lunedì 21 settembre 2009

Non gli resta che uccidere il Caimano

L’unica conseguenza positiva del massacro di Kabul è stato il rinvio della grande adunata in difesa della libertà di stampa. Mi rendo conto di affiancare due fatti tragicamente diversi.
Da una parte, la morte di sei nostri soldati che in Afghanistan rischiavano la vita anche per la nostra libertà. Dall’altra una manifestazione politica, fondata su presupposti sbagliati. Il vertice della Fnsi, il sindacato dei giornalisti, ha garantito che l’incontro di Roma si terrà fra quindici giorni. Ecco un lasso di tempo utile a riflettere su alcune questioni.

La prima è una verità che non si può ignorare.
La sinistra ha attaccato di continuo i giornali indipendenti.
In un articolo pubblicato su Libero, ho provato come si sia condotto Massimo D’Alema a partire da Tangentopoli.
La sua radicata avversione per la libertà di stampa è stata identica a quella che oggi mostra Silvio Berlusconi.
D’Alema ha anticipato tutte le mosse del Cavaliere. (a proposito, nota mia, ve la ricordate la prima legge del Gabibbo?)
A cominciare dalla richieste spropositate di danni.
Presentate da Max all’Espresso e al Corriere della sera, così come adesso ha fatto il premier verso Repubblica e l’Unità.

Contro D’Alema la sinistra ha protestato? Ha portato in piazza i militanti? No, mai.
Perché contro il Caimano sì e contro Baffino d’Acciaio no? Ai posteri la non ardua sentenza.

La seconda questione riguarda il vero regista della manifestazione.
Il promotore ufficiale è il sindacato unico dei giornalisti.
Ma anche i bambini sanno che tutto avverrà perché lo ha deciso Repubblica.
Se il quotidiano diretto da Ezio Mauro fosse stato contrario all’iniziativa, la Fnsi e i superstiti partiti di centro-sinistra non si sarebbero mossi.

Ecco un dato sicuro sul quale riflettere, ripensando al passato.
Verso la fine degli anni Ottanta, Eugenio Scalfari, allora direttore di Repubblica, attuò una rivoluzione copernicana nel rapporto fra giornali e partiti.
Lui riteneva di essere più forte di qualunque leader politico. Il sole era Repubblica, mentre i partiti erano soltanto pianeti senza importanza che le ruotavano intorno. Ricordo che Eugenio ci diceva: «Quando i leader politici di oggi non ci saranno più, il nostro giornale sarà ancora qui, sempre più influente».

La rivoluzione copernicana di Scalfari riuscì soltanto a metà.
Chi l’ha condotta a termine è stato il successore, Mauro. Molto diverso da Scalfari, ben più radicale di lui, in sella da diciotto anni, direttore di grande capacità professionale, Mauro ha fatto di Repubblica il più forte partito della sinistra italiana.
Se il Partito democratico non morirà, il merito sarà soltanto suo. Anche in questo caso vale la prova contraria. Supponiamo che Repubblica si opponga al Pd, ai suoi leader, alla sua ossessionata battaglia contro Berlusconi. A sinistra troveremmo il deserto. Invece a sinistra domina Mauro con il giornale che dirige.

È in largo Fochetti che si decide l’agenda politica della sinistra italiana.
E adesso anche l’agenda della Fnsi.
Senza il sostegno costante di Repubblica, il capo del sindacato, Franco Siddi, sarebbe un giornalista quasi sconosciuto, escluso dalla tivù e dalle interviste.

In una democrazia parlamentare è normale questa condizione?
Penso di no. Ma la responsabilità di questa anomalia non è di Mauro.
È dei partiti, e non soltanto di quelli di sinistra.
Peggio per loro, per i capoccia della casta politica.
Hanno alle spalle il consenso di milioni di elettori, ma se ne stanno dimenticando.

Il terzo fatto su quale riflettere è la strategia messa in atto dalle sinistre per combattere Berlusconi.
Proprio perché sempre più deboli e sottomessi al super-comando di Repubblica, molti leader del centro-sinistra alzano di continuo il livello delle accuse al Cavaliere.
Con il risultato di accentuare un delirio antifascista contro un avversario che, pur sbagliando molte mosse, non può essere ritenuto un nuovo Mussolini.
È proprio questo l’errore tragico che stanno facendo.
Franceschini dichiara che «Berlusconi ricorda da vicino il fascismo con i suoi attacchi alla libertà di stampa».
Persino Bruno Tabacci, uno dei capi centristi, si è spinto a dire: «Contro Berlusconi ci vuole un Comitato di liberazione nazionale», senza rendersi conto di evocare un fantasma da guerra civile.
Su Antonio Di Pietro non è necessario aggiungere più nulla. Due giorni fa ha sostenuto che il premier è il nuovo Saddam Hussein.
E a questo punto non gli resta che uccidere il Caimano. O chiedere a Obama di inviare in Italia un robusto contingente militare. Con l’obiettivo di catturarlo e impiccarlo.

Non occorre essere dei maghi per avvertire i rischi di un clima tanto arroventato.
Nella storia esiste una catena inesorabile di eventi.
Non basta più lo scontro parlamentare?
Allora si va in piazza.
E se anche la piazza non basta, non resta che prendere il fucile.
Ma imbracciare le armi è sempre un pericolo mortale.
Non si può volere il ritiro da Kabul, come pretende Di Pietro, e poi considerare l’Italia un altro Iraq o un nuovo Afghanistan.

All’inizio degli anni Settanta, ho visto nascere in casa nostra il terrorismo di sinistra e di destra.
Nessuno lo riteneva possibile.
Sono stato uno dei pochi cronisti a scorgere per tempo quell’abisso.
I giornali di sinistra mi attaccavano, scrivendo che ero un visionario.
Poi tutto è accaduto in un attimo.
Per uscirne, ci sono voluti quasi vent’anni e centinaia di assassinati.
Vogliamo ricominciare?
In nome di una libertà di stampa che non è affatto scomparsa, che c’è, che non è mai stata così forte come oggi?

Giampaolo Pansa

9 commenti:

  1. si può dire rincoglionito sul tuo blog? no perchè se si può dire, io vorrei dire che Pansa è un rincoglionito.

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  2. Si può dire paranoico sul tuo blog? No, perché se si può dire, io vorrei dire che Pansa è un paranoico.

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  3. Caro Gabibbo, se tu fossi onesto ammetteresti che ci sono grossi problemi di libertà di informazione in Italia.
    Ma va tutto bene, dai, infatti il divieto alla marcia anticlericale ha avuto tale risonanza che la prefettura ha fatto marcia indietro, giusto?

    Sveglia. Non aspettare che ti riguardi da vicino. Sveglia!

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  4. No, non si può dire. e mica per una questione di lesa maestà.
    Ma perché è il solito modo di attaccare la persona per non affrontare il problema che pone.
    E il problema è sempre lo stesso: fino a che punto è possibile andare avanti a cianciare di regime, fascismo e ventenni vari, senza porsi la domanda su cosa verrà dopo?
    Arriva il momento in cui le parole finiscono. E arrivano le pietre.
    Questo è uno strano Paese, in cui è possibile tirare i cavalletti in testa al Presidente del Consiglio e sfangarla, mentre a parti invertite, persino il ricorso alle vie del diritto diventa un “attacco alla democrazia”. La parte politica in cui vi riconoscete ha compiuto un’operazione di schietto stampo nazista, trasformando l’avversario politico in un “untermenchen”, un sotto uomo privo di diritti e dignità, contro il quale ogni operazione è possibile, che non ha diritto neppure di reagire.
    Quanto durerà senza che si giunga all’epilogo naturale?
    Quanto vi stupirete quando si passerà alla violenza?

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  5. Leppie, dimmi un po’, ma da quale pero stai scendendo?
    Anzitutto, i comunicati stampa del Partito Radicale non li caga nessuno da decenni.
    In secondo luogo: ma da chi le volevi leggere queste cose?
    Dal nuovo araldo delle libertà fondamentali “Avvenire”? o sui quotidiani che legittimamente si riconoscono in una visione collaterale alla chiesa?
    Dov’erano quei quotidiani che riempiono le loro pagine con la democrazia in pericolo? Perché non hanno levato forte e chiara la loro voce per difendere il diritto del P.R. di manifestare il venti settembre?
    E, peggio ancora, dov’erano quando con un atto amministrativo si forzavano in maniera così violenta la lettera e lo spirito della Costituzione in tema di libertà di manifestazione? Te lo dico io dov’erano, ad abbeverarsi alle stronzate del vescovo di turno sulla sobrietà dei costumi dei politici.
    Le parole di Leo Longanesi bastano e avanzano: “Non manca la libertà, mancano gli uomini liberi”.

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  6. gabibbo, non buttarla in caciara che la posizione di repubblica, per quanto può essere criticabile, ha come fonte la lettera pubblica della moglie di berlusconi.
    da determinate frasi si sono fatte delle domande legittime a qualunque capo di stato che ha in mano la sicurezza nazionale e la responsabilità dei costi pubblici che la sua condotta presenta continuamente.

    la diffamazione, soprattutto tramite dossier di dubbia provenienza, è altra cosa. per quanto baffino dovrebbero sbatterlo in catena di montaggio ugualmente.

    la validazione delle fonti è uno dei pilastri del buon giornalismo, l'uso strumentale di informazioni di provenienza non chiara per fini di ricatto politico è criminale in una democrazia.

    mi stupisco del fatto che tu non te ne sia reso conto, non me lo aspettavo da te,sul serio.

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  7. Gabibbo, io sto su pioppo, sei tu che dal tuo pero non vedi nulla.
    Io mica dico che è successo tutto dopo Berlusconi, dico che il problema c'è sempre stato, e che Berlusconi ne ha approfittato e ha fatto incancrenire la situazione.

    Poi boh, felice tu che paragoni il gesto d'uno squilibrato, ma pur sempre cittadino privato, con il tentativo di nascondere e mistificare la realtà operata dai mezzi di informazione in accordo con governo ed opposizione. Vivi felice, ma vedi di svegliarti in tempo. Come diceva una grande donna, cerchiamo di morire ad occhi aperti.

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  8. Anonimo, Repubblica sta solo al gioco, suvvia. eh.

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mi raccomando: comportati bene, o sono bastonate!
(ebbene sì, sono tornati i captcha o come accidenti si chiamano; purtroppo ho dovuto metterli per bloccare una nuova ondata di spammer a luci rosse)