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lunedì 21 settembre 2009

La Santanchè? s'è picchiata da sola, ovvio, ma noi cosa vogliamo fare?

In fondo è sempre la solita storia: c'è gente che in questo Paese ha il "diritto" d'essere violenta e intollerante; c'è gente che in questo Paese ha il "diritto" di propalare idee semplicemente fasciste, c'è gente che in questo Paese ha il "diritto" di rispondere alle idee con i pugni.

Per decenni è stata condotta una sistematica opera di legittimazione della violenza culturale, opera grazie alla quale bande di vandali della democrazia hanno ottenuto dignità politica.
In forza di quest'opera, per decenni si son avute in Parlamento forze che fiancheggiavano la lotta armata, che teorizzavano l'insurrezione, alle cui manifestazioni si esaltava l'omicidio come forma di lotta politica.

Questo veleno s'è insinuato nella nostra cultura, e oggi si rivolta contro di noi una volta di più, e l'intellighenzia non trova meglio che sminuire il fatto che la dimostrazione per la libertà delle donne in Italia abbia prodotto una donna con venti giorni di prognosi.


Qui si sottoscrivono appieno queste parole: "la Santadechè può stare più o meno simpatica, però intanto lei ha le palle e ci aiuta a ricordare che il Burqa - e tutto ciò questo che rappresenta - è un problema di tutti. A cominciare dalle donne, da chi crede nella parità dei sessi e nei diritti civili. Pensare che un certo Islam sia solo un problema dei cattolici o dei "destri" è di una miopia senza pari, perché invece la storia insegna che le grandi religioni alla fine trovano sempre il modo di coesistere. La coesistenza con la democrazia, invece, è un po' meno scontata. A sinistra qualcuno lo sa?" e si aggiunge solo una piccola postilla: la domanda va rivolta anche a destra.

Non stiamo parlando del futuro di Mara Carfagna, ma di quello delle nostre madri, delle nostre sorelle, delle nostre figlie.
Del loro diritto a non essere picchiate dai mariti (i cattolici violenti ci sono, ma per loro è reato), a non essere frustate perché – puttane – girano vestite in modo sconveniente, a non vedersi private di ogni diritto.

Il Burqa è questo: il simbolo dell'inferiorità giuridica della donna, della sua esclusione tout court dal novero degli "aventi diritti", non un simbolo di libertà religiosa.

Cosa vogliamo scegliere? il diritto di padri e mariti di trasformare le donne in oggetti o la libertà senza condizioni per queste ultime, secondo quei canoni a cui noi uomini non saremmo disposti a rinunciare, se le stesse aggressioni ci riguardassero direttamente?

martedì 5 maggio 2009

Le parole di libertà che vengono dall' "estrema destra"

Quando sei in aeroplano, tra fase di decollo, atterraggio e attesa delle bibite, non resta molto da fare in un breve volo nazionale, così leggi il giornale che la compagnia di bandiera “generosamente” (si fa per dire) ti offre.
E, dopo avere sfogliato distrattamente il tuo, leggi pure quello dei tuoi colleghi, dove trovi un trafiletto scritto da una signora che ho sempre trovato seducente.
Non solo perché, oggettivamente, è una gran bella donna, ma soprattutto perché ha sempre avuto la forza di dire cose di minoranza, di essere politicamente indifferente alle convenienze e perché, per quanto alla destra della destra, m’è sempre parsa più moderna, laica e liberale di buona parte di chi stava alla sua sinistra, più o meno estrema.
Oggi la signora Santanchè ha rafforzato la mia convinzione, con una lettera pubblicata dal Corriere della Sera che io sarei stato felice di vedere firmata da uno dei tanti che ieri e oggi si proclamavano e proclamano liberali.
Una lettera che dice poche inequivocabili cose: che esiste una sola libertà, uguale per tutti a ogni latitudine, che esistono ancora oggi regimi schifosi che fanno vivere le loro vittime nel terrore, che noi fortunatamente liberi abbiamo il dovere di ricordarci di questi nostri fratelli e lottare perché la libertà affermi il suo dominio ovunque.
Alla signora Santanchè tutta la mia gratitudine.


L'Italia non resti in silenzio sull'Iran
di DANIELA SANTANCHÈ

Signor Ministro, con un atto di coraggio Lei ha evitato che il nostro Paese venisse coinvolto in quella triste commedia delle parti che è stata la Conferenza dell'Onu a Ginevra sul razzismo e i diritti fondamentali dell'uomo.
E quando il presidente Karzai ha approvato la reintroduzione in Afghanistan di una legge che minaccia di ripiombare le donne in un inferno di sottomissione e violenza, Lei ha dichiarato che l'Italia avrebbe esercitato «ogni possibile pressione» perché quella legge venisse ritirata Non possiamo restare in silenzio, ha detto.
Ho buoni motivi dunque, signor Ministro, per confidare che vorrà dar prova della stessa coerenza e chiarezza d'intenti nell'affrontare l'ultimo drammatico capitolo della strage dei diritti della persona che si è appena consumata a Teheran.
L'impiccagione di una giovane donna, Delara Darabi, per un presunto crimine commesso quando aveva solo 17 anni, fa parte della catena infinita di atrocità e di orrori perpetrati dal governo iraniano.
Dopo processi farsa si impiccano a decine ogni anno donne (anche incinte), minorenni e omosessuali, si incarcerano e si sottopongono a torture tutti quelli che si oppongono al potere.
Si può essere eternamente spettatori di quanto accade sotto i nostri occhi senza diventarne in qualche modo complici?
Come ha scritto sul Corriere Pier Luigi Battista, oggi la domanda finale da porsi è solo questa: fin dove arriva la nostra soglia di accettazione, fin dove si spinge il nostro arretramento davanti a questo sterminato cimitero delle libertà di ogni essere umano?
Credo sia tempo di dare una risposta. ConColore testovochi per spiegazioni alla Farnesina l'Ambasciatore iraniano a Roma e richiami temporaneamente il nostro rappresentante diplomatico in Iran e convinca altri governi europei a seguire l'esempio.
Un gesto simbolico, certo, ma è anche con gesti e formule diplomatiche come queste che la comunità internazionale può sperare di darsi una coscienza credibile.
Mostrarsi vicina alle vittime dell' oppressione islamica, e tornare a parlare di civiltà e giustizia dei popoli senza timore di perdere la faccia.

sul Corriere della sera, 5 maggio 2009