Ivo Germano per Il Giornale
«Anni di cartone, di plastica, di "emme"...». C'è chi gli '80 li ha dragati a dovere e con piacere:Roberto D'Agostino, critico dell'effimero e giureconsulto del look. Tutto ebbe inizio con la lettura di un manualetto su come fare tv e... Un trentenne, dopo aver lavorato in banca per dodici anni e impiegato gran parte del proprio tempo libero a scrivere di musica e a proporre musica rock, come disc-jockey del «Titan», per ragazzi de sinistra, scoprì di farsi aggettivo e categoria di pensiero. Un decennio da cui pareva essersi accomiatato girando una pellicola preveggente sul rutilante ventennio successivo: Mutande pazze (1992).
Ma sono esistiti davvero gli anni '80, oppure sono un inutile blabla?
«Nel mondo sì. In Italia sono stati vissuti in maniera completamente diversa. Mi sono accorto degli anni '80 andando e guardando in giro per il mondo. Un viandante postmoderno alla Walter Benjamin che prendeva coscienza, in tempo reale, della reale dimensione del decennio: la tecnologia al posto dell'ideologia, cioè, il computer, il walkman e, alla fine del decennio, persino l'e-mail».
Quindi in Italia è sembrato di vivere un decennio, quando nella realtà non è stato così?
«Uscivamo da una "guerra civile" che aveva fatto 2400 morti, per motivi politici e ideologici. Beninteso: uso il termine in tono minore, ma il dopoguerra finisce con l'assassinio di Moro. Naturale e fisiologico il desiderio popolare e popolano di uscire dal tunnel, anche se non ancora codificato in popculture o poppolitics. Decisiva fu l'estate romana dell'assessore Nicolini. La gente tornava in piazza per vedersi, toccarsi, strusciarsi, cioè, per tornare a essere e sentirsi civile. Non può sapere la felicità di vedere 5000 persone ballare felici, per cui niente sarebbe stato come prima».
Dove sta il problema: politico, sociale, culturale?
«A rendere problematici gli '80 è l'eredità del leader politico che ne ha intercettato l'essenza, la speranza, la voglia di fare. Craxi è un problema irrisolto su cui scornarsi ideologicamente. Ma io mi chiedo: le polemiche odierne sul "caso" Zaleski sono o no molto più gravi delle "mazzette" intascate in quegli anni, fosse solo per la mera somma aritmetica?».
Allora gli '80 furono solamente un feticcio commerciale, mode, oggetti, consumi?
«Per nulla. Il riflusso è annunciato da John Travolta che interpreta l'icona del proletario nel più grande film sulla classe operaia, La febbre del sabato sera (1977). Un commesso che sente la febbre della "me-generation" descritta da Tom Wolfe, cioè lo shopping, il tempo della metropoli nella notte, come palcoscenico di look e immagini. L'ideologia aveva fatto bancarotta. A sancirlo, più di altri, Madonna e il suo cambiare immagine, in un vorticoso cambio di stagione, dal momento che l'immagine è ciò che vorrei essere. La verità vera è che tutto ciò infastidiva la sinistra che reagì, come adesso, stigmatizzando, giudicando, talvolta mescolando indignazione a un malinteso e esacerbato superiority complex. La sinistra nel momento in cui il look stravinceva ha perso più di un passaggio».
Qui lei anticipò la linea pubblicando «Come vivere - e bene - senza i comunisti»...
«Già. A Verona i tipografi bloccarono le rotative e all'Espresso gli girarono niente male, tanto che m'isolarono. In quel libro erano contenute minime verità: che era meglio il cattivo gusto di una revolverata. La linea non la dava più il "partito-chiesa", l'"intellettuale organico", ma il tg, più in generale, la tv. Purtroppo, il tic ideologico fu tale da rappresentare chi usciva, anche solo per inconsapevole svago, come un clone, peggio: un coglione. Con il risultato di allontanare la sinistra dal sentimento popolare e viceversa: regalando tre reti e non solo a Berlusconi».
Quindi «lookparade» a go go?
«Un giorno parlai ad Arbore di look. Non ne sapeva nulla. La musica, l'arte, la moda sono stati il sismografo del cambiamento. Questo erano gli '80. Con soggezione e doveroso rispetto: scrivere un libro,Sbucciando piselli, con Federico Zeri; presentare Achille Bonito Oliva e la Transavanguardia, parlare dell'ultimo successo editoriale autenticamente esplicitato da Il nome della rosa di Eco. Per non parlare di Kundera: mi bastò una puntata per farlo conoscere. Insomma, non poteva finire che con il crollo del muro di Berlino. E c'è ancora chi si ostina a chiamarli "anni di merda". Sarebbero di merda gli anni della rivoluzione informatica e digitale, della pubblicità, del design?».
Dagospia è il frutto o un lascito di quel decennio?
«È il prodotto degli '80. Ora che il popolo di sinistra guarda e vota la transizione dalla realtà all'Isola dei Famosi vinta da Luxuria. Certo, molti vivono tutto ciò scontando l'ombra ideologica, prima verso Craxi, ora nei confronti di Berlusconi. Ma qualsiasi anatema è un riporto ideologico. Ancor più quando la moneta corrente è "la mia verità diventa la tua fiction, il tuo reality"».
IL DIZIONARIO DEGLI ANNI OTTANTA
Luigi Mascheroni per Il Giornale
Venti parole per un decennio, ovvero: perché gli anni Ottanta furono la decade migliore del Novecento. Rivalutazione, a priori, di un'epoca - fortunatamente irripetibile - in cui tutto andava bene.
Abbronzatura Eleganti, belli e lampadati, gli anni Ottanta sono stati i vent'anni del Novecento, la gioventù breve del secolo lungo. Immaturi e splendidi.
Amaro Ramazzotti Che poi, la «Milano da bere» non era uno spot, ma un modo di centellinare i piaceri dell'esistenza.Aspettative Negli anni Ottanta si toccò l'apice delle aspettative accumulate dal dopoguerra in poi, perché siamo stati l'ultima generazione del '900 a essere più ricca della precedente e perché per l'ultima volta si è creduto che andando avanti il mondo sarebbe diventato migliore. Anche se presto capimmo che le rivoluzioni ci cambiano solo in peggio.
Blade Runner L'equivalente cinematografico delle Les demoiselles d'Avignon di Picasso. Rivoluzionario.
Cubo di Rubik La metafora del decennio. Come rimettere in ordine il caos che la nostra generazione si era trovata fra le mani come «regalo» dalla precedente. In media, ci abbiamo messo 35 secondi.
«Drive In» Anche, ma non solo. Ci furono pure la nascita del virtuale, la tv 24 ore su 24, l'amore al tempo delle discoteche, l'eterno presente della tecnologia, la rivoluzione dell'home computer, videogiochi a 16 bit, la leggerezza calviniana che si sostituisce al pessimismo storico dialettico. Fade To Grey dei Visage e Zoff, Gentile, Cabrini...
Duran Duran Sposerò Simon le Bon non era una speranza, ma un imperativo. Volevamo, e abbiamo avuto, tutto e subito. Non avevamo né ideali né certezze, ma se ci fossero serviti sapevamo dove comprarli.
Edonismo reaganiano Un sogno di civiltà, anche per il peggior antiamericanista.
Icone La canzone A Berlino va... bene di Garbo; le penne panna e salmone; le Burlington; il gel Tenax; gli A-ha; Miami Vice; la concorrenza; Pier Vittorio Tondelli; il buon senso; l'evasione fiscale.
Idee Molte, al posto di un'unica ideologia. Periodo di corto circuito delle idee altamente creativo, in dieci anni si è pensato tutto ciò che sarebbe stato elaborato nei venti successivi, a partire da una nuova concezione del moderno, che arrivando ovviamente dopo di noi non poteva che essere «post». Post-moderno, appunto. Qualsiasi cosa il termine voglia dire.
Indimenticabili Le avventure di Lupin III, la grande nevicata del gennaio '85, Le mille luci di New York di McInerney, la new wave italiana, il Nephenta, il Live Aid del 13 luglio 1985, la Transavanguardia, Michail Gorbaciov che annuncia il nuovo corso della perestrojka, Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio con le musiche di Philip Glass, il grunge. E soprattutto Craxi che dice no agli americani a Sigonella.
Marca Generazione a cui piaceva ostentare le etichette, ne appiccicammo una gigante con scritto «Vaffanculo» al fascismo, al comunismo, al femminismo, al capitalismo, al liberalismo, all'ecologismo e pure al pacifismo, noi che abbiamo sempre preferito gli Alphaville ai Beatles. I Want To Be Forever Young.
Moda L'importante, allora, non erano le mode, ma la moda.
Modernizzazione Non solo un televisore a testa in famiglia, ma anche un canale televisivo per ciascuno; e poi il videoregistratore per dare una forma a una memoria frammentata, un bancomat per pagare senza soldi, le lampade Uva per essere abbronzati a pezzi e ricchi integrali, le segreterie telefoniche per essere sempre presenti, la pillola trifasica per farlo sempre e comunque...
Paninari E per farla finita con le Timberland e il Moncler, va accettato il fatto che il paninarismo fu l'ultimo afflato comunitario giovanile - quando ancora i ragazzi si univano in compagnie - prima della disgregazione individualistica degli anni Novanta e della solitudine di massa dei Duemila. Wild Boys.
Plastica Dicono il disimpegno, il riflusso, la leggerezza... Semmai la moderazione, la stabilità, la concretezza. La formula perfetta, non a caso, della Democrazia cristiana.
Riflusso Semmai rivoluzione: gli anni Ottanta furono il decennio in cui si spazzarono via, indossando un bel paio di guanti da muratore di El Charro, le macerie culturali del Novecento.
Rucola Ma perché si metteva dappertutto?
Stile Federico Zeri e Roberto D'Agostino quando scrissero un libro insieme, per di più intitolato Sbucciando piselli, avevano molto stile. Purtroppo uno è morto, l'altro ha fatto Dagospia.
Videomusic Rizomatici, elettronici, anapologetici, gli anni Ottanta sono sintonizzati su Videomusic con il videoclip dei Buggles Video Killed the Radio Stars, il gesto creativo più libertario di un'epoca anarchica. Alla faccia dell'Age of Plastic.