martedì 26 febbraio 2008

Se, quando cade un regime, restano solo le puttane, un motivo ci sarà…

Quando si discute di regimi illiberali passati, di fronte alle speciose distinzioni tra dittature buone negli intenti e no, io oppongo l’etica dei risultati, e suggerisco sempre di osservare che tipo di macerie restano dopo la caduta di un regime dittatoriale.
Bene, in alcuni casi si tratta di macerie vere, perché il regime è caduto dopo una guerra, ma la società è ancora lì, con una sovrastruttura culturale, sociale ed economica pronta a riprendere il governo di una vita “normale”, in altri casi i palazzi sono ancora in piedi, ma le anime sono oramai a pezzi e, caduto il regime, non c’è più nulla.
Il panorama è quello di un luogo dopo un ciclone: una società senza regole, senza morale, senza speranza, che si agita alla ricerca di un tronco cui aggrapparsi per non affogare.
È il panorama delle società socialiste, dei paradisi in terra che – quando cadono i fondali di cartapesta – si rivelano dei luoghi desolanti in cui, nel breve termine, un solo settore economico funziona: la prostituzione, affiancato naturalmente a ogni genere di delinquenza.

Ho ripensato a queste cose leggendo il commento di Davide Giacalone sull’epilogo dell’esperienza socialista in salsa caraibica in cui ancora una volta ho visto confermato il mio metodo di valutazione basato sulle evidenze e il disperato giudizio sui nostri tristi intellettuali, anzi, sugli intellettuali tutti, poiché – da che mondo è mondo – sono il loro mestiere è così affine alla prostituzione da non fargli notare ciò che producono le dittature.

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(ebbene sì, sono tornati i captcha o come accidenti si chiamano; purtroppo ho dovuto metterli per bloccare una nuova ondata di spammer a luci rosse)