meccanismo stava per stritolarlo, quando si accorse che in caserma stavano aspettando l'arrivo della stampa, per farlo sfilare in manette davanti agli obiettivi di fotografi e teleoperatori.
Quell'uomo si chiamava Enzo Tortora, questa foto non ha insegnato niente a nessuno.
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