Le ragioni di Deborah – “Scusate, ma pubblicare intercettazioni di cui la magistratura ha disposto la distruzione, è giornalismo decente?” - a parte l’abnormità della pena richiesta, da uno a 3 anni di galera, non ha tutti i torti. anzi… Lettera di Deborah Bergamini al Corriere della Sera Caro Direttore, quando in Commissione giustizia ho presentato l'emendamento che prevede la reclusione da uno a tre anni per chi si rende responsabile della pubblicazione di intercettazioni di cui è stata disposta la distruzione dall'autorità giudiziaria, immaginavo il polverone che ne sarebbe nato; la battaglia per il diritto individuale di ogni cittadino alla difesa della propria privacy tocca un nervo scoperto. È evidente che pubblicare intercettazioni che dovrebbero essere distrutte, in quanto disposte in assenza dei presupposti previsti dalla legge o perché giudicate irrilevanti ai fini processuali, lede l'art. 15 della Costituzione: quello relativo all'inviolabilità della segretezza di ogni forma di comunicazione tra cittadini. Il presidente dell'Ordine dei giornalisti, Lorenzo Del Boca, ha affermato che il mio emendamento impedirà ai giornalisti di "onorare i doveri che derivano loro dalla Costituzione". Appellarsi ai doveri costituzionali dei giornalisti per giustificare i giornalisti che violano i diritti costituzionali dei cittadini, è a dir poco paradossale. La Federazione nazionale della stampa è arrivata a profetizzare che il mio emendamento, "grave minaccia al diritto di cronaca", porti addirittura "alla cancellazione della cronaca giudiziaria". Alla Fnsi non viene in mente che pubblicare intercettazioni che un giudice ha ordinato di distruggere non significa fare cronaca giudiziaria, ma contrastare e vanificare proprio quella decisione giudiziaria. Entrambi gli esempi dimostrano la scarsa capacità del mondo dell'informazione di comprendere che in gioco non c'è il tentativo di mettere un bavaglio alla stampa, ma quello di riscrivere le regole di una normale civiltà giuridica. L'Italia è l'unico Paese al mondo in cui esiste un florido traffico di intercettazioni illecite che lega procure e redazioni giornalistiche. Invece di interrogarsi sugli abusi, la categoria si arrocca in una difesa corporativa che rappresenta una giustificazione a un comportamento per il quale qualsiasi cittadino, privo di tessera giornalistica, sarebbe perseguito penalmente. Ricordiamolo ancora: quelle di cui parliamo sono solo intercettazioni che il giudice ha ordinato di distruggere, o perché non hanno alcuna rilevanza penale o perché non hanno rilevanza ai fini del procedimento che si sta imbastendo, o perché sono illegittime; intercettazioni che possono riguardare cittadini mai indagati, offrendo all'opinione pubblica spaccati di vita strettamente personale caduta per caso nelle attività di intercettazione giudiziaria. Tutti possono cadere in questa rete. Tutti. Senza neanche saperlo. Si è detto che è sbagliato punire i giornalisti che pubblicano intercettazioni illegalmente se non si perseguono prima i responsabili delle procure che quelle intercettazioni fanno uscire. Strana logica, questa. Come dire che non si può punire un ricettatore senza aver arrestato prima il ladro che gli ha dato la refurtiva. Un modo, insomma, per non affrontare il problema. Credo che se il giornalista non avesse più interesse a procurarsi questo materiale illecito (per i rischi penali in cui incorre), i responsabili che lo fanno uscire dalle procure non avrebbero più interesse a darglielo. E in ogni caso non si esclude affatto la responsabilità di coloro che consentono al giornalista la pubblicazione del materiale illecito. L'emendamento mira a far rientrare nella tipologia dei reati delittuosi un'azione che oggi costituisce un reato contravvenzionale, già punibile anche con l'arresto ma che di fatto consente al giornalista di subire una sanzione meramente pecuniaria. Per fare questo non ho avuto bisogno di inventare un provvedimento di "valenza criminale", come ha affermato l'on. Di Pietro. Mi è bastato estendere per analogia ciò che è già previsto dall'articolo 167, comma II, del Codice della privacy, che prevede la reclusione appunto da uno a tre anni per la divulgazione di dati personali la cui cancellazione sia stata disposta dall'Autorità giudiziaria o dal Garante della privacy. I contenuti delle intercettazioni sono da considerarsi a tutti gli effetti "dati personali" (art. 4 dello stesso Codice). La loro pubblicazione illegale è un danno ancora più grave della semplice divulgazione di un dato personale, perché vengono diffuse informazioni che attengono alla propria sfera privata (e di frequente a quella più intima) ma che sono anche state carpite attraverso un'attività di intrusione particolarmente invasiva, che non sarebbe dovuta avvenire, tanto che un giudice ha ordinato la distruzione di quel materiale. Il presidente dell'Ordine dei giornalisti ha affermato che il mio emendamento è frutto di "risentimento personale", richiamando una vicenda che mi ha vista coinvolta proprio in un caso di pubblicazione di intercettazioni da distruggere. Ho messo da parte il risentimento da tempo. L'abuso e la violenza subiti richiederebbero qualcosa di più di un risentimento. Ma è mio compito continuare a impegnarmi per garantire, in questo Paese, una legislazione che tuteli il cittadino e il suo diritto alla privacy. Dovrebbe essere una battaglia anche del mondo del giornalismo; specialmente di quello libero. |
sabato 28 febbraio 2009
Qui si sta con la Bergamini
lunedì 23 febbraio 2009
Wired...
Boh, io l’ho comprato. E l’ho pure letto.
Ci sono alcuni begli articoli, ma il tono non mi entusiasma.
Ha un che di agiografico che mi pare fuori dal tempo, come se la redazione italiana fosse uscita da una capsula del tempo e pensasse ancora in quello stucchevole modo dei primi anni di internet, quando qualunque cosa che fosse “.com” sembrava portatrice di un futuro grandioso… e poi invece ci ha regalato il crack di Freedomland, o le azioni che hanno perso il 99% del proprio valore di collocamento (come Tiscali, dai 46€ del ’99 ai 34 centesimi di venerdì scorso)…
Non so, sembra un incrocio tra Men’s Health, Focus, GQ e Vanity Fair, con belle immagini, bella carta, bella pubblicità, ma - forse - è un prodotto per wannabe, non per niente arriva in Italia sedici anni dopo la sua prima edizione…
Detto questo, abbonarsi per due anni costa una miseria: 19 euro (è una promozione, solo nella rivista o in questo link, sennò sono 24€), in fondo si possono pure buttare, per poter leggere le vite dei santi dell’era digitale.
Dimenticavo: questo numero ha sì un articolo importante: quello dedicato a don Verzè, che racconta ancora una volta la sua convinzione di come Dio – a differenza di quel che pensano certi suoi colleghi – non ci voglia affatto sofferenti e malati.
domenica 22 febbraio 2009
L’auto del cactus…
Non ho resistito e le ho fatto qualche scatto col fido telefonino; che dire? a me non dispiace…
Testamento biologico: o liberale o niente
Scritto da Massimo Teodori | |
(via: Legno Storto) | |
Dal lato opposto si pone la diversa visione secondo cui, in ultima analisi, spetta a un’autorità esterna decidere sopra la persona, si tratti dello Stato che detta le norme anche contrarie a ciò che ciascuno vuole per sé, o della Chiesa che trasferendo i suoi codici morali nella legislazione civile, impone i principi religiosi destinati ai credenti anche a coloro che credenti non sono. Certo, nessuno ignora che la questione è ben più complicata del semplice dilemma ora illustrato. Gli interrogativi aperti sono molti: dove comincia e finisce il trattamento sanitario? Cosa succede se la volontà di fine vita è stata espressa in tempi lontani? Quand’è che lo stato di “coma permanente” equivale alla morte? E’ certamente vero che con lo sviluppo delle biotecnologie, che prolungano ogni oltre limite naturale il fine vita, le zone d’incertezza aumentano sempre più. Ma l’alternativa tra i diversi modi di intendere il testamento biologico – l’autodeterminazione della persona o l’imposizione di una rigida norma – resta il vero spartiacque tra la visione liberale e quella autoritaria. In Italia, d’altronde, anche la Costituzione, scritta sessant’anni or sono, stabilisce all’art.32 un principio liberale: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Il disegno di legge maggioritario ora in discussione al Senato si fonda su una visione statalista e antiliberale per cui la volontà della persona è sovrastata da norme dettate dall’alto che non lasciano alcun margine neppure alla “scienza e coscienza” del medico. Il tutto aggravato – almeno a stare all’attuale testo – da una assurda procedura burocratica che costringe alla stipula di milioni di dichiarazioni di intenti da ripetersi infinite volte con la partecipazione di medici di famiglia, notai e fiduciari. Se così è – e speriamo che alla fine non sarà così –, allora è meglio lasciare le cose come stanno, senza leggi assurde. Anche in questo caso vale il vecchio adagio per cui lo Stato migliore resta quello che meno entra nella vita delle persone. Il Tempo, 22 feb 2009 con il titolo “Testamento biologico sì, ma liberale” |
Et voilà, il pesto senz’aglio
Per la gioia di Leppie, un paio di settimane fa ho trovato all'Iper un pesto senz'aglio. È prodotto nel genovese per "la Stazione dei Sapori", che poi lo rivende alla catena di ipermercati, sicché sfoggia la private label "Buongiorno Freschezza".
Gli ingredienti secondo l'ordine dell'etichetta:
- Olio extra vergine d'oliva italiano
- Basilico (minimo 25%)
- Grana padano DOP
- Parmigiano-reggiano DOP
- Pinoli italiani
- Pecorino romano DOP
- Sale
- Acido ascorbico (è l'antiossidante, peraltro il prodotto è a breve conservazione, due tre settimane, appunto)
- Acido citrico (acidificante)
Ah il giudizio: buono, quasi non sembra un prodotto paraindustriale :-)
sabato 21 febbraio 2009
A me le ronde fanno schifo, lo sceriffo Penati pure.
Non credo migliorino sostanzialmente la nostra sicurezza.
Credo anzi che il loro effetto principale sia opposto, quello di rammentarci la sensazione di insicurezza, quella sensazione così ben creata dalla fiumana di violenza che i mezzi di informazione fanno entrare quotidianamente nelle nostre case, trasformando uno stupro o un omicidio su sessanta milioni di abitanti in un’emergenza sicurezza, la probabilità statistica che un’auto si schianti nella strage del sabato sera e via seminando terrore e sgomento.
Sono dell’opinione che, più che alle divise di carabinieri, poliziotti e disoccupati che hanno scelto le Forze Armate anziché gli sportelli di Poste Italiane per sbarcare il lunario, si dovrebbe dare la precedenza ad altre divise: quelle degli spazzini perchè ripuliscano i marciapiedi, dei vigili urbani perchè multino gli incivili, degli imbianchini perchè coprano gli osceni graffiti che trasformano le nostre città d’arte in slum. La sensazione di ordine e pulizia sarebbero ben più rassicuranti che non questo sciamare di manganelli e mitragliette.
Trovo che la legittimazione delle “ronde” sia un’altra prova della miseria culturale in cui è caduta la nostra politica, che ha rinunciato completamente a proporre un modello e ad assumersi la responsabilità del vivere sociale per seguire gli umori e i calori dell’opinione pubblica.
Il fatto che poi la parte più becera della politica (la Lega) raggiunga l’orgasmo con queste fantasie riesce al più ad aggiungere altro ribrezzo.
Ma il peggio, è che, ancora una volta, siamo circondati: se a destra ci sono i baluba con anello al naso della Lega, a sinistra ci sono gli sceriffi rossi, che da quelli col fazzoletto verde si differenziano solo perché “preferiscono il couscous alla polenta”.
Forse quello milanese è un osservatorio particolarmente sfortunato, ma io, quando vedo che anche il presidente ex PCI della Provincia di Milano stanzia 250.000 euro per pagare le ronde, sento una grande amarezza. Capisco che le elezioni provinciali sono dietro l’angolo, capisco che Penati vuole diventare sindaco dell’area metropolitana (che non ci sarà mai) capisco tutto, ma lo schifo non diminuisce.
venerdì 20 febbraio 2009
Che angoscia, dover sostenere Veltroni.
E ora, dopo che Valter Veltroni ha avuto più problemi con i suoi che con il Cavaliere, finisce che lo usano anche come caprio espiatorio, come se fosse un Celestino V qualunque, e non invece un signore di sicuro al di sotto dei suoi limiti ma che ha tentato, almeno, di dare vita a un partito che non fosse la continuazione del PCI con altri mezzi.
Non ha avuto alcun successo.
Perché la sconfitta elettorale del 2008 era nelle stelle, perché il progetto politico era ignoto anche a chi lo stava disegnando, perché, soprattutto, ha preteso di essere tutto ma anche il contrario di tutto, portatore di un nuovo modo di vedere i rapporti della politica e continuatore dell'antiberlusconismo, sostenitore del cambiamento e supporter e supportato dell'establishment, leader moderno e innovatore e sostenitore delle Binetti.
Ma, almeno, ci ha provato. Potremo dire che, almeno nel momento di quell'unico orgasmo da cui sembra essere uscito il seme di questo aborto che è ora il PD, lui, forse solo lui, l'illuminazione l'aveva avuta. Poi l'orgasmo ha lasciato spazio all'accasciarsi delle volontà, e lui è tornato al nulla del passato, suo e della sua parte politica.
Ma quelli che oggi lo accusano di avere lasciato la nave nella tempesta, di avere dato un colpo al progetto, di avere coltivato in questi mesi l'assenza della politica, sono peggio di lui. Hanno atteso imbelli o, meglio ancora, hanno tramato per il fallimento, perché l'esperimento di una sinistra che venisse a patti definitivi con l'occidente fallisse, preferendogli i miti comunista e quello catto-pauperista sostenuti dalle banche e dalle industrie.
In confronto a loro, Valter Veltroni sembra quasi un leader politico. Incredibile, vero?
martedì 17 febbraio 2009
il Baalista...
Oramai -infatti- è chiaro: l'esistenza, la faccia e gli scritti di Luca Volontè sono la chiara dimostrazione del fatto che le teorie di Darwin fossero tutte delle gran cazzate; con uno come lui su questa terra, di che razza di evoluzione andiamo cianciando?
martedì 10 febbraio 2009
Il ritorno degli anni ’50, a Milano.
La condotta di quei lavoratori secondo il codice penale è un illecito.
Ma sessant’anni di Costituzione non passano invano, e la giurisprudenza non è così monolitica nel valutare queste condotte, che rientrano in realtà per molti nel diritto di sciopero.
Incuranti di tutto questo, stamattina ruspe e manganelli si sono fatte largo tra i lavoratori della INNSE, risolvendo così con la violenza una disputa sindacale.
Io sono borghese, borghese “dentro”, credo nella proprietà (la mia e quella del mio prossimo) e nelle regole. Ma quando la polizia carica gli operai mi viene il magone.
La mosca cocchiera
La sua credibilità politica è al di sotto di quella di un Casini o di un Di Pietro.
Nel suo partito lo guardano con la commiserazione riservata a un alcolizzato cronico.
E lui, non sapendo più cosa fare, va a rimorchio.
Prima va a rimorchio dei partiti della sinistra extraparlamentare, con la campagna sul precariato, così identica a quella di Sinistra Critica.
Ora s’è messo a rimorchio dei descamisados paolini di Famiglia Cristiana.
E intanto si illude di avere una linea politica, di dettare un’agenda, di essere ancora qualcuno.
Poverino, mi fa veramente pena.
Poi penso che in una democrazia dell’alternanza a lui spetta il compito di proporre un’alternativa a questa maggioranza.
E, allora, inizio ad avere pena di me, del mio presente, del nostro futuro.
lunedì 9 febbraio 2009
domenica 8 febbraio 2009
Libera Chiesa in Libero Stato, 148 anni dopo il Conte di Cavour
giovedì 5 febbraio 2009
Scriviamo al Presidente
Scriviamo a Giorgio Napolitano, manifestiamogli la nostra posizione in difesa della libertà di Eluana Englaro.
https://servizi.quirinale.it/webmail/
Signor Presidente,
Le scrivo per chiederle di non controfirmare il decreto legge che sembra essere di prossima presentazione alla Sua attenzione in materia di disposizioni sulla fine vita.
La disposizione è evidentemente priva dei requisiti di necessità e urgenza previsti dall’articolo 77 della nostra Costituzione e contrasta con la definizione di legge come “provvedimento di carattere generale” che e incontrovertibilmente patrimonio della nostra cultura costituzionale.
Non può ignorarsi infine che tale provvedimento, se approvato, avrebbe come finalità quella di vanificare pronunce irrevocabili della Magistratura nei suoi più alti gradi di giudizio.
Chiedo a Lei, Signor Presidente, di non sottoscrivere un provvedimento che è palesemente dettato da esigenze di mera contingenza, rispetto al quale la Nazione è profondamente divisa e che rappresenterebbe un gravissimo precedente rispetto al diritto fondamentale di ogni persona di decidere della propria esistenza.
La ringrazio per l’attenzione.
martedì 3 febbraio 2009
Un cattolicissimo pugno nello stomaco.
Non mi fa neppure stare bene, perché una cosa è pensare quello che pensava Eluana Englaro, come accertato da qualche sentenza di tribunale, un’altra cosa è pensare che un giorno potresti trovarti nelle sue condizioni.
Ma, più di tutto, mi opprime (non trovo proprio il termine) l’indegno circo montato intorno a questa povera ragazza e al suo coraggioso padre.
Avrebbe potuto fare come tutti, spostare la figlia in silenzio in un centro compiacente, addirittura portarsela a casa, e lì aspettare che, complice la minore qualità delle cure, una provvidenziale embolia polmonare intervenisse, o qualcosa del genere. Invece è stato onesto, e ha chiesto al nostro sistema giudiziario di pronunciarsi.
E intorno a lui si sono scatenati gli avvoltoi.
Oggi su Avvenire c’è una terza pagina che fa vomitare, una pagina da guardare, per provare il pugno nello stomaco che una simile messa in scena provoca, con quel titolo, che sembra evocare Primo Levi, che trasforma un padre in lagerfuhrer.
Nella loro “difesa della vita”, passano sopra a ogni rispetto per le persone, a ogni dignità. Sono semplicemente disgustosi.
Barbara Palombelli, o s’è svegliata ieri, o me l’ero persa.
Alla domenica a pranzo, il suo sermoncino nel TG5 è sempre riuscito a mandarmi di traverso la frutta o il dolcetto propinati dalla mamma che festeggia il ritorno settimanale del figliol prodigo.
Oggi però, sul Riformista appare una sua lettera (pubblicata da Dagospia) che io e altri “scriviamo” da almeno quindici anni, che spiega quanto il mito dell’inferiorità della politica rispetto alla società abbia fatto male al Paese.
Di questa lettera credo si possa sottoscrivere tutto, con un solo dubbio: sono io a non essermi accorto fino a ieri della Palombelli, o è lei a essersi svegliata male stamattina?
J’ACCUSE DI BARBARA PALOMBELLI: Caro direttore, |