Quando si discute di regimi illiberali passati, di fronte alle speciose distinzioni tra dittature buone negli intenti e no, io oppongo l’etica dei risultati, e suggerisco sempre di osservare che tipo di macerie restano dopo la caduta di un regime dittatoriale.
Bene, in alcuni casi si tratta di macerie vere, perché il regime è caduto dopo una guerra, ma la società è ancora lì, con una sovrastruttura culturale, sociale ed economica pronta a riprendere il governo di una vita “normale”, in altri casi i palazzi sono ancora in piedi, ma le anime sono oramai a pezzi e, caduto il regime, non c’è più nulla.
Il panorama è quello di un luogo dopo un ciclone: una società senza regole, senza morale, senza speranza, che si agita alla ricerca di un tronco cui aggrapparsi per non affogare.
È il panorama delle società socialiste, dei paradisi in terra che – quando cadono i fondali di cartapesta – si rivelano dei luoghi desolanti in cui, nel breve termine, un solo settore economico funziona: la prostituzione, affiancato naturalmente a ogni genere di delinquenza.
Ho ripensato a queste cose leggendo il commento di Davide Giacalone sull’epilogo dell’esperienza socialista in salsa caraibica in cui ancora una volta ho visto confermato il mio metodo di valutazione basato sulle evidenze e il disperato giudizio sui nostri tristi intellettuali, anzi, sugli intellettuali tutti, poiché – da che mondo è mondo – sono il loro mestiere è così affine alla prostituzione da non fargli notare ciò che producono le dittature.
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mi raccomando: comportati bene, o sono bastonate!
(ebbene sì, sono tornati i captcha o come accidenti si chiamano; purtroppo ho dovuto metterli per bloccare una nuova ondata di spammer a luci rosse)