martedì 9 novembre 2010

Gianfranco Fini, visto da sinistra

Complice la consueta azione miope del quotidiano la Repubblica, sta passando nel paese una sorta di canonizzazione della figura politica di Gianfranco Fini, contrapposto nel ruolo dell’eroe buono a quel cattivone di Silvio Berlusconi.

Eppure meglio mille Berlusconi di un solo Fini. Berlusconi è quanto di più opposto possa essere immaginato rispetto ad una politica democratica, sogna di farsi dittatore, ma dittatore alla Lukaschenko, dittatore “amato” dalla gente. Insomma, sogna di prendere l’ottanta per cento alle elezioni e questo sogno è così patetico che lo manifesta con atti che sono anche tenera ingenuità: è chiaro che fare deputato o ministro una propria amante non è solo (ovviamente) un atto politicamente immorale, è anche il gesto di un insicuro, come il circondarsi dei vari Bondi e Bonaiuti, gente che al Capo sa solo dire sì. Che dire poi del ruolo di “zio capace” svolto da Gianni Letta?

In più Berlusconi è politicamente coerente: è un populista classico e da populista ha svolto tutta la sua azione politica, che può essere spiegata come l’ascesa di un parvenu ricchissimo e imprenditorialmente geniale che, complice la debolezza estrema della classe politica tradizionale in particolare di centrosinistra tutta introflessa a provare a salvaguardare stipendi e destini personalissimi, ha coperto uno spazio politicamente scoperto ottenendo (anche grazie all’uso disinvolto di mezzi di comunicazione di sua proprietà) un consenso mai visto nella storia della Repubblica italiana.

Gianfranco Fini chi è? Gianfranco Fini è un uomo che passa i primi quarant’anni della propria vita a esaltare il fascismo, a tenerne in vita la memoria celebrando ogni 28 ottobre la marcia su Roma, per poi convertirsi alla democrazia dopo aver fatto il candidato a sindaco di Roma nel 1993, non senza proclamare in quello stesso anno che “Mussolini è il più grande statista del secolo”, che i gay non dovrebbero insegnare, che da nazionalista convinto non poteva “mai e poi mai” stringere patti con la Lega. Nel 1994 una strana alleanza proprio con la Lega lo porta al governo e l’anno successivo con grande opportunismo rinuncia ai simboli fascisti, mette in soffitta il Movimento sociale italiano e fonda Alleanza nazionale.

E’ solo l’inizio di mille travestimenti e giravolte. Disprezzato dalla destra dura e pura che lo vede come un “traditore”, Fini prova a vestire diversi abiti finché non ne trova uno che gli stia comodo addosso, come quello cucitogli addosso oggi da la Repubblica, quello di “eroe buono” appunto. Ma in realtà il Fini di governo è quello che sta nella sala operativa nei giorni del G8 di Genova nel 2001, che nel 2002 promuove la inumana legge Bossi Fini sull’immigrazione, che vota silenziosamente tutte le leggi ad personam fino allo splendido 2007 che si chiude con la nascita del Pdl e Fini che dice: “Non c’è nessuna possibilità che An entri nel Pdl, siamo alle comiche finali”. Salvo accomodarsi docilmente sul predellino due mesi dopo, ottenere lo scranno di presidente della Camera e da lì fare i comodi propri, incurante della delicatezza del ruolo istituzionale che svolge.

Giafranco Fini è un opportunista molto pericoloso, interessato solo al potere e senza senso delle istituzioni, che per il potere può sacrificare qualsiasi ideale, perché non ne ha. E’ un politico pragmatico che sta peraltro prosciugando il bacino elettorale del Pd, complice l’imbarazzante inazione della segreteria Bersani verso la quale bisognerebbe organizzare una forte area di opposizione interna per provare a spiegare agli italiani che il Partito democratico non è morto e non si preoccupa solo di inciuciare per rimuovere Paolo Ruffini dalla Rai o per consentire a Berlusconi di difendersi “nel processo e dal processo” (Enrico Letta dixit).

I democratici italiani pagheranno a caro prezzo l’errore strategico colossale di esaltare il movimentismo di Fini per provare a mettere in difficoltà Berlusconi.

Da avversario, preferisco senza alcun dubbio Berlusconi a Fini. Meglio il populista dell’opportunista, meglio il conservatore del trasformista. Anche perchè il populista conservatore si può politicamente battere, l’opportunista trasformista può mettere la democrazia italiana politicamente knock out.

SONIA TRIGIANTE

3 commenti:

  1. Ah, capisco... Capisco. Ovviamente mezza parola mezza sul populista e su come abbia peggiorato la cultura politica italiana già ampiamente deficiente nel 93 non si legge mai nulla.

    Per carità, ognuno ha diritto a scrivere o non scrivere quello che meglio crede. Ma se si vuole fare un'analisi seria un paio di righe andrebbero spese. O no?

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  2. Mi dispiace leppie, ma una volta tanto sono d'accordo con Gabibbo. Ovviamente l'analisi è generale e, come scrivi te, ci sono cose non dette, ma il discorso di fondo resta. Fini è un politico viscido e profittatore, niente di più.
    Il fatto che a sinistra lo lodino per ciò che sta facendo, non può che rafforzare questa mia opinione. Calcoli, sono solo calcoli...

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  3. Fini è figlio di questi sedici anni, che sono a loro volta figli dei tre quattrocento anni precedenti.

    È superficiale parlare solo del sintomo Fini, senza badare a chi e cosa ha contribuito ad accelerare la putrefazione della società italiana.

    E dico superficiale nel caso di Gabibbo. In altri casi parlerei di complicità.

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(ebbene sì, sono tornati i captcha o come accidenti si chiamano; purtroppo ho dovuto metterli per bloccare una nuova ondata di spammer a luci rosse)