sabato 13 novembre 2010

Sharansky ha avuto ancora ragione: non c'è braccio tanto forte da puntare per sempre le armi contro chi vuole la libertà

martedì 9 novembre 2010

Cina e diritti umani: un giorno malediremo la nostra "realpolitik"

«La Cina è un luogo dove non esiste libertà di espressione, dove l´accesso alle informazioni è limitato dalla censura, dove non si svolgono elezioni e dove la giustizia dipende dalla violenza del potere. Il mondo deve capire cosa significa trasformare un luogo simile nella prima potenza del pianeta».
L´archistar dissidente Ai Weiwei, liberato ieri notte dopo tre giorni ai domiciliari, non rinuncia ad attaccare le autorità cinesi. Accusa però la comunità internazionale, dopo la crisi economica del 2008, di aver «rinunciato a richiamare Pechino al rispetto dei valori fondamentali per paura di perdere qualche affare».
Perché le viene consentito di avanzare critiche che la Cina giudica illegali?
«Perché Internet è un´arma più potente del regime. Ormai tutti sanno tutto, anche in Cina, e questa forza causerà il crollo della dittatura. E´ la ragione per cui tutti i leader del mondo devono porre a Pechino il problema della violazione dei diritti umani».
Le pare che l´impegno internazionale sia venuto meno?
«L´atteggiamento globale fa pietà. Arrivano in Cina capi di Stato e di governo e nessuno osa pronunciare in pubblico le parole "diritti umani". Come possono essere così miopi? I grandi leader, dopo il Nobel per la pace, non si arrischiano nemmeno a dire il nome Liu Xiaobo. I figli dell´Occidente malediranno questo errore».
Pensa che il regime cinese sia colpa dell´Occidente?
«No, ma Usa ed Europa sono responsabili della sua durata e della sua crescita. Governo e società cinesi non sono efficienti come si dice. Istruzione, ambiente e diritti dei lavoratori sono sacrificati da un sistema inumano. Si arricchiscono i funzionari del partito e i loro amici-schiavi. Non durerà a lungo e l´Occidente sarà il primo a pagare il crollo di questa Cina».
Venerdì l´hanno arrestata, ma la sua festa-denuncia si è svolta lo stesso: perché?
«Domenica volevo festeggiare la demolizione forzata del mio atelier di Shanghai, celebrare la vendetta del potere con gli amici. La polizia ha preso me, ma non è riuscita a imprigionare altri seicento individui liberi. Temevo per la loro incolumità, li ho invitati a stare a casa. Invece hanno sentito la "festa dei granchi" come una responsabilità. Per il governo è stato uno shock, è stato molto commovente».
Le sembra possibile che la Cina scelga le riforme?
«Non che le scelga, ma che il cambiamento ci travolga. E´ già in atto, davanti a noi, e cambiare è l´unica possibilità per evitare un bagno di sangue».
Grazie alla sua fama, lei è sempre stato libero: perché ha scelto lo scontro?
«L´umanità ormai è globale. Se i diritti fondamentali vengono cancellati dal denaro e la democrazia cede alla dittatura, presto nessuno sarà più libero. La Cina è lo specchio che riflette il futuro del mondo, non vederlo sarà una tragedia per tutti».
Non teme il carcere?
«Non ho alternative. Potrei solo lasciare la Cina, ma la mia terra è qui. Però se tutto il mondo alza la voce, mi sento più tranquillo».
Andrà a Oslo, il 1º dicembre, per ritirare il Nobel per la pace di Liu Xiaobo?
«Sarebbe un onore, ma temo che se raggiungessi l´Europa, il governo cinese non mi lascerebbe più tornare in patria. Spero però che migliaia di persone, di tutto il mondo, si presentino a Oslo con una maglietta con la scritta "Io sono Liu Xiaobo". Pechino non potrà più fare finta di nulla, se la società civilizzata smetterà di considerare la Cina una nazione civile».

Gianfranco Fini, visto da sinistra

Complice la consueta azione miope del quotidiano la Repubblica, sta passando nel paese una sorta di canonizzazione della figura politica di Gianfranco Fini, contrapposto nel ruolo dell’eroe buono a quel cattivone di Silvio Berlusconi.

Eppure meglio mille Berlusconi di un solo Fini. Berlusconi è quanto di più opposto possa essere immaginato rispetto ad una politica democratica, sogna di farsi dittatore, ma dittatore alla Lukaschenko, dittatore “amato” dalla gente. Insomma, sogna di prendere l’ottanta per cento alle elezioni e questo sogno è così patetico che lo manifesta con atti che sono anche tenera ingenuità: è chiaro che fare deputato o ministro una propria amante non è solo (ovviamente) un atto politicamente immorale, è anche il gesto di un insicuro, come il circondarsi dei vari Bondi e Bonaiuti, gente che al Capo sa solo dire sì. Che dire poi del ruolo di “zio capace” svolto da Gianni Letta?

In più Berlusconi è politicamente coerente: è un populista classico e da populista ha svolto tutta la sua azione politica, che può essere spiegata come l’ascesa di un parvenu ricchissimo e imprenditorialmente geniale che, complice la debolezza estrema della classe politica tradizionale in particolare di centrosinistra tutta introflessa a provare a salvaguardare stipendi e destini personalissimi, ha coperto uno spazio politicamente scoperto ottenendo (anche grazie all’uso disinvolto di mezzi di comunicazione di sua proprietà) un consenso mai visto nella storia della Repubblica italiana.

Gianfranco Fini chi è? Gianfranco Fini è un uomo che passa i primi quarant’anni della propria vita a esaltare il fascismo, a tenerne in vita la memoria celebrando ogni 28 ottobre la marcia su Roma, per poi convertirsi alla democrazia dopo aver fatto il candidato a sindaco di Roma nel 1993, non senza proclamare in quello stesso anno che “Mussolini è il più grande statista del secolo”, che i gay non dovrebbero insegnare, che da nazionalista convinto non poteva “mai e poi mai” stringere patti con la Lega. Nel 1994 una strana alleanza proprio con la Lega lo porta al governo e l’anno successivo con grande opportunismo rinuncia ai simboli fascisti, mette in soffitta il Movimento sociale italiano e fonda Alleanza nazionale.

E’ solo l’inizio di mille travestimenti e giravolte. Disprezzato dalla destra dura e pura che lo vede come un “traditore”, Fini prova a vestire diversi abiti finché non ne trova uno che gli stia comodo addosso, come quello cucitogli addosso oggi da la Repubblica, quello di “eroe buono” appunto. Ma in realtà il Fini di governo è quello che sta nella sala operativa nei giorni del G8 di Genova nel 2001, che nel 2002 promuove la inumana legge Bossi Fini sull’immigrazione, che vota silenziosamente tutte le leggi ad personam fino allo splendido 2007 che si chiude con la nascita del Pdl e Fini che dice: “Non c’è nessuna possibilità che An entri nel Pdl, siamo alle comiche finali”. Salvo accomodarsi docilmente sul predellino due mesi dopo, ottenere lo scranno di presidente della Camera e da lì fare i comodi propri, incurante della delicatezza del ruolo istituzionale che svolge.

Giafranco Fini è un opportunista molto pericoloso, interessato solo al potere e senza senso delle istituzioni, che per il potere può sacrificare qualsiasi ideale, perché non ne ha. E’ un politico pragmatico che sta peraltro prosciugando il bacino elettorale del Pd, complice l’imbarazzante inazione della segreteria Bersani verso la quale bisognerebbe organizzare una forte area di opposizione interna per provare a spiegare agli italiani che il Partito democratico non è morto e non si preoccupa solo di inciuciare per rimuovere Paolo Ruffini dalla Rai o per consentire a Berlusconi di difendersi “nel processo e dal processo” (Enrico Letta dixit).

I democratici italiani pagheranno a caro prezzo l’errore strategico colossale di esaltare il movimentismo di Fini per provare a mettere in difficoltà Berlusconi.

Da avversario, preferisco senza alcun dubbio Berlusconi a Fini. Meglio il populista dell’opportunista, meglio il conservatore del trasformista. Anche perchè il populista conservatore si può politicamente battere, l’opportunista trasformista può mettere la democrazia italiana politicamente knock out.

SONIA TRIGIANTE

Alla conferenza della famiglia, a guardare "Lascia o raddoppia?", in bianco e nero ovvviamente

Molto interessante, ieri, a Milano, il forum dedicato alla famiglia anni Cinquanta: soprattutto molto in linea coi tempi. Sembrava uno di quei film del Dopoguerra con Gregory Peck, solo che in questo c'era Giovanardi. L'aveva organizzato quel «Forum delle associazioni familiari» che si è permesso di eccepire sulla presenza del Presidente del Consiglio e che è, in sostanza, un movimento politico legato alla vecchia Cei di Camillo Ruini, roba in parte pagata col nostro 8 per mille versato alla Chiesa: è lo stesso movimento che contribuì a formare il comitato che boicottò il referendum sulla simpatica Legge 40, quella che il mondo non ci invidia e che le corti di tutto il Paese stanno giustamente demolendo.

Molto appropriato anche l'invito del sottosegretario Eugenia Roccella che ha ritenuto di dover specificare che gay e trans erano i benvenuti, come fanno certi cartelli coi cani fuori dai negozi.

Mirabolanti e inimmaginabili anche le novità evidenziate dal Forum: i matrimoni calano, i figli pure. Fermate le rotative.

I matrimoni calano, già. L'unica cosa da fare - hanno spiegato Carlo Giovanardi e Maurizio Sacconi, sottosegretario al welfare e ministro della Sanità - è creare un nuovo fisco che premi le famiglie tradizionali, ma solo quelle che facciano figli, appunto. Un'idea nuova che in effetti non risale agli anni Cinquanta ma direttamente al Fascismo. Dopodiché il Forum ha proseguito cedendo la parola alle istanze libertarie e progressiste del Paese: ha parlato l'arcivescovo Dionigi Tettamanzi.

Più tardi ancora, spenta la tv a valvole, si tornava nel mondo reale - cinquant'anni dopo, a colori - laddove la maggioranza delle coppie di conviventi, in Italia, non sono persone che si vogliono sposare: ma che non riescono a risposarsi. Non sono ovviamente coppie di omosessuali, visto che da noi non possono sposarsi essendo il nostro il paese più arretrato d'Occidente, e non si tratta neppure di coppie che per scelta o ragioni ideologiche (quali, poi) rifiutano di regolarizzarsi con un contratto legale già esistente, ciò che è il matrimonio. Macché. Sono coppie da anni impaludate in separazioni e divorzi che prevedono tempi ancora lunghissimi e fuori da questa epoca. Ma in Italia non si ritiene che l'istituto della famiglia, nei secoli o nei lustri, si sia trasformato come avviene per tutto ciò che non muore ma semplicemente si trasforma: i divorzi esistono - nondimeno, numerosissimi, quelli della Sacra Rota - e le coppie di fatto, spesso, rappresentano solo delle responsabili liste d'attesa. Tutto il resto viene dopo: ma quelli del Forum forse non l'hanno capito. Forse pensano che sia tutto un complotto delle lobby gay.

Ecco, i gay e i figli in provetta: ovviamente il film anni Cinquanta ha ritrasmesso anche questa datatissima polemica. Carlo Giovanardi ha difeso la legge 40 sulla fecondazione, paventando un «Far West della provetta» e prendendosela con chi, solo perché vuole avere dei figli, ritiene lecito procurarsi «materiale genetico in vendita» o trovare «terze persone che si prestano a dare l'utero in affitto». In effetti la scienza ha concesso la possibilità a migliaia di coppie di ricorrere all'adozione o alla fecondazione artificiale: negli ultimi trent'anni sono nati oltre quattro milioni di bambini da coppie non fertili e si è impedita la trasmissione di altrettante malattie genetiche: e soltanto alla Chiesa, riferimento culturale di Giovanardi e Sacconi, questo ancora non piace.

Altre polemiche nuove di pacca sono seguite alla distinzione operata da Sacconi tra coppie di «dimensione pubblicistica» e coppie di «dimensione privatistica», maniera complicata di differenziare le coppie tradizionali (uomo-donna) da tutte le altre. Le politiche pubbliche già discriminano, ha osservato Sacconi: infatti le coppie omosessuali non hanno mica pensione di reversibilità, per dire. La discriminazione dovrebbe perciò coerentemente proseguire. Tutto il mondo va in tutt'altra direzione, e in questo non c'è distinzione tra destra e sinistra: ma questo non significa, può essere che il Vaticano, pardon l'Italia, sia l'unica a vederla giusta.

Questo, aspettando Lascia o raddoppia, ritrasmetteva la nostra vecchia tv a valvole. Il Forum ha spiegato che «la famiglia è la cellula fondante della società» e dimenticava soltanto che la società cambia, diversamente dal diritto matrimoniale del nostro Paese. Perché nel nostro Paese, da destra, laddove il più normale ha quattro famiglie, negli ultimi anni non si è voluto acconsentire neppure a tempi di separazione più brevi; a sinistra, invece, si cercava di istituire un sostanziale matrimonio di serie b - esagerando, e spaventando il celebre ceto medio - col risultato che alla fine non è cambiato mai nulla, da noi. Neanche il minimo, neanche l'indiscutibilmente condiviso. Sicché, indecisi se identificarci in Camillo Ruini o in Franco Grillini - cioè tra Vaticano e gay militanti - la maggioranza del cosiddetto Paese reale si muoveva come al solito da un'altra parte, a discapito di questa classe politica di vecchi bacucchi autoriflessi, autoriferiti, fuori dal mondo.

Filippo Facci

domenica 7 novembre 2010

Aveva ragione Ciarrapico

Tutti l'hanno attaccato, ma il senatore Ciarrapico aveva ragione a suggerire a Fini di tornare a mettersi la Kippah, perché quella è l'unità di misura della serietà delle parole e delle convinzioni del nuovo idolo della sinistra e dei salotti bene. 


L'uomo per cui "Mussolini è stato il più grande statista del secolo", e che poi, senza fare una piega s'è messo a pontificare sul "fascismo male assoluto".   
Il cognato di Monte-Carlo e il legalitario in terra umbra.  
Il ministro della legge sull'immigrazione firmata con Bossi, e l'internazionalista che parla di nuovi cittadini. 
Il delfino di Almirante che voleva la repubblica presidenziale, e il deputatucolo che vuole la "discontinuità".
Voleva fare la "grande riforma", lui, e oggi parla come un Follini qualunque, evocando il tristo rituale della "verifica", con la quale i democristiani avevano frantumato i coglioni alla Nazione (altra parola che sono sicuro tra poco espungerà dal proprio vocabolario, in favore di qualcos'altro) già oltre trent'anni fa. 


Doveva essere il leader della destra moderna, capace di trasformare il centro destra nel polo di trasformazione di questo Paese verso la modernità: riforma istituzionale, alternanza fondata sulla legittimazione elettorale, moralità politica intesa come rispetto delle promesse con le quali ci si è presentati agli elettori.   
S'è mostrato l'ennesimo quadro di partito di seconda fila, beneficato dal cataclisma di inizio anni '90, occupato solo a perpetuare il sistema di potere di cui era figlio, proprio lui che in teoria non avrebbe dovuto conoscerlo, essendone stato fuori grazie al cosiddetto "arco costituzionale".  
Uno dal quale non comprare neppure la classica auto usata, perché la sua parola e le sue idee durano meno del latte fresco non pastorizzato: l'ennesimo parolaio


A un figuro del genere non si può che dire, assieme a Ciarrapico: "va a metterti la kippah… finché sarà di moda, in attesa di trovare una kefiah in tinta con le tue cravatte".