martedì 3 febbraio 2009

Un cattolicissimo pugno nello stomaco.

Questa storia non mi fa felice.
Non mi fa neppure stare bene, perché una cosa è pensare quello che pensava Eluana Englaro, come accertato da qualche sentenza di tribunale, un’altra cosa è pensare che un giorno potresti trovarti nelle sue condizioni.
Ma, più di tutto, mi opprime (non trovo proprio il termine) l’indegno circo montato intorno a questa povera ragazza e al suo coraggioso padre.
Avrebbe potuto fare come tutti, spostare la figlia in silenzio in un centro compiacente, addirittura portarsela a casa, e lì aspettare che, complice la minore qualità delle cure, una provvidenziale embolia polmonare intervenisse, o qualcosa del genere. Invece è stato onesto, e ha chiesto al nostro sistema giudiziario di pronunciarsi.
E intorno a lui si sono scatenati gli avvoltoi.
Oggi su Avvenire c’è una terza pagina che fa vomitare, una pagina da guardare, per provare il pugno nello stomaco che una simile messa in scena provoca, con quel titolo, che sembra evocare Primo Levi, che trasforma un padre in lagerfuhrer.
Nella loro “difesa della vita”, passano sopra a ogni rispetto per le persone, a ogni dignità. Sono semplicemente disgustosi.

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(ebbene sì, sono tornati i captcha o come accidenti si chiamano; purtroppo ho dovuto metterli per bloccare una nuova ondata di spammer a luci rosse)