lunedì 2 marzo 2009

Se alla disoccupazione si risponde coi luoghi comuni.

Il "Giornale" è impegnato a sostenere l'improponibilità dell'assegno di disoccupazione e, per farlo, oltre a riprendere le legittime e fondate posizioni del Presidente del Consiglio attacca direttamente i disoccupati, con un articolo dal titolo "No grazie, il lavoro è troppo lontano", che sostiene come una parte della responsabilità della disoccupazione sia degli stessi disoccupati, i quali "non si adattano", "non si spostano", insomma non hanno voglia di sacrificarsi e di scommettere sul proprio futuro.

Mi viene in mente la generazione che mi ha preceduto che, con la valigia di cartone, tanta fame e qualche speranza, abbandonò i propri paesini per cercare pane e futuro al nord: di quella generazione io sono discendente e pertanto tengo in massima considerazione il suo esempio.

Eppure, il discorso che si fa oggi non mi convince del tutto, e non mi convince alla luce del mio punto di vista particolare, quello del datore di lavoro.

In azienda arrivano curriculum da tutta Italia, e il primo screening che faccio, almeno io, è quello geografico.

Il leghismo non c'entra nulla, non avendo io una sola goccia di sangue padano in corpo, anche se, come diceva Montanelli, milanesi si diventa: il fatto è che gli stipendi sono uguali in tutta Italia ma i costi per vivere no, e allora offrire a un giovane la possibilità di venire a lavorare in un'azienda milanese significa dirgli che butterà i due terzi del suo stipendio solo per trovare un letto.

Quando offri a qualcuno mille euro al mese, hai voglia a pensare che sono due milioni delle vecchie lire. Vivere a Milano costa anche seicento euro solo di affitto. Certo, se vuoi puoi risparmiare, andando a vivere a quasi un'ora dalla città, e allora ne spendi quattrocento. A questo punto però quello che hai risparmiato di affitto si trasforma in altre voci di spesa come gli abbonamenti ai mezzi di trasporto extraurbani e le frequenti cene fuori casa. E tutto questo per risparmiare duecento euro.

Con quello che ti resta devi vivere: vestirti, mangiare, sostenere i consumi di base… solo se hai una grande tenacia, poche attese di qualità della vita e magari l'aiuto dei genitori puoi "investire" così.

Io li vedo i miei Collaboratori in queste condizioni, e mi chiedo cosa pensino, cosa sperino, e non sono sicuro che siano poi così felici di avere trovato un lavoro.

Certo, vedo anche ragazze e ragazzi la cui etica del lavoro è inesistente, che non hanno alcuna idea di cosa significhi la parola sacrificio o anche solo investimento nel futuro, per i quali lo stipendio è solo un mezzo per cambiare telefonino, ma vedo anche tanti bravi ragazzi, che hanno studiato e fatto – specialmente al sud – una marea di corsi di specializzazione, e ai quali poi, dovendo far quadrare i bilanci pure noi, ci troviamo a offrire un'assunzione più che regolare ma nei limiti dei CCNL, e con quei soldi troppo spesso è meglio non muoversi da casa, è triste, ma è così.

Magari qualcuno lo trovi che è disposto a farlo, ma si tratterà di Collaboratori che, anche con le migliori intenzioni, penseranno tutti i giorni al fatto che stanno lavorando per un tozzo di pane.

Alla base ci sono troppe perversioni, tanto per iniziare un sistema delle abitazioni che premia l'acquisto e scoraggia gli affitti facendo impazzire i prezzi dei pochi appartamenti disponibili, l'idea che sia sostenibile un sistema-Paese in cui una metà geografica produca e l'altra metà consumi e fornisca manodopera, l'idea che i contratti siano tutti uguali a nord come a sud.

L'idea del sussidio di disoccupazione non mi convince affatto, per come si trasformerebbe in un carrozzone inutile capace solo di impoverire ulteriormente la nostra economia, e questo è un problema enorme, forse senza risposte, che va ben oltre la disoccupazione, perché riguarda appunto anche gli occupati, il problema di un'economia che spesso sembra produrre lavoro senza ricchezza; comunque sia, però che non si possa continuare a rispondere con i luoghi comuni mi pare scontato.

2 commenti:

  1. Forse andrebbe bene un assegno condizionato a tempo, di duerata 2 anni,per esempio, entro i quali cercare lavoro. al Nord ci vorrebbe il doppio dei salari pagati al sud. un calmiere per gli affitti servirebbe.

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  2. Il "Giornale" è impegnato a sostenere l'improponibilità dell'assegno di disoccupazione e, per farlo, oltre a riprendere le legittime e fondate posizioni del Presidente del Consiglio attacca direttamente i disoccupati, con un articolo dal titolo "No grazie, il lavoro è troppo lontano", che sostiene come una parte della responsabilità della disoccupazione sia degli stessi disoccupati, i quali "non si adattano", "non si spostano", insomma non hanno voglia di sacrificarsi e di scommettere sul proprio futuro.
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    Capacità di ragionare pari a zero per seguaci del PDL e lettori del giornale.

    In effetti sposato con moglie, riceve da azienda ultimatum: o vai a lavorare nella filiale di Milano oppure dobbiamo licenziarti.
    Peccato che per mantenere i figli la moglie lavori in altra regione italiana e non può trasferirsi a Milano.
    Si creano quindi tre casi:
    1) licenziato e senza assegno disoccupazione, moglie che lavora (servono comunque due stipendi per portare avanti una famiglia).
    2) separazione dalla moglie, fallimento del matrimonio, spese dagli avvocati per separazione consensuale, figli traumatizzati e entrambi i genitori lavorano.
    3) la moglie lascia il lavoro, non piglia alcun assegno disoccupazione servono comunque due stipendi per portare avanti una famiglia).

    D'altra parte sperare che certa gente si accorga di chi sta peggio di loro è impossibile.

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