Anch’esso è infatti, in qualche modo, il simbolo di una società che non c’è più: più povera e più attenta a trasformare il poco in qualcosa di buono.
Lo si usava per colpire fettine di carne spesso un po’ nervosa, appiattendola e rendendola più morbida, buona per essere quindi impanata in una gustosa cotoletta alla milanese, o messa in padella per fare una bella portata di piazzaiola.
Ecco, se c’è un’immagine che io userei per questa stucchevole polemica sulle intercettazioni e sugli atti d’indagine è quella del pesta carne.
Tutti sanno che intercettazioni e atti d’indagine sono oramai da decenni usate per snervare e ammorbidire gli indagati, per distruggerne la fibra prima di poterseli cucinare: a furia di pestoni infatti dell’indagato non resta più nulla di intero.
Tutto viene ben bene colpito, senza dimenticare nessun particolare, specialmente i più imbarazzanti e meno attinenti con le indagini: vita sessuale, vita familiare, amicizie e relazioni, affinché la fetta di carne resti lì sul tavolo sanguinolenta e isolata, pronta alla resa.
È la tattica che la nostra magistratura, la politica e i pennivendoli che lordano il nome di giornalisti adottano ogni giorno.
L’indagato, come il marito cornuto, scopre i particolari più agghiaccianti su di sé direttamente dai giornali, senza avere la possibilità di dire “né a né ba”.
Altro che pubblicità del processo: da Enzo Tortora in poi (mi secca citare questo nome, ma non è un caso se l’infamia sia divenuta sistema proprio col maxi processo alla camorra di cui è stato vittima) le pudenda dell’indagato sono esposte prima ancora che questo si cali le mutande.
Siamo arrivati a un tale livello che, oramai, non c’è più neppure bisogno di essere indagati.
Prendiamo un esempio a caso?
Claudio Scajola.
Personalmente mi sono fatto l’idea che possa essere un lestofante.
Tecnicamente però il soggetto è solamente una “persona informata dei fatti”, un potenziale testimone non un potenziale imputato.
In attesa che gli atti divengano pubblici per gli imputati, il primo a essere distrutto è stato colui che gli stessi PM paradossalmente sembrerebbero considerare innocente, senza neppure il bisogno di invocare la presunzione d’innocenza.
Lo hanno preso, messo sul tavolo di cucina, e preso a martellate, in modo da sfibrarne ogni nervo, in modo che, in una pozza di sangue, si ritirasse, paria per tutti.
Cosa c’entri la libertà di stampa, cosa c’entri l’obbligatorietà dell’azione penale lo sa soltanto la mente di questi talebani che oramai hanno colonizzato procure, giornali, partiti, che teorizzano la supremazia del sospetto, la lotta senza quartiere e senza rispetto per l’uomo, salvo quando la stessa medicina viene usata con loro.
Sono simili difensori della giustizia i migliori alleati dei corrotti e dei corruttori: la seminagione di paura che riescono a compiere è così proficua da spaventare ogni cuore che abbia ancora un briciolo di sentimento liberale e che, a questo punto, pur di tenere simili barbari lontani dall’uscio, preferisce tollerare ladri e grassatori assortiti.
Nel frattempo pestiamo solo i manifestanti, prima alla Diaz, poi a Bolzaneto, fidandoci delle molotov mostrate dalla polizia, e credendo che fra di loro non si dicano "ehi, 1 a 0 per noi".
RispondiEliminaPoi tra trent'anni... Com'è? Ah, sì. Le molotov si sono perse per strada. Vabbe', in fondo erano solo dei porci terroristi quelli massacrati...
Perché il rispetto per l'uomo va bene solo per gli Scajola e i Berlusconi. Quando prima del processo in galera ci stanno dei ragazzini allora non solo non si levano voci a loro difesa, ma i vicesceriffo gongolano.
RispondiEliminaQuando sono gli immigrati ad essere maltrattati, umiliati, offesi, va tutto bene.
Quanta ipocrisia.