mercoledì 19 agosto 2009

Nota per il professor Sartori

C’è un grande uomo molto ricco e non troppo alto, spiritoso, titolare di un impero mediatico e finanziario, proprietario di numerose ville e di altrettanti jet privati che, una volta sceso direttamente nell’agone della politica, ha accumulato tanto potere e addirittura triplicato la propria ricchezza, al punto di far preoccupare per le sorti delle istituzioni democratiche uno dei baluardi della sinistra liberal come il settimanale New Yorker.

Il fenomeno di questo particolare imprenditore divenuto politico, scrive il settimanale di New York, che comunque lo sostiene e ne apprezza le capacità politiche e filantropiche, “non si può dire che sia democratico”.
L’uomo “è un intoccabile”, “ha comprato la sua carica a suon di milioni, spazzando via ogni record di spesa elettorale”, ha “modificato le regole a suo piacimento”, riempito le caselle delle lettere con sette o otto brochure patinate sulle sue straordinarie e riconosciute capacità di governo, costruendo un “carnevale di contorti interessi personali” e “una rappresentazione della vita tipica da Repubblica delle Banane”.

Governa con quella giusta dose “populista”, credibile nonostante le enormi ricchezze, è dotato di “una grande popolarità” e il suo “liberalismo pragmatico e paternalista” è molto apprezzato.
Gli organi di stampa sono tutti schierati dalla sua parte, anche quelli non di sua proprietà, e anzi ci sono colleghi di business e di politica che gli chiedono apertamente di far entrare nelle sue scuderie mediatiche, che già oggi contano più giornalisti del New York Times e del Washington Post, il Times e altri giornali in crisi e quindi di trasformarsi nel cavaliere bianco capace di salvare dalla crisi l’industria giornalistica.

Malgrado il rapporto privilegiato con la stampa, scrive ancora il New Yorker, all’imprenditore politico non piace rispondere alle (poche) domande scomode che talvolta qualche cronista gli rivolge. In genere, però, si assiste al fenomeno che il settimanale newyorchese definisce di “genuflessione anticipata”, quello secondo cui i suoi potenziali avversari si adeguano volentieri ai voleri del nuovo “Medici” perché “lavorare per lui è un’opportunità da non scartare con leggerezza, visti i possibili e generosi bonus” con cui, per esempio, “pagare il college ai figli”. Aggiunge il New Yorker: “L’accusa di comprarsi le elezioni questa volta si è tramutata in quella ancora più preoccupante di usare il portafoglio per prevenire qualsiasi competizione”. E nessuno gli ha rinfacciato di aver trovato il modo di far soldi anche in tempi di crisi, ricomprandosi per quattro miliardi e mezzo, dalle banche d’affari a corto di liquidità, quel venti per cento del suo impero che finora era stato costretto a condividere.

L’uomo dei sogni, ma un po’ anche degli incubi del New Yorker, è una delle icone dell’intellighenzia liberal d’America.
Si chiama Michael Bloomberg e si appresta a guidare New York per la terza volta consecutiva, con il via libera del New Yorker e delle sue garbate critiche al King of the Conflict of Interests.

Camillo

2 commenti:

  1. Troppo facile. Il nostro (si fa per dire) "Bloomberg" non è affatto spiritoso, crede solo di esserlo.

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  2. la bellezza è negli occhi di chi guarda, il sense of humour nelle orecchie di chi ascolta...

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(ebbene sì, sono tornati i captcha o come accidenti si chiamano; purtroppo ho dovuto metterli per bloccare una nuova ondata di spammer a luci rosse)