venerdì 15 maggio 2009

Noi, gli ostaggi

Ieri sera ho proposto un post che parla di una persona seria, che ha fatto i conti con le proprie responsabilità, ne ha tratto una lezione e vi ci si attiene.

Oggi trovo su Dagospia un articolo del Corriere, su Mughini che ha scritto l’ennesimo (non da parte sua, ma della sua generazione) libro su quegli anni.
Il libro sembra essere interessante, anche se non lo comprerò, perché non aggiungerebbe nulla al mio punto di vista su quei tempi.
Però questo articolo m’ha fatto sorgere una riflessione, resa più acuta dal cattivo umore che mi segna da alcuni giorni: ancora una volta siamo in ostaggio.

Questo Paese è perennemente in ostaggio del passato.
Non basta il fatto che, a 65 anni dalla caduta del fascismo, la nostra politica ne parli ancora come se fosse cosa di ieri mattina.
Oltre alla generazione degli ottuagenari che traggono il loro ossigeno dal ricordo di quando calcavano le montagne, abbiamo pure la generazione dei cinquanta-sessantenni che, senza pietà per la nostra sofferenza, da quel lontano 1968 continua la “propria” rivoluzione, nel mito di quegli anni “formidabili” e del loro lascito di leggi speciali.

Sono lì, con la calvizie che avanza, le rughe, i capelli che virano verso il bianco e qualche prostata infiammata, e continuano a vedersi barbuti e ventenni, mentre inneggiano a Ho Chi Minh davanti alle università, e continuano pure loro a combattersi, a rinfacciarsi il passato, il presente e il futuro che non fu, a scambiarsi colpi di rivoltella, oramai solo virtuale, con la sola differenza d’essersi spostati dalle piazze e dalle fabbriche agli studi televisivi e ai siti di informazione.

Così, noi, l’incolpevole generazione di chi ha salvato il Paese dal disastro spezzandosi la schiena nella ricostruzione e nel miracolo italiano prima, e quella altrettanto incolpevole che, dagli ottanta in poi, ha ereditato un Paese ingessato, occupato militarmente da tutti questi reduci, siamo qui, ancora oggi ostaggi di tutta questa gente, del loro perenne ammazzarsi e ammazzarci per sentirsi vivi.

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