venerdì 2 ottobre 2009

Laici sì, ma con il culo degli altri...

Eccone un'altra.
Stanno tutti lì a fare i laici, i libertari, i "moderni".
Poi li trovi a baciar le pile dell'acquasantiera.
La brava Littizzetto, tanto divertente quando sfancula la pretaglia da Fazio cosa fa?
Manda il figlio dalle suore:

LUCIANA VA A CANOSSA...

Stupore all'istituto salesiano Valsalice, sulla collina di Torino, quando la scorsa settimana Luciana Littizzetto e suo marito musicista sono comparsi alla riunione dei genitori di inizio anno.
Il figlio dodicenne della comica che ci allieta su 'Che tempo che fa' con le sue gag su Eminenz Ruini e dintorni vaticani è stato iscritto alle medie dai preti.
Era alla pubblica Foscolo, ma evidentemente il fascino di una delle scuole più prestigiose della città ha avuto la meglio sulle polemiche anticlericali.
Ai salesiani un po' stupiti dell'illustre iscrizione, è stato fatto notare che in fondo il piccolo Littizzetto aveva già sopportato stoicamente l'istruzione delle suore tedesche. (T.M.)

Un caloroso grazie a Dagospia...

la vera storia di Tonino di Pietro

Sapete che non apprezzo questo tipo di pubblicazioni, perché i cazzi degli altri mi annoiano.
Inoltre dimentico in fretta numeri, date, nomi, circostanze, e quindi non potrei raccontarli a terzi: insomma mi manca lo spunto per divertirmi.
Nondimeno, spero di aiutare Filippo Facci – che praticamente non conosco, avendolo incontrato una sola volta nella vita, e forse non ci siamo neppure presentati – a vendere almeno una copia in più del suo libro: Tonino Di Pietro rappresenta per me l’epifenomeno del tumore che sta corrodendo la mia Patria, il minimo che possa fare è aiutare a scoprire la “storia naturale della malattia”.


Il 13 ottobre sarà nelle librerie «Di Pietro, la storia vera» di Filippo Facci (Mondadori, 21 euro), una biografia decisamente non autorizzata che per 528 pagine scava in un passato che lo stesso Di Pietro tende misteriosamente a dissimulare: dai pascoli molisani all’emigrazione in Germania, dalla sorveglianza di armamenti della Nato a una laurea conseguita in soli trentadue mesi, dal ruolo di agente dell’anti-terrorismo a quello di viaggiatore in scenari da spionaggio internazionale, dalla stretta amicizia con una combriccola di potenti al suo averli passati per le manette uno per uno.
Poco è stato raccontato, in realtà, anche di un presente che il leader dell’Italia dei Valori lascia regolarmente nell’ombra: il familismo, il partito fondato sulla cieca obbedienza, l’incredibile disinvoltura nell’incassare e gestire il finanziamento pubblico, gli accordi sottobanco col «regime», lo spettacolare trasformismo, la doppiezza tra politica e impolitica.
Un viaggio che ripercorre anche gli anni di Mani pulite, quando Di Pietro apparve come l’uomo della provvidenza a più del novanta per cento degli italiani, e coincise con il cambio di stagione più devastante dal Dopoguerra.
Detto questo, eccovi il Preludio, una specie di introduzione che sta ovviamente all’inizio del libro, preceduta da un lungo esergo. E’ una cosa un po’ strana. Occhio che mancano le note, oppure troverete qua e là qualche numerino sperso. Con altre parti del libro avrò comunque ad ammorbarvi.

Continua a leggere (su Macchianera) “Di Pietro, la storia vera. 1″

mercoledì 23 settembre 2009

NO ad Ahmadinejad, sì ai diritti civili in Iran


Intanto una buona notizia: sembra che le pressioni delle organizzazioni per i diritti civili riescano almeno a rendere scomoda la permanenza a New York di certi figuri.

http://www.avatarix.com/Iran/

martedì 22 settembre 2009

Moano


Vabbe', si fa per ridere...

lunedì 21 settembre 2009

Non gli resta che uccidere il Caimano

L’unica conseguenza positiva del massacro di Kabul è stato il rinvio della grande adunata in difesa della libertà di stampa. Mi rendo conto di affiancare due fatti tragicamente diversi.
Da una parte, la morte di sei nostri soldati che in Afghanistan rischiavano la vita anche per la nostra libertà. Dall’altra una manifestazione politica, fondata su presupposti sbagliati. Il vertice della Fnsi, il sindacato dei giornalisti, ha garantito che l’incontro di Roma si terrà fra quindici giorni. Ecco un lasso di tempo utile a riflettere su alcune questioni.

La prima è una verità che non si può ignorare.
La sinistra ha attaccato di continuo i giornali indipendenti.
In un articolo pubblicato su Libero, ho provato come si sia condotto Massimo D’Alema a partire da Tangentopoli.
La sua radicata avversione per la libertà di stampa è stata identica a quella che oggi mostra Silvio Berlusconi.
D’Alema ha anticipato tutte le mosse del Cavaliere. (a proposito, nota mia, ve la ricordate la prima legge del Gabibbo?)
A cominciare dalla richieste spropositate di danni.
Presentate da Max all’Espresso e al Corriere della sera, così come adesso ha fatto il premier verso Repubblica e l’Unità.

Contro D’Alema la sinistra ha protestato? Ha portato in piazza i militanti? No, mai.
Perché contro il Caimano sì e contro Baffino d’Acciaio no? Ai posteri la non ardua sentenza.

La seconda questione riguarda il vero regista della manifestazione.
Il promotore ufficiale è il sindacato unico dei giornalisti.
Ma anche i bambini sanno che tutto avverrà perché lo ha deciso Repubblica.
Se il quotidiano diretto da Ezio Mauro fosse stato contrario all’iniziativa, la Fnsi e i superstiti partiti di centro-sinistra non si sarebbero mossi.

Ecco un dato sicuro sul quale riflettere, ripensando al passato.
Verso la fine degli anni Ottanta, Eugenio Scalfari, allora direttore di Repubblica, attuò una rivoluzione copernicana nel rapporto fra giornali e partiti.
Lui riteneva di essere più forte di qualunque leader politico. Il sole era Repubblica, mentre i partiti erano soltanto pianeti senza importanza che le ruotavano intorno. Ricordo che Eugenio ci diceva: «Quando i leader politici di oggi non ci saranno più, il nostro giornale sarà ancora qui, sempre più influente».

La rivoluzione copernicana di Scalfari riuscì soltanto a metà.
Chi l’ha condotta a termine è stato il successore, Mauro. Molto diverso da Scalfari, ben più radicale di lui, in sella da diciotto anni, direttore di grande capacità professionale, Mauro ha fatto di Repubblica il più forte partito della sinistra italiana.
Se il Partito democratico non morirà, il merito sarà soltanto suo. Anche in questo caso vale la prova contraria. Supponiamo che Repubblica si opponga al Pd, ai suoi leader, alla sua ossessionata battaglia contro Berlusconi. A sinistra troveremmo il deserto. Invece a sinistra domina Mauro con il giornale che dirige.

È in largo Fochetti che si decide l’agenda politica della sinistra italiana.
E adesso anche l’agenda della Fnsi.
Senza il sostegno costante di Repubblica, il capo del sindacato, Franco Siddi, sarebbe un giornalista quasi sconosciuto, escluso dalla tivù e dalle interviste.

In una democrazia parlamentare è normale questa condizione?
Penso di no. Ma la responsabilità di questa anomalia non è di Mauro.
È dei partiti, e non soltanto di quelli di sinistra.
Peggio per loro, per i capoccia della casta politica.
Hanno alle spalle il consenso di milioni di elettori, ma se ne stanno dimenticando.

Il terzo fatto su quale riflettere è la strategia messa in atto dalle sinistre per combattere Berlusconi.
Proprio perché sempre più deboli e sottomessi al super-comando di Repubblica, molti leader del centro-sinistra alzano di continuo il livello delle accuse al Cavaliere.
Con il risultato di accentuare un delirio antifascista contro un avversario che, pur sbagliando molte mosse, non può essere ritenuto un nuovo Mussolini.
È proprio questo l’errore tragico che stanno facendo.
Franceschini dichiara che «Berlusconi ricorda da vicino il fascismo con i suoi attacchi alla libertà di stampa».
Persino Bruno Tabacci, uno dei capi centristi, si è spinto a dire: «Contro Berlusconi ci vuole un Comitato di liberazione nazionale», senza rendersi conto di evocare un fantasma da guerra civile.
Su Antonio Di Pietro non è necessario aggiungere più nulla. Due giorni fa ha sostenuto che il premier è il nuovo Saddam Hussein.
E a questo punto non gli resta che uccidere il Caimano. O chiedere a Obama di inviare in Italia un robusto contingente militare. Con l’obiettivo di catturarlo e impiccarlo.

Non occorre essere dei maghi per avvertire i rischi di un clima tanto arroventato.
Nella storia esiste una catena inesorabile di eventi.
Non basta più lo scontro parlamentare?
Allora si va in piazza.
E se anche la piazza non basta, non resta che prendere il fucile.
Ma imbracciare le armi è sempre un pericolo mortale.
Non si può volere il ritiro da Kabul, come pretende Di Pietro, e poi considerare l’Italia un altro Iraq o un nuovo Afghanistan.

All’inizio degli anni Settanta, ho visto nascere in casa nostra il terrorismo di sinistra e di destra.
Nessuno lo riteneva possibile.
Sono stato uno dei pochi cronisti a scorgere per tempo quell’abisso.
I giornali di sinistra mi attaccavano, scrivendo che ero un visionario.
Poi tutto è accaduto in un attimo.
Per uscirne, ci sono voluti quasi vent’anni e centinaia di assassinati.
Vogliamo ricominciare?
In nome di una libertà di stampa che non è affatto scomparsa, che c’è, che non è mai stata così forte come oggi?

Giampaolo Pansa