giovedì 31 dicembre 2009

lunedì 28 dicembre 2009

Gli anni passano, ma Bergamo e l’Italia restano province iraniane

Quando l’ho letta stentavo a crederci, non per la notizia, ma perché mi ha fatto ripiombare indietro di almeno una quindicina d’anni, quando il proprietario di una nota catena di sex shop lottava con l’amministrazione bergamasca per riuscire ad aprire un punto vendita nella “città dei Mille”.

La notizia non è quella che a Bergamo, in via Sardegna 2/b, apre oggi un sex shop. Nè che, come ovvio, prima ancora che si alzassero le saracinesche del punto vendita (il più grande della città, come fa notare Bergamo news) si siano alzati i lai di parroci e consiglieri comunali di centrodestra, che si lagnano della vicinanza del negozio a scuole e oratori assortiti (qualcuno li avverta: in un paese ricco e cattolico come il nostro ci sono scuole e oratori ogni tre isolati in ogni città, senza parlare di ciò che si vede in televisione a ogni ora…).

La notizia è che, siccome al peggio non c’è mai fine, al coro dei difensori della famiglia e della virtù, s’è unito pure quello dei piddini.
Scrive infatti oggi sempre Bergamo news che il Partito Democratico interviene sul tema, dicendosi “sconcertato del fatto che sia lasciato al privato che affitta gli spazi la discrezionalità più assoluta rispetto a quale tipo di esercizio accetti di collocare all’interno di uno stabile”.
In un comunicato stampa il consigliere comunale del Pd Fiorenza Varinelli annuncia che il gruppo presenterà un ordine del giorno affinché “l’Amministrazione comunale non solo si faccia portavoce presso i proprietari dell’esercizio commerciale delle legittime preoccupazioni dei residenti, e solleciti anche la Regione Lombardia a inserire nella propria normativa precisi vincoli che impediscano l’apertura di simili esercizi commerciali nelle vicinanze di servizi educativi frequentati da minori”.
Risulta che la normativa regionale che la normativa regionale – aggiunge il comunicato - non prevede alcun vincolo relativo alla opportunità della collocazione di simili esercizi commerciali. Ciò significa che, come sta accadendo in questo caso, nessuna legge vieta che l’esercizio commerciale in questione possa essere aperto a 5 metri dalla scuola primaria e a 50 dall’oratorio e dalla scuola dell’infanzia del quartiere. Lascia sconcertati il fatto che sia lasciata al privato che affitta, la discrezionalità più assoluta rispetto a quale tipo di esercizio accetti di collocare all’interno di uno stabile”.

Oltre allo sconcerto di vedere che questi hanno cambiato nome più volte di quante una persona perbene cambi i calzini, senza cessare però di restare i soliti vecchi comunisti che rimpiangono la pianificazione economica e il potere dello Stato sulle botteghe, c’è la desolazione di osservare ancora una volta che, da qualunque lato di giri non trovi un liberale a pagarlo in oro.
Ai nostri politici la teocrazia iraniana gli fa 'na sega: non hanno bisogno neppure degli ordini dell'imam per sostenere - da destra a sinistra senza eccezione alcuna - le posizioni più ipocrite e illiberali, sempre pronti ad attaccare i diritti individuali (quello alla libera scelta dei trattamenti sanitari, quello a costruirsi una famiglia, quello a pregare Dio secondo le proprie tradizioni, persino quello ad aprire un negozio) pur di leccare la tonaca al vero potere di questo sciagurato Paese.
O mia Patria, sì bella e perduta…

Post Scriptum:
qualcuno di buon senso liberale è rimasto pure a Bergamo: si tratta del coordinatore provinciale del Popolo della Libertà, Carlo Saffioti, il quale dichiara:
“…Le discussioni sull’apertura del sexy shop nel quartiere di San Tomaso mi sembrano davvero eccessive. Capisco che il gruppo consiliare del Pd, ricordandosi delle proprie radici, pretenda che sia l’ente pubblico a decidere che cosa possa essere commercializzato e si lamenti per il fatto che il privato sia libero di affittare a chi vuole il proprio spazio commerciale. La libertà comporta anche questo: che nel rispetto delle leggi possano essere aperti anche dei sexy shop. Possono piacere o no… ma mi sembra pretestuoso vietarne l’apertura in quanto vicino alle scuole: siamo assediati da pubblicità di ogni genere spesso sexy e provocanti, nelle tv le rappresentazioni di rapporti sessuali e l’esposizione di belle gambe e bei seni sono ormai ad ogni ora, … Che senso ha scandalizzarsi per un sexy shop che ha le vetrine oscurate e al quale può accedere solo un maggiorenne? Tocca alla famiglia, alla scuola, oratori e alle diverse agenzie educative, il compito di far sì che il giovane sia messo nelle condizioni, quando adulto, di decidere che cosa comprare e in quali negozi entrare...”.
Bravo Saffioti, del resto lui era consigliere comunale liberale già quando dichiararsi liberali era quantomeno eccentrico... evidentemente era liberale per davvero allora, e lo è rimasto ora che, paradossalmente, è più difficile.

domenica 27 dicembre 2009

La piccola e bella mostra sul centenario della nascita di Indro Montanelli

Se, in questi giorni di cazzeggio passaste per il centro, fate un salto al Museo di Storia Contemporanea di Milano.
Io ci sono passato (ammetto per caso) proprio ieri, e ho potuto così visitare la piccola mostra dedicata a Indro Montanelli.
Alcune sale con foto e citazioni della sua ricchissima produzione, una mostra sicuramente tardiva e troppo piccola, ma che per questo, altrettanto, sfugge alla retorica e, confessiamolo, alla noia, rischio che più del primo Montanelli avrebbe temuto.
I curatori della mostra - Mario Cervi e Luigi Mascheroni – scrivono nell’introduzione che “Curare una mostra di immagini montanelliane è il mestiere più facile del mondo… Indro pareva nato apposta per essere fotografato. Tutto aiutava in lui. L’alta statura, il corpo filiforme, l’eleganza ossuta delle mani che artigliavano idee e battute. E soprattutto quel volto che avrebbe fatto invidia, per come forava l’obiettivo e per come rifletteva i sentimenti, a un Eduardo De Filippo…”, a guardare quelle foto non si può che concordare, e a leggere le sue parole si scopre anche un Montanelli inatteso, come quello dolcissimo che parla del suo amore con Colette Rosselli.
Indro Montanelli e Colette Rosselli
Insomma, se avete qualche minuto, andateci.

mercoledì 16 dicembre 2009

Alberto Stasi e i cadaveri erranti (giusto per ricordare che la giustizia ci riguarda tutti)

Leggendo le agenzie di stampa sulla richiesta di condanna per Alberto Stasi formulata dal pm Muscio, mi è venuta in mente (chissà poi perché…) la famosa storiella dei due appuntati che rinvengono un cadavere in via Aleksandr Isaevič Solženicyn e, non sapendo come scrivere correttamente nel verbale il nome del drammaturgo russo, ipotizzano di spostare la salma in via Giacomo Leopardi, cognome certamente di più semplice verbalizzazione.
Ecco, siccome le perizie (soprattutto quelle disposte dal gup di Vigevano Stefano Vitelli, quindi non di parte) stavano per far crollare tutto l’impianto accusatorio, cosa si “inventa” il pm Rosa Muscio? Modifica, posticipandolo, l’orario della morte di Chiara Poggi che sarebbe stata uccisa non più intorno alle 11/11,30 bensì dopo le 12,20 ora in cui Alberto Stasi avrebbe finito di lavorare al suo computer, come stabilito dalle perizie informatiche. E se, per ipotesi, l’unico imputato dell’omicidio avesse scritto al pc fino alle 14,55? Niente paura, si sposti ancora l’ora del compimento del crimine (magari verso le 15, tanto per stare più tranquilli) e tutto è risolto.
Non solo. Come già osservato da qualcuno, il nuovo orario consente di rendere praticamente senza effetti anche la testimonianza di una vicina di casa dei Poggi che ha sempre sostenuto di aver visto una bicicletta da donna davanti alla villa dell’omicidio intorno alle 9,10/9,15. Quella due ruote non è stata mai identificata così come, nella ricostruzione fatta dal pm, assai poche certezze (per non dire nessuna) si mostra di avere su movente e arma del delitto.
Da esterni quali siamo noi, si ha la sensazione di essere di fronte ad un castello accusatorio assai fragile che traballa alla prima folata di vento: una fragilità sulla quale è basata, però, la richiesta di infliggere trent’anni di reclusione a Stasi a fronte di indizi di colpevolezza “chiari e precisi”: una richiesta, è bene ricordarlo, che rappresenta il massimo della pena prevista in caso di processo con rito abbreviato. E mica è finita, perché la dottoressa Muscio chiesto al giudice di non concedere le attenuanti generiche e di considerare invece le aggravanti delle sevizie e dei futili motivi.
Per dirla con l’avvocato Angelo Giarda, questa inchiesta «fa paura perché prima si è trovato il colpevole e poi ci si è messi a caccia delle prove contro di lui».
Per quel che ci riguarda continuiamo a credere che il caso non sia chiuso e che il colpevole (vero) deve essere ancora identificato.
Intanto il cadavere di via Solženicyn può essere trasferito in via Leopardi.

Gianluca Perricone su "Giustizia Giusta"

martedì 15 dicembre 2009

L'autore è un folle, ma il motivo è la politica

La prima domanda: è il gesto di un folle, una cosa che può capitare a chiunque e dovunque? Oppure è il frutto di un clima, di un'assuefazione alla violenza verbale e all'odio politico?

A me pare che la risposta l'abbia data lo stesso Massimo Tartaglia al procuratore Spataro: «L'ho colpito perché odio la sua politica». E cioè: il gesto è certamente folle, ed è stato compiuto probabilmente da un folle, che ieri ha mandato anche la regolare lettera di scuse. Ma la motivazione è politica. Non siamo in Taxi driver. Tartaglia conosce la politica di Berlusconi attraverso la rappresentazione che ne danno gli oppositori e i media, come tanti altri italiani. Non tutti quelli che la odiano lancerebbero in faccia al premier un corpo contundente, ma solo uno che la odia può farlo. Dal che discende una lezione: quando Napolitano e le poche persone sagge di questo paese invitano a non creare un clima d'odio nel conflitto politico, lo fanno proprio perché sanno che al mondo ci sono pure i folli. Dunque la spiegazione del pazzo isolato (vedi prima pagina dell'Unità di ieri) non esorcizza il problema che abbiamo davanti.

La seconda domanda: perché questo odio politico colpisce Berlusconi come forse mai nessuno prima nella storia della Repubblica? Secondo me Berlusconi è oggetto di odio, e non solo di normale avversione politica, perché la sua persona è stata messa davanti alla sua politica. C'è cioè una parte dei suoi oppositori che pensa che la ragione per cui lui vince sia lui medesimo, e non la sua politica. E dunque, se non ci fosse lui, non ci sarebbe neanche la sua politica, e i suoi oppositori andrebbero al governo. È la pericolosa «scorciatoia» cui faceva riferimento Napolitano ieri. Un po' quello che si pensava di Craxi durante Tangentopoli: fatto fuori lui... E invece, fatto fuori lui, arrivò Berlusconi.

La terza domanda: dove avviene il corto circuito tra legittima critica politica e istigazione all'odio? Avviene quando si porta alle estreme conseguenze questa personalizzazione. Se cioè, per liberarmi del governo Berlusconi, io sostengo, ammicco, lascio capire, da un pulpito politico o mediatico, che quel tizio lì è andato al potere con l'aiuto della mafia, con i soldi della mafia, e con il tritolo della mafia, francamente non si vede perché chi ci crede non debba prenderlo a pugni se se lo trova davanti. Insomma: se Berlusconi è il demonio che si è impadronito dell'Italia, tutto è consentito. Perfino la dottrina liberale prevede il tirannicidio. Forse non abbiamo valutato appieno, in queste settimane, che cosa vuol dire sentire in un'aula di tribunale un mafioso che dice di essere stato complice del presidente del Consiglio. Forse non l'hanno valutato appieno nemmeno i magistrati che in quell'aula ce l'hanno portato. È inutile dunque che la Trimurti che ha messo in piedi questo assioma, Di-Pietro-Santoro-Travaglio, faccia ora complicati distinguo tra la critica legittima e l'istigazione all'odio. È il contenuto della loro critica che non è politico, ma antropologico e infamante. Dunque è un'istigazione all'odio. Ieri Travaglio ha infatti scritto sul sito di Grillo una vera e propria apologia dell'odio: «Non vedo per quale motivo qualcuno non potrebbe odiarlo».

La quarta domanda: Berlusconi è corresponsabile di questa personalizzazione, e di conseguenza di questo clima di odio? Il premier è responsabile di molti mali della politica italiana, su questo non ci piove. Ma l'idea che possa essere lui la causa dell'aggressione di cui è stato vittima ricorda molto le tesi giustificazioniste di chi sosteneva che la causa del terrorismo era l'ingiustizia della società. La madre di questi cretini è sempre incinta, e ieri ci ha pensato Di Pietro a ricordarcelo. Non c'è mai l'attenuante della provocazione per chi ricorre alla violenza. E su questo deve stare molto attenta anche l'opposizione seria, quella del Pd per esempio. «Il senza se e senza ma» di Bersani deve stroncare ogni ambiguità. E la sua visita a Berlusconi in ospedale è un gesto di forte significato, che da solo ripara alla scivolata della Bindi.
Quello che considero l'errore vero di Berlusconi, da questo punto di vista, è piuttosto di avere troppe volte rotto la solidarietà delle istituzioni, litigando per esempio con il Capo dello Stato che pure non ha mai avuto nessuna voglia di litigare con lui. Perché questo indebolisce quella fiducia comune dei cittadini nei fondamenti della Repubblica che è anche il miglior antidoto per isolare i seminatori di odio ed estipare la violenza dal conflitto politico. Odio e violenza sono infatti troppo radicati nella politica italiana per poter sottovalutare il tema cruciale della difesa della democrazia e delle sue istituzioni rappresentative.

La quinta domanda: la crisi di Milano rafforza politicamente Berlusconi e indebolisce l'opposizione? Penso di sì. Insomma, domenica mattina l'opposizione sembrava più ampia e più forte che mai prima nella storia di questa legislatura. Un moderato come Casini proponeva fronti nazionali per fermare il Cavaliere, in cui accettava e sdoganava perfino Di Pietro, Bersani trovava finalmente una prospettiva di alternativa su cui lavorare, e Fini contemplava da lontano ma con interesse un futuro senza Berlusconi. L'atto di Tartaglia ha distrutto in pochi secondi mesi di lavorìo politico. Intanto ha reso Di Pietro inservibile per ogni politica di unità nazionale presente o futura. Ha messo in imbarazzo Casini e Bersani. E ha fatto accorrere Fini al capezzale del suo arci-nemico.

Ci sarebbe da riflettere per chi sostiene che l'opposizione deve fare a cazzotti per vincere. Ma i seminatori d'odio non hanno alcun reale interesse a un'alternativa di governo. In realtà, loro prosperano con Berlusconi al governo. E di questo passo è molto probabile che prospereranno a lungo.

Antonio Polito

lunedì 14 dicembre 2009

Tra la Alfano e la D’Addario: quando le mignotte fanno una figura migliore


A sinistra un non famosissimo deputato della Repubblica, che oggi ha dichiarato: “non ci penso proprio a dare la mia solidarietà a Berlusconi… da subito non ho dato solidarietà al premier per l'attacco subito e non gliela darò mai...
A destra una celebre mignotta, che oggi ha dichiarato: “...esprimo solidarietà al premier Silvio Berlusconi...
Tra le due, una sola oggi ha mostrato un senso della politica degno di Nilde Iotti, e non è l’eurodeputata dell’Italia dei Valori.

Violenza in piazza del Duomo: le parole di un berlusconiano D.O.C.

Hanno colpito Berlusconi. L'immagine del volto del Premier trasformato in una maschera di sangue raggiunge tutti noi con la sua carica di violenza. Con la follia che trasforma un uomo in simbolo da abbattere ad ogni costo e con ogni mezzo, e la persona che diventa un bersaglio fisico. Il film drammatico di piazza Duomo farà il giro del mondo, testimoniando il degrado dello scontro politico in Italia. Ma per una volta, non è questo che conta. Conta l'effetto su ognuno di noi, sul Paese, sul sistema politico.

Amici e avversari, sostenitori e oppositori oggi devono essere solidali con il premier - come siamo noi - e senza alcun distinguo, nel momento in cui è un uomo colpito dalla violenza. E devono fare muro contro l'insania di questo gesto, prima di tutto perché è gravissimo in sé e poi perché può incubare una stagione tragica che abbiamo già sperimentato, negli anni peggiori della nostra vita.

Solo così la politica (che la violenza vuole ammutolire) può salvarsi, ritrovando il suo spazio e la sua autonomia, nella quale è compreso il confronto durissimo tra maggioranza e opposizione e anche lo scontro di opinioni, programmi e strategie. Ma distinguendo, sempre, tra le critiche e l'odio, tra il contrasto d'idee e la violenza, tra le funzioni e le persone.
Anche se il gesto di piazza Duomo è fortunatamente isolato e frutto di follia, in gioco c'è niente meno che la libertà. La libertà di Berlusconi di dispiegare le sue politiche e le sue idee coincide con la nostra stessa libertà di criticarlo. Questo spazio di libertà si chiama democrazia: difendiamola.

Ezio Mauro, direttore di "la Repubblica"

Analisi superficiale? meglio: nessuna nuova analisi, solo un reprint.

Mi si accusa di superficialità. Può essere.
Però sono anni che ripeto le stesse cose, sulle radiose giornate di mani pulite presupposto indefettibile della scomparsa dei partiti democratici della prima Repubblica e della necessità di un nuovo blocco moderato cui ha dato risposta Silvio Berlusconi, sulla legittimazione politica di questo, sulla sistematica e pericolosa illusione di liberarsene come fatto con i partiti della prima Repubblica, ossia al di fuori del confronto elettorale.
Evidentemente non sono letto con attenzione, oppure la mia illusione di scrivere in un buon italiano è, appunto, un’illusione.
Conosco benissimo “su che humus si è sviluppato il berlusconismo”: la risposta dei moderati a un colpo di Stato.
Dal mattino alla sera milioni di italiani si sono trovati di fronte alla prospettiva di essere governati da gente che, per buona ragione, ha sempre rappresentato una minoranza di questo Paese, e hanno scelto di conseguenza.
Dopo di che Silvio Berlusconi è diventato il “cavaliere nero” il 24 novembre 1993, e, da lì in poi, la cosa più gentile che s’è detta di lui è stata che fosse un mafioso.
Berlusconi non aveva fatto in tempo a scendere in politica, che già si diffondeva la notizia secondo cui i PM sequestravano le liste degli aderenti a Forza Italia, con l’evidente scopo di terrorizzare cittadini inermi, che si affacciavano sicuramente ingenui ma legittimamente alla politica.
Diversi anni fa, Tiziana Maiolo usava questa metafora: “Silvio Berlusconi mi ricorda quella ragazza che viene violentata dal fidanzato. Il quale poi le spiega che non la sposa perché non è più vergine. Prima lo hanno aggredito come mai (neppure ad Andreotti, che comunque ha potuto governare qualche decennio) è capitato a un leader nel nostro paese. Poi, mentre ancora i pugni atterrano sul suo naso, gli dicono che non è più integro e che deve farsi da parte, che non deve alzare la voce.”

Altro che “Berlusconi, che ha approfittato della situazione, alimentando lo scontro frontale tra gli schieramenti”.
Il caso ha voluto che Berlusconi avesse i mezzi per difendersi, e che sia stato scelto proprio per questo, diversamente assieme a lui a soccombere si sarebbero trovati i suoi elettori.
Nella furia di negare legittimità all’avversario, gli è contestato persino il diritto di scegliere il nome del proprio partito scrivendo che “ha volutamente usato il gergo calcistico per parlare del suo ingresso in politica”. E qui secondo il mio modesto avviso, e la mia esperienza sta la cartina al tornasole del criterio usato.
“Forza Italia” era un partito moderato d’ispirazione borghese il cui messaggio era appunto la chiamata all’azione ai cittadini che volevano difendere “un certo tipo” di idea di Paese, occidentale, “in qualche modo liberale” (ho già scritto molte volte su ciò che penso del significato del termine per SB), non ideologicamente orientato, idoneo a riunire sotto lo stesso tricolore milioni di elettori provenienti dalle esperienze più diverse.
Se avessi dovuto immaginarmi io il nome d’un nuovo partito, avrei fatto, come molti altri in quel periodo, la solita operazione di recupero di “luoghi comuni” della nomenclatura delle organizzazioni politiche: “partito dell’unione dell’alleanza riformatrice democratica liberalsocialista eccetera italiano”. Non è un caso che io sia io, e SB sia SB: lui ha dato a un progetto nuovo un nome nuovo, “Forza Italia”, in questo dimostrando ancora una volta la sua capacità di essere un comunicatore a tutto tondo. Il nome e la strategia di comunicazione erano coerenti con le premesse, e, per me, più che legittime, che poi a qualcuno dia fastidio il fatto che il prossimo sia capace di idee più brillanti delle proprie, lascia il tempo che trova.
Nella furia di negarne l’umanità, oggi assistiamo allo spettacolo di chi non esita a dire che in fondo l’aggressione se l’è cercata, come una ragazza che è giusto stuprare perché indossa la minigonna un po’ mignotta, come se non dovessimo invece tutti affermare che l’arena della politica e delle idee non dovrebbe consentire il ricorso alla violenza, come se il passaggio dalla polemica allo scontro fisico non ci avesse già regalato un passato abbastanza pesante.

Dopo sedici anni dispero, ma continuo con questo appello al buon senso, alla resa di fronte all’evidenza: così come c’era un solo modo virtuoso per liberarsi di Craxi e di Forlani, c’è un solo modo virtuoso per liberarsi di Silvio Berlusconi, attendere che gli italiani cambino idea come già hanno fatto alcune volte in questi sedici anni, e che lo facciano nel confronto trasparente tra opzioni politiche credibilmente alternative (e l’accozzaglia dall’UDC a Rifondazione non lo sarebbe).
Ogni scorciatoia, giudiziaria, elitaria o di piazza, ripeterà il dramma del ‘92, generando una nuova interminabile transizione.

domenica 13 dicembre 2009

Tanto tuonò che piovve

Adesso giocheranno tutti a ridimensionare, scopriremo che si tratta d’un tifoso deluso dalla vendita di Kakà o d’uno squilibrato, ma i fatti sono lì.

Ancora una volta la reductio ad bestiam (quella che Ferrara chiamava un tempo character assassination) operata su Silvio Berlusconi ha funzionato.

Nel migliore stile nazista hanno trasformato l’avversario nel “male”, l’hanno fatto dal giorno dopo quello in cui espresse la legittima opinione sulla candidatura di Gianfranco Fini a sindaco di Roma, continuano a farlo ogni giorno da sedici anni.
Ancora una volta è andata bene: un cavalletto o un souvenir non sono una pallottola.
Ancora una volta non servirà a nulla, anzi gli sproloqui cresceranno solo, e gli evocatori del tirannicidio continueranno a dare fiato alla loro follia.

martedì 1 dicembre 2009

HIV: una petizione per suor Letizia

Ogni 1 dicembre si celebra, come sappiamo, la “World AIDS day”, giornata mondiale della lotta all’AIDS, occasione nella quale, un po’ come a Natale, tutti ci si sente più buoni e ci si lancia in declamazioni di sensibilità verso chi l’HIV se l’è già beccato, auspicando la scoperta di una cura… e dimenticando sistematicamente chi l’HIV potrebbe evitare di prenderselo.
A Milano, per esempio, una lodevole iniziativa è da tempo abbandonata nell’incuria municipale: il sistema delle macchine scambia siringhe, che permette di eliminare dalla circolazione siringhe potenzialmente infette (ah, poveri bimbi nei parchi!) e di evitare la trasmissione dell’HIV tra i cittadini tossicodipendenti.
Le posizioni proibizioniste e beghine della signora Moratti le conosciamo tutti, nondimeno non mi voglio arrendere all’idea che quella che una volta era la “metropoli europea” ne resti ostaggio, favorendo così la diffusione dell’HIV.
Per questo ho firmato e invito a firmare la petizione per la “riduzione del danno” da tossicodipendenza che i radicali propongono ai residenti milanesi.
Se avete un minuto, fate qualcosa di più di indossare un fiocchetto rosso una volta l’anno e andate su http://www.firmiamo.it/sign/petition/scambiasiringhe per sottoscrivere la petizione.
Anche se dei tossici non ve ne fregasse un accidente, pensate al costo economico e sociale che ogni contagio evitato permette di risparmiare: siate “egoisti”, e firmate.

lunedì 9 novembre 2009

Berlino, vent'anni dopo


Dopo vent'anni, ricordo ancora l'emozione di vedere un pezzo di incubo svanire, ricordo la speranza di vivere in un continente finalmente riappacificato e unito da un'unica bandiera di libertà.
Dopo vent'anni, con i capelli bianchi sono venute molte delusioni, ma le immagini dei nostri fratelli che "tornavano in Europa" a Praga, a Varsavia, a Berlino, riescono ancora a commuovermi.
E quando atterro in uno di quei luoghi, l'altrimenti inutile bandiera dell'Unione Europea mi ricorda che sono ancora a casa: una cultura, una moneta, un sistema di garanzie finalmente condiviso.
Oggi aspetto.
Aspetto che altri muri cadano e che i nostri fratelli che in tutto il mondo gemono schiacciati dalle dittature, possano condividere quel dono di libertà di cui noi godiamo immeritatamente ogni giorno di più.
È per loro che oggi deve essere un giorno di speranza.
Perché anche per loro verrà il giorno in cui, come racconta Sharansky nel suo "The case for democracy", le braccia di quegli stati che tengono i propri cittadini sotto tiro inizieranno a stancarsi, finché il loro peso non diverrà insostenibile ed esausti abbasseranno le armi.
Spero di vedere ancora tanti muri cadere, spero di vederli cadere presto.

venerdì 2 ottobre 2009

Laici sì, ma con il culo degli altri...

Eccone un'altra.
Stanno tutti lì a fare i laici, i libertari, i "moderni".
Poi li trovi a baciar le pile dell'acquasantiera.
La brava Littizzetto, tanto divertente quando sfancula la pretaglia da Fazio cosa fa?
Manda il figlio dalle suore:

LUCIANA VA A CANOSSA...

Stupore all'istituto salesiano Valsalice, sulla collina di Torino, quando la scorsa settimana Luciana Littizzetto e suo marito musicista sono comparsi alla riunione dei genitori di inizio anno.
Il figlio dodicenne della comica che ci allieta su 'Che tempo che fa' con le sue gag su Eminenz Ruini e dintorni vaticani è stato iscritto alle medie dai preti.
Era alla pubblica Foscolo, ma evidentemente il fascino di una delle scuole più prestigiose della città ha avuto la meglio sulle polemiche anticlericali.
Ai salesiani un po' stupiti dell'illustre iscrizione, è stato fatto notare che in fondo il piccolo Littizzetto aveva già sopportato stoicamente l'istruzione delle suore tedesche. (T.M.)

Un caloroso grazie a Dagospia...

la vera storia di Tonino di Pietro

Sapete che non apprezzo questo tipo di pubblicazioni, perché i cazzi degli altri mi annoiano.
Inoltre dimentico in fretta numeri, date, nomi, circostanze, e quindi non potrei raccontarli a terzi: insomma mi manca lo spunto per divertirmi.
Nondimeno, spero di aiutare Filippo Facci – che praticamente non conosco, avendolo incontrato una sola volta nella vita, e forse non ci siamo neppure presentati – a vendere almeno una copia in più del suo libro: Tonino Di Pietro rappresenta per me l’epifenomeno del tumore che sta corrodendo la mia Patria, il minimo che possa fare è aiutare a scoprire la “storia naturale della malattia”.


Il 13 ottobre sarà nelle librerie «Di Pietro, la storia vera» di Filippo Facci (Mondadori, 21 euro), una biografia decisamente non autorizzata che per 528 pagine scava in un passato che lo stesso Di Pietro tende misteriosamente a dissimulare: dai pascoli molisani all’emigrazione in Germania, dalla sorveglianza di armamenti della Nato a una laurea conseguita in soli trentadue mesi, dal ruolo di agente dell’anti-terrorismo a quello di viaggiatore in scenari da spionaggio internazionale, dalla stretta amicizia con una combriccola di potenti al suo averli passati per le manette uno per uno.
Poco è stato raccontato, in realtà, anche di un presente che il leader dell’Italia dei Valori lascia regolarmente nell’ombra: il familismo, il partito fondato sulla cieca obbedienza, l’incredibile disinvoltura nell’incassare e gestire il finanziamento pubblico, gli accordi sottobanco col «regime», lo spettacolare trasformismo, la doppiezza tra politica e impolitica.
Un viaggio che ripercorre anche gli anni di Mani pulite, quando Di Pietro apparve come l’uomo della provvidenza a più del novanta per cento degli italiani, e coincise con il cambio di stagione più devastante dal Dopoguerra.
Detto questo, eccovi il Preludio, una specie di introduzione che sta ovviamente all’inizio del libro, preceduta da un lungo esergo. E’ una cosa un po’ strana. Occhio che mancano le note, oppure troverete qua e là qualche numerino sperso. Con altre parti del libro avrò comunque ad ammorbarvi.

Continua a leggere (su Macchianera) “Di Pietro, la storia vera. 1″

mercoledì 23 settembre 2009

NO ad Ahmadinejad, sì ai diritti civili in Iran


Intanto una buona notizia: sembra che le pressioni delle organizzazioni per i diritti civili riescano almeno a rendere scomoda la permanenza a New York di certi figuri.

http://www.avatarix.com/Iran/

martedì 22 settembre 2009

Moano


Vabbe', si fa per ridere...

lunedì 21 settembre 2009

Non gli resta che uccidere il Caimano

L’unica conseguenza positiva del massacro di Kabul è stato il rinvio della grande adunata in difesa della libertà di stampa. Mi rendo conto di affiancare due fatti tragicamente diversi.
Da una parte, la morte di sei nostri soldati che in Afghanistan rischiavano la vita anche per la nostra libertà. Dall’altra una manifestazione politica, fondata su presupposti sbagliati. Il vertice della Fnsi, il sindacato dei giornalisti, ha garantito che l’incontro di Roma si terrà fra quindici giorni. Ecco un lasso di tempo utile a riflettere su alcune questioni.

La prima è una verità che non si può ignorare.
La sinistra ha attaccato di continuo i giornali indipendenti.
In un articolo pubblicato su Libero, ho provato come si sia condotto Massimo D’Alema a partire da Tangentopoli.
La sua radicata avversione per la libertà di stampa è stata identica a quella che oggi mostra Silvio Berlusconi.
D’Alema ha anticipato tutte le mosse del Cavaliere. (a proposito, nota mia, ve la ricordate la prima legge del Gabibbo?)
A cominciare dalla richieste spropositate di danni.
Presentate da Max all’Espresso e al Corriere della sera, così come adesso ha fatto il premier verso Repubblica e l’Unità.

Contro D’Alema la sinistra ha protestato? Ha portato in piazza i militanti? No, mai.
Perché contro il Caimano sì e contro Baffino d’Acciaio no? Ai posteri la non ardua sentenza.

La seconda questione riguarda il vero regista della manifestazione.
Il promotore ufficiale è il sindacato unico dei giornalisti.
Ma anche i bambini sanno che tutto avverrà perché lo ha deciso Repubblica.
Se il quotidiano diretto da Ezio Mauro fosse stato contrario all’iniziativa, la Fnsi e i superstiti partiti di centro-sinistra non si sarebbero mossi.

Ecco un dato sicuro sul quale riflettere, ripensando al passato.
Verso la fine degli anni Ottanta, Eugenio Scalfari, allora direttore di Repubblica, attuò una rivoluzione copernicana nel rapporto fra giornali e partiti.
Lui riteneva di essere più forte di qualunque leader politico. Il sole era Repubblica, mentre i partiti erano soltanto pianeti senza importanza che le ruotavano intorno. Ricordo che Eugenio ci diceva: «Quando i leader politici di oggi non ci saranno più, il nostro giornale sarà ancora qui, sempre più influente».

La rivoluzione copernicana di Scalfari riuscì soltanto a metà.
Chi l’ha condotta a termine è stato il successore, Mauro. Molto diverso da Scalfari, ben più radicale di lui, in sella da diciotto anni, direttore di grande capacità professionale, Mauro ha fatto di Repubblica il più forte partito della sinistra italiana.
Se il Partito democratico non morirà, il merito sarà soltanto suo. Anche in questo caso vale la prova contraria. Supponiamo che Repubblica si opponga al Pd, ai suoi leader, alla sua ossessionata battaglia contro Berlusconi. A sinistra troveremmo il deserto. Invece a sinistra domina Mauro con il giornale che dirige.

È in largo Fochetti che si decide l’agenda politica della sinistra italiana.
E adesso anche l’agenda della Fnsi.
Senza il sostegno costante di Repubblica, il capo del sindacato, Franco Siddi, sarebbe un giornalista quasi sconosciuto, escluso dalla tivù e dalle interviste.

In una democrazia parlamentare è normale questa condizione?
Penso di no. Ma la responsabilità di questa anomalia non è di Mauro.
È dei partiti, e non soltanto di quelli di sinistra.
Peggio per loro, per i capoccia della casta politica.
Hanno alle spalle il consenso di milioni di elettori, ma se ne stanno dimenticando.

Il terzo fatto su quale riflettere è la strategia messa in atto dalle sinistre per combattere Berlusconi.
Proprio perché sempre più deboli e sottomessi al super-comando di Repubblica, molti leader del centro-sinistra alzano di continuo il livello delle accuse al Cavaliere.
Con il risultato di accentuare un delirio antifascista contro un avversario che, pur sbagliando molte mosse, non può essere ritenuto un nuovo Mussolini.
È proprio questo l’errore tragico che stanno facendo.
Franceschini dichiara che «Berlusconi ricorda da vicino il fascismo con i suoi attacchi alla libertà di stampa».
Persino Bruno Tabacci, uno dei capi centristi, si è spinto a dire: «Contro Berlusconi ci vuole un Comitato di liberazione nazionale», senza rendersi conto di evocare un fantasma da guerra civile.
Su Antonio Di Pietro non è necessario aggiungere più nulla. Due giorni fa ha sostenuto che il premier è il nuovo Saddam Hussein.
E a questo punto non gli resta che uccidere il Caimano. O chiedere a Obama di inviare in Italia un robusto contingente militare. Con l’obiettivo di catturarlo e impiccarlo.

Non occorre essere dei maghi per avvertire i rischi di un clima tanto arroventato.
Nella storia esiste una catena inesorabile di eventi.
Non basta più lo scontro parlamentare?
Allora si va in piazza.
E se anche la piazza non basta, non resta che prendere il fucile.
Ma imbracciare le armi è sempre un pericolo mortale.
Non si può volere il ritiro da Kabul, come pretende Di Pietro, e poi considerare l’Italia un altro Iraq o un nuovo Afghanistan.

All’inizio degli anni Settanta, ho visto nascere in casa nostra il terrorismo di sinistra e di destra.
Nessuno lo riteneva possibile.
Sono stato uno dei pochi cronisti a scorgere per tempo quell’abisso.
I giornali di sinistra mi attaccavano, scrivendo che ero un visionario.
Poi tutto è accaduto in un attimo.
Per uscirne, ci sono voluti quasi vent’anni e centinaia di assassinati.
Vogliamo ricominciare?
In nome di una libertà di stampa che non è affatto scomparsa, che c’è, che non è mai stata così forte come oggi?

Giampaolo Pansa

La Santanchè? s'è picchiata da sola, ovvio, ma noi cosa vogliamo fare?

In fondo è sempre la solita storia: c'è gente che in questo Paese ha il "diritto" d'essere violenta e intollerante; c'è gente che in questo Paese ha il "diritto" di propalare idee semplicemente fasciste, c'è gente che in questo Paese ha il "diritto" di rispondere alle idee con i pugni.

Per decenni è stata condotta una sistematica opera di legittimazione della violenza culturale, opera grazie alla quale bande di vandali della democrazia hanno ottenuto dignità politica.
In forza di quest'opera, per decenni si son avute in Parlamento forze che fiancheggiavano la lotta armata, che teorizzavano l'insurrezione, alle cui manifestazioni si esaltava l'omicidio come forma di lotta politica.

Questo veleno s'è insinuato nella nostra cultura, e oggi si rivolta contro di noi una volta di più, e l'intellighenzia non trova meglio che sminuire il fatto che la dimostrazione per la libertà delle donne in Italia abbia prodotto una donna con venti giorni di prognosi.


Qui si sottoscrivono appieno queste parole: "la Santadechè può stare più o meno simpatica, però intanto lei ha le palle e ci aiuta a ricordare che il Burqa - e tutto ciò questo che rappresenta - è un problema di tutti. A cominciare dalle donne, da chi crede nella parità dei sessi e nei diritti civili. Pensare che un certo Islam sia solo un problema dei cattolici o dei "destri" è di una miopia senza pari, perché invece la storia insegna che le grandi religioni alla fine trovano sempre il modo di coesistere. La coesistenza con la democrazia, invece, è un po' meno scontata. A sinistra qualcuno lo sa?" e si aggiunge solo una piccola postilla: la domanda va rivolta anche a destra.

Non stiamo parlando del futuro di Mara Carfagna, ma di quello delle nostre madri, delle nostre sorelle, delle nostre figlie.
Del loro diritto a non essere picchiate dai mariti (i cattolici violenti ci sono, ma per loro è reato), a non essere frustate perché – puttane – girano vestite in modo sconveniente, a non vedersi private di ogni diritto.

Il Burqa è questo: il simbolo dell'inferiorità giuridica della donna, della sua esclusione tout court dal novero degli "aventi diritti", non un simbolo di libertà religiosa.

Cosa vogliamo scegliere? il diritto di padri e mariti di trasformare le donne in oggetti o la libertà senza condizioni per queste ultime, secondo quei canoni a cui noi uomini non saremmo disposti a rinunciare, se le stesse aggressioni ci riguardassero direttamente?

La peggio sinistra

Da pretesi portabandiera del proletariato a complici della più grande sottrazione di ricchezza collettiva e strumento nelle mani della speculazione finanziaria. Da progressisti immaginari a conservatori corporativi. Da libertari a giustizialisti reazionari.
Una storia lunga, quella di certa sinistra, ma, tutto sommato, semplice.

Non alle prime elezioni dell’Italia liberata dal fascismo, ma subito dopo, con il tragico errore di Pietro Nenni, che portò i socialisti nel Fronte Popolare, il nostro fu l’unico Paese dell’Occidente democratico ad avere una sinistra in cui i comunisti erano la forza preponderante.
Ciò la escludeva dal governo, perché non poteva governare una forza pagata e sostenuta dal nostro principale avversario militare e politico.
Lo riconobbero anche loro, i comunisti, per bocca prima di Enrico Berlinguer e poi di Achille Occhetto. Si dissero più sicuri sotto l’ombrello difensivo della Nato, che avevano combattuto e che serviva a proteggerci dalla loro gloriosa Unione Sovietica. Quella da cui avevano preso soldi, sporchi di sangue, almeno fino al 1991. Ancora dopo il crollo del muro di Berlino, che risale al 1989.

Li si sarebbe dovuti rottamare, fra i rifiuti della storia. Invece, il crollo del comunismo internazionale fu la loro liberazione e l’inizio di una nuova vita.
I partiti della così detta prima Repubblica ebbero la grave colpa di non comprendere cosa comportava la fine della guerra fredda: non eravamo più Paese di frontiera, interessavano più le nostre ricchezze che non la nostra posizione geopolitica.
Così i comunisti, che per ultimi, al mondo, cambiarono nome, con il medesimo gruppo dirigente che aveva sfilato inneggiando all’Armata Rossa, che è il medesimo ancora adesso, apparirono come la forza utilizzabile per dare l’assalto ai forzieri italiani.

Per chi avesse voglia d’esempi concreti, qui neanche riassumibili, valga per tutti la raccapricciante storia della privatizzazione di Telecom Italia. Quel che era di tutti, con la coplicità di questa sinistra, arricchì pochissimi, all’estero ed in segreto. Voglio essere chiaro e diretto: avete presente la maxi tangente Enimont? Bazzegole, un’elemosina, a confronto.
Dopo di che, rimasero prigionieri delle forze che avevano servito.
Della magistratura politicizzata, che li usa per impedire ogni riforma e tutelare il proprio potere ed i propri interessi corporativi.
Dei circoli finanziari, che li usano come taxi, per oramai brevi, ma pur sempre succose scorribande.
Dell’editoria che fa capo a quella stessa finanza (Repubblica, per non fare nomi), che succhia loro il cervello e gli impedisce di fare politica.
Il tutto marinato nel moralismo senza etica e nel perbenismo senza morale, con un partito che cambia pelle e nome seguendo i ritmi della comunicazione berlusconiana e senza lo straccio di un programma riformatore.
Una sinistra reazionaria e smidollata, che serve solo ad impedire la nascita di quel che farebbe bene all’Italia: una sinistra di governo, occidentale, pragmatica, alfiere dei diritti individuali.

Davide Giacalone

mercoledì 16 settembre 2009

Obama è grande, ma “papi” è il suo mentore…

Obama inizia a presentare una deriva “papista” molto preoccupante.
Non bastavano le foto da guardone a l’Aquila, la sua incapacità di tenere a freno la bocca inizia a essere preoccupante, e la stampa amica non ce la fa più a occultare le prove.
A proposito: prima o poi, anche il suo lato “guerrafondaio” inizierà a filtrare, e la conta dei suoi bombardamenti sul Pakistan, dei giorni trascorsi senza chiudere Guantanamo, delle protezioni accordate ai metodi da lui condannati in campagna elettorale tracimeranno…

link ad Affari Italiani

martedì 15 settembre 2009

Il difensore dei diritti umani? colleziona ricordini nazisti

Cari amici, che c'è di male nel fare collezioni? Di francobolli, di figurine, di quadri astratti, di ventagli cinesi, di riviste degli anni Trenta... certo, forse non affidereste vostra figlia bambina a un baby sitter collezionista di stampe pedopornografiche giapponesi, anche se dell'Ottocento, ma è un'eccezione, no? Be', insomma, a parte certi casi strani, il collezionismo è cosa eccellente, induce all'ordine, alla conoscenza, all'apprezzamento della bellezza e spesso anche dell'economia. Per questo non comprendiamo proprio certe reazioni israeliane, e anche del resto del mondo, contro la notizia dell'eccellenza collezionistica di un uomo chiave della più buona organizzazione non governativa che agisca in Medio Oriente, Human Right Watch (HRW). Si tratta del suo principale esperto militare Marc Garlasco. Garlasco è buonissimo, quello che ha scoperto e denunciato ripetutamente le menzogne dell'esercito israeliano. E' lui che ha spiegato come il lancio di notte di proiettili traccianti al fosforo , usato da decenni in tutti gli eserciti per aggiustare la mira o illuminare il campo di battaglia, fosse un crimine di guerra, dato che, ha scoperto Garlasco dopo lunghi studi, era avvenuto non nella giungla o in mezzo al mare, dov'è legittimo, ma in ambienti urbani e dunque poteva colpire i civili; lui che ha denunciato gli eccessi dei bombardamenti "eccessivi" e così via. Un eroe intellettuale, prima ancora che un indefesso difensore dei diritti umani
Insomma, un simbolo del pacifismo internazionale. Ora però qualcuno ha scoperto che questo signor Garlasco è un appassionato collezionista di oggetti nazisti, cui ha dedicato anche un dotto volume di 430 pagine, e che compra, vende, commercia, su cui emette giudizi ed expertise. Una vera e propria febbre collezionistica, tutta dedicata al nazismo. Il massimo esperto mondiale di uniforme naziste che pretende di giudicare la correttezza degli israeliani in guerra. Normale, no? Un collezionista di francobolli non potrebbe valutare l'efficienza delle poste? E uno che raccoglie medaglie olimpiche non potrebbe fare il cronista sportivo? In fondo il nazismo con gli ebrei c'entra, no? Non l'ha spiegato anche il leader palestinese Abbas, nella sua dotta tesi di laurea moscovita, che ci sono molte somiglianze e perfino un trascorso di collaborazione fra sionisti e nazisti? Non hanno scritto gli ebrei ultraortodossi della setta di Satmar sui muri di Gerusalemme che la polizia israeliano è la Gestapo sionista?
Ma l'addetto stampa di Netanyahu ha denunciato la cosa come una nuova caduta di HRW, la seconda in poco tempo dopo la denuncia del giro propagandistico alla ricerca di finanziamenti in un paese che è così poco rispettoso dei diritti umani e così poco neutrale nelle faccende mediorientali come l'Arabia Saudita.
L'organizzazione ha replicato che non c'è nulla di male, che il nonno di Garlasco era sì un soldato tedesco, e questo spiegava la sua attenzione per quel mondo, ma per carità, non era stato affatto nazista. Parole sante. Ma si potrebbe dire di più. Ci meravigliamo che HRW non abbia spiegato che in fondo bisogna ammettere che i nazisti erano piuttosto eleganti, loro e le loro uniformi, distintivi, ecc.; e che oggi anzi c'è una moda dell'abbigliamento nazista, tant'è vero che proprio in abiti nazisti il presidente della federazione automobilistica internazionale Mosley (già il figlio dell'ex capo del partito nazista inglese) si è fatto filmare mentre consumava un'orgia sadomaso con quattro prostitute – passione che forse gli costerà il posto; e che si è letto abbondantemente sui giornali italiani come il mese scorso nella ridente località di a S. Arcangelo di Romagna, come ha scritto la stampa "la sezione locale dell’Unione italiana di tiro a segno (Uits, anch’essa ricompresa nel vasto mondo venatorio) organizza una singolare rievocazione storica del 25 aprile con divise e stemmi nazisti, alla presenza del presidente dell'UITS Ernfried Obrist" (nomen omen).
Insomma, che male c'è? E' una moda, una passione popolare. E certamente un "senior military expert" di un'organizzazione che si occupa del conflitto fra arabi ed ebrei non può essere a digiuno di divise e stemmi nazisti. Se no, quando per caso incontrasse uno dei numerosi gerarchi nazisti che si sono rifugiati nel mondo arabo, o qualcuno dei loro eredi, come potrebbe salutarli col titolo giusto? Come potrebbe fare con grazia ed entusiasmo quel difficile saluto a braccio teso? Insomma, dopo aver attaccato la libertà di stampa in Svezia e in Spagna, adesso i sionisti se la prendono con la libertà di collezionismo delle Ong. E si tratta proprio della stessa cosa: ognuno scrive sui giornali quel che gli piace contro Israele e fa collezione di quel che gli pare, soprattutto se contro Israele. I bravi ragazzi di Hamas e Hezbullah, non collezionano missili più o meno "artigianali"? (Purtroppo però ogni tanto devono lanciarli contro gli ebrei e poi fanno così fatica a ricomprarseli... Aveva proprio ragione il buon vecchio Arafat: con loro non ci si può proprio mettere d'accordo. Per fortuna che ci sono i tipi come Garlasco, che quando finalmente la jihad avrà vinto, sapranno che divise far indossare ai custodi dei lager.

Ugo Volli per Informazione Corretta
articolo sul New York Times
articolo sul Secolo XIX

il mio commento: certo, con un cognome del genere, è già tanto se non colleziona ricordini di Jack lo squartatore

sabato 12 settembre 2009

Di Pietro Real Estate

Se non mi sbaglio esiste una ricca pubblicistica che insegna come investire nel mattone.
Certo, per investire nel mattone servono i soldi.
Ora, la stessa pubblicistica insegna pure come comprare case senza soldi propri.
A leggere Filippo Facci, un certo parlamentare molisano deve avere trovato un metodo sicuro pure lui, per investire nel mattone...

venerdì 11 settembre 2009

Anniversario della breccia di Porta Pia: la questura di Roma vieta per la prima volta ai radicali il percorso della marcia anticlericale

Roma, 11 settembre 2009
In occasione dell’anniversario della Breccia di Porta Pia, sabato 19 settembre 2009, le Associazioni radicali Anticlericale.net e Certi Diritti, insieme a Radicali Italiani, Associazione Luca Coscioni, Nessuno Tocchi Caino, Associazione per il Divorzio Breve, Radicali Roma, Comitato Ernesto Nathan, Agorà Digitale e Ass. Radicale Antiproibizionisti, hanno promosso la Marcia Anticlericale per commemorare la data del XX Settembre 1870. La Marcia, che si svolge nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, intende toccare alcuni luoghi significativi della storia anticlericale della città di Roma. La Questura di Roma per la prima volta ha opposto il suo diniego allo svolgimento della Marcia.

Le Associazioni promotrici e aderenti all’iniziativa del 19 Settembre hanno oggi comunicato ai propri iscritti e sostenitori, in tutta Italia, che la Marcia si farà ugualmente per onorare la memoria dei caduti vittime del potere clericale e per commemorare la lotta per la libertà del Risorgimento italiano.


I deputati radicali hanno depositato il testo di una interrogazione urgente chiedendo al Governo di rispondere entro i prossimi giorni alla Camera dei deputati. Di seguito il testo con elencati i luoghi simbolo della Marcia Anticlericale.


INTERROGAZIONE PARLAMENTARE URGENTE
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO AL MINISTRO DELL’INTERNO AL MINISTRO DEGLI ESTERI

Per sapere - Premesso che:
  • il 7 settembre 2009 l’associazione radicale Anticlericale.net ha comunicato alla Questura di Roma la convocazione di una manifestazione per il giorno 19 settembre per celebrare la breccia di Porta Pia nel 150° anniversario dell'unità d'Italia, con il seguente programma: “ore 14:30: comizio di dirigenti e parlamentari radicali a Porta Pia. Saranno presenti, tra gli altri, Marco Pannella e l’on. Maurizio Turco. Verrà allestita davanti alla porta una pedana di metri 2x2 e alta cm. 60, con un piccolo impianto di amplificazione; ore 16:30: partenza della marcia da Porta Pia a piazza Pio XII, secondo il percorso seguente: Porta Pia, via XX settembre, via del Quirinale, piazza del Quirinale, via IV novembre, via del Plebiscito, piazza del Gesù, via delle Botteghe Oscure, piazza Mattei, via del Portico d’Ottavia, piazza Cairoli, via Arenula, ponte Garibaldi, piazza Tavani Arquati, via Politeama, piazza Trilussa, ponte Sisto, via dei Pettinari, via dei Giubbonari, piazza Campo de’ Fiori, piazza Navona, ponte Sant’Angelo, via della Conciliazione, piazza Pio XII (conclusione, ore 20:30)”. La comunicazione proseguiva precisando “l’iniziativa si svolgerà senza recare intralcio alle attività commerciali che si svolgono nelle zone toccate dal percorso e senza recare intralcio alla circolazione veicolare e pedonale se non per lo stretto necessario al passaggio del corteo. Prevediamo la partecipazione di circa 500 persone”;
  • nel corso dell’incontro con i funzionari della Questura, è stata manifestata dagli organizzatori anche la disponibilità a svolgere la marcia in fila indiana (come già fatto in occasione di una analoga iniziativa tenuta a Verona nel luglio scorso), in modo da evitare qualsivoglia pur minimo disagio alla mobilità dei cittadini;
  • il percorso proposto è stato concepito in modo tale da toccare alcuni dei luoghi del centro storico di Roma particolarmente significativi per le lotte anticlericali: Porta Pia, dove alle ore 10:10 del 20 settembre 1870 il primo bersagliere irruppe attraverso la celebre breccia; via 20 settembre (in molte città Italiane le vie dedicate alla data del 20 settembre partono quasi sempre dal duomo della città, per rimarcare la vittoria della Stato laico sullo Stato Pontificio); il Quirinale dove, prima del 1870, avevano residenza i Papi; il Palazzo della Consulta, fino al 1870 sede del Tribunale della Sacra Consulta e del Corpo delle Guardie Nobili; via del Plebiscito, dedicata al Plebiscito del 2 ottobre 1870; il Ghetto ebraico, luogo di segregazione, fino al 1870 (un muro circondava la zona e cinque cancelli su di esso erano aperti soltanto durante il giorno per permettere agli ebrei di uscire per esercitare i due soli mestieri a loro consentiti: vendita ambulante di stracci e prestiti ad usura, sempre indossando, però lo speciale contrassegno di colore giallo a dimostrazione dell'appartenenza al popolo ebraico. I cancelli erano sorvegliati da una sentinella (la cui remunerazione era a carico degli ebrei) e nessun ebreo poteva allontanarsi dal ghetto di notte se non voleva essere gravemente punito. Il ghetto fu demolito nel 1870 con l'unificazione d'Italia e la perdita del potere temporale dei Papi); piazza Benedetto Cairoli (garibaldino, rifugiato politico e cospiratore anti-austriaco, deputato al Parlamento, Presidente del Consiglio dei Ministri italiano); Piazza Giuditta Tavani Arquati (la mattina del 25 ottobre 1867, giorno in cui Garibaldi prendeva Monterotondo nel corso della terza spedizione per liberare Roma, una quarantina di patrioti, di cui 25 romani, si riunirono in via della Lungaretta 97, nel rione romano di Trastevere, nella sede del lanificio di Giulio Ajani, per decidere sul da farsi. Il gruppo preparò una sommossa per far insorgere il Roma contro il governo di Pio IX. Deteneva delle cartucce e un arsenale di fucili. Alla riunione partecipò anche la Arquati, con il marito e uno dei tre figli della coppia, Antonio. Verso le 12 e mezzo, una pattuglia di zuavi giunta da via del Moro attaccò la sede del lanificio. I congiurati cercarono di resistere al fuoco. In poco tempo, però, le truppe pontificie ebbero la meglio e riuscirono a farsi strada all'interno dell'edificio. Alcuni congiurati riuscirono a fuggire, mentre altri furono catturati. Sotto il fuoco rimasero uccise 9 persone, tra cui Giuditta Tavani Arquati, incinta del quarto figlio, il marito e il loro giovane figlio); Campo dè Fiori (passando da Piazza Benedetto Cairoli), luogo simbolo degli anticlericali, dove fu arso vivo Giordano Bruno il 17 febbraio 1600, condannato dall’Inquisizione perché considerato eretico; Castel Sant’Angelo, luogo di prigionia e di esecuzioni capitali per opera del potere pontificio; Piazza Pio XII, area di confine tra lo Stato italiano e il Vaticano;
  • ogni anno i radicali hanno organizzato manifestazioni il cui percorso si è snodato da Porta Pia a piazza Pio XII;
  • il giorno 8 settembre 2009, nel corso dell’incontro tra i responsabili di Anticlericale.net e i funzionari della Questura, veniva opposto dai funzionari stessi un netto diniego per quanto riguarda il percorso proposto, in quanto – secondo un protocollo d’intesa stipulato tra istituzioni, partiti politici (ad esclusione dei radicali) e organizzazioni sindacali, e “in vigore” dal 10 marzo 2009 – nella città di Roma sarebbe possibile svolgere cortei seguendo esclusivamente uno dei sei percorsi fissi stabiliti dal protocollo suddetto;
  • nessuno dei sei percorsi indicati dal protocollo è compatibile con il percorso indicato da Anticlericale.net per la marcia del 19 settembre;
Per sapere:
  • quali sono le istituzioni, i partiti e i sindacati che hanno stipulato il protocollo del 10 marzo 2009;
  • quali provvedimenti urgenti intendano adottare per rimuovere il gravissimo vulnus arrecato dal protocollo suddetto ai diritti dei cittadini, con particolare riguardo agli articoli 17 e 21 della Costituzione della Repubblica italiana;
  • se la Santa Sede abbia concordato a qualsiasi livello con la diplomazia italiana limitazioni ai cortei che si traducono in un vulnus al godimento dei diritti costituzionali dei cittadini nelle zone limitrofe e nelle vie d’accesso al territorio dello Stato Città del Vaticano.
I deputati RADICALI - PD Maurizio Turco, Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci, Elisabetta Zamparutti

Mediashopping

Bah, effettivamente quando si ha un catalogo sterminato di prodotti come quello di Mediashopping è scontato che ci siano anche le autobiografie dei personaggi della TV, che in fondo mi paiono più in target rispetto ai saggi sul pensiero di Nietzsche.
Nondimeno mi ha fatto una certa impressione vedere che c’era qualcuno così attento da caricare subito in Google AdWords una campagna pubblicitaria per vendere le memorie di Mike Bongiorno, anche se, come dice Filo Sganga, “gli affari sono affari”.

In fondo, possiamo dimenticare 3000 morti, è per i vivi che stiamo lottando.

chi muore giace, chi vive si dà pace” racconta un adagio popolare, che spiega come, dopo le lacrime, la vita sia condannata a continuare. È un bene che sia così, perché i vivi hanno bisogno di ragioni attuali per ciò che fanno, non possono continuare a vivere nel passato.

E così l’orrenda morte che tremila innocenti hanno trovato in una mattina di settembre non può essere il motore delle nostre azioni. La storia è piena di stragi, la storia è scritta con le stragi, non possono essere quelle a fare la differenza.
Per quanto noi si possa essere stati colpiti nell’anima da quei tre Boeing dirottati e fatti schiantare in nome della follia islamica, quei morti non bastano.
La realtà è che quello che è successo dopo lo abbiamo fatto, lo stiamo facendo, per i vivi.

Lo stiamo facendo per proteggere la nostra sicurezza. Per contenere l’espansione della violenza del totalitarismo. Per impedire che regimi arricchiti dalla nostra stupidità energetica possano continuare a sabotare la pace nei paesi confinanti e nei nostri. Per stabilire, così come dopo la seconda guerra mondiale, dei nuovi principi, in nome dei quali non ci possa essere cittadinanza per pretese fondate sulla negazione della libertà dei singoli.
In questa guerra ci sono stati molti errori, il primo dei quali illudersi che la si potesse combattere riducendo al minimo il crepitar delle armi. Altri ce ne saranno, e il più grave sarebbe quello di dare ascolto a chi si vuole arrendere, a chi cerca l’appeasement col nemico.

Come nella seconda guerra mondiale, la resa non può essere considerata come opzione: non è una questione di “confini dell’impero”, ma della vita di ognuno di noi, di ciò che vogliamo per il nostro futuro. Ecco perché in questo giorno penso a quello che sarà di tutti noi domani, e non a quelle tremila povere vittime, che ieri lo sono state del fanatismo di Al Qaida, ma domani potrebbero esserlo della nostra viltà.

giovedì 10 settembre 2009

Gianfranco Fini, i fascisti, i compagni, gli ubriaconi.

Per farla breve.
Trovo che alcune uscite di Fini siano superficiali e inattente. Trovo che altre sue uscite siano improvvide e autolesioniste. Trovo infine sconcertante che un politico di lungo corso come lui abbia messo il piede sulla buccia di banana così tante volte in così poco tempo. E non mi capacito di come non gli possa essere chiaro che i suoi attuali esaltatori si ricorderanno di quando era il pupillo di Almirante, non appena lui chiederà uno spazio politico proprio.
Detto questo, mi pare che la reazione isterica alle sue parole sia altrettanto superficiale, improvvida e autolesionista, e che mostri una sostanziale immaturità e paura. E che le parole di Feltri nei suoi confronti siano più adeguate a un ubriacone leghista che al direttore di un giornale.
E che l’articolo con il quale Filippo Facci apre la sua collaborazione con “Libero” raccolga al meglio i miei dubbi.


Fiuggi, vent’anni di meno
di Filippo Facci

Il mio terrore è che dietro la burbanzosa sicumera di certa destra governativa – dietro la neo ostentazione di uno schematismo destra/sinistra che si è tornati a tagliare con l’accetta, in questo Paese – si celi una progressiva involuzione di tutta la destra italiana. La mia paura, cioè, è che il famoso complesso delle catacombe missine, poi trasfigurate nella nuova e moderna destra di Fiuggi, si stia ri-trasformando in una becera rivendicazione di pulsioni datate e che non hanno niente a che vedere col progetto che il Pdl si era dato da principio. Temo, per dirla malissimo, che una larga parte del Pdl si stia trasformando in pratica nella Destra di Storace: senza che nessuno, tantomeno gli elettori, gli abbia mai chiesto di farlo.

Aggiungo che la frequente militanza ex missina o ciellina di molto personale giornalistico di centrodestra, temo ancora, rischia di avvitarsi in una corsa a inseguimento del lato estremista della consueta «gente»: quella di cui ciascuno, ovviamente, si sente interprete genuino e infallibile.

A chi ritenesse che sto esagerando – com’è possibilissimo – risponderei che in questo centrodestra c’è comunque un clima nervoso, palesemente corroborato dall’ebbrezza di un potere rimasto notoriamente senza avversari. Così gli avversari si fabbricano in casa. Sembrano quasi, certe declarazioni ostentate, come pervase da un afflato liberatorio: e Gianfranco Fini, o meglio il caso Fini, su questo sfondo è divenuto il reagente di tutte le contraddizioni, lo sfiatatoio di apnee che forse duravano da troppo tempo, forse addirittura dal 1994. Perdonate se non mi curo dei presunti retroscena da analisti malati di politica, cioè le corse per il Quirinale o le improbabili successioni a Berlusconi: io mi limito a registrare un paio di cose. Una è questa: non gliene frega più niente a nessuno di atteggiarsi a conservatore illuminato ed europeo, non importa più a nessuno che certe asserzioni di Fini, nella destra di Cameron e Sarkozy, o nei cristiano-democratici della Merkel o dello spagnolo Rajoy, sarebbero considerate addirittura banali. Altro che «compagno Fini». Non importa a nessuno, neppure, di voler incarnare il sogno moderno dei Leo Longanesi, del Mondo di Pannunzio, di Montanelli, della famosa destra risorgimentale e libertaria e balle varie: macché, c’è piuttosto da imitare il lato peraltro inimitabile e sanguigno della Lega, c’è da inventarsi «l’Italia delle piccole comunità e delle periferie urbane» che l’ex socialista Maurizio Sacconi, in un’intervista al Corriere della Sera, ha descritto come se al governo ci fosse ancora Amintore Fanfani; c’è da pensare alle regionali, c’è da bollare come «radicale» chi non lo è stato mai, da laicista di chi è laico e basta; e c’è in generale, e soprattutto, una classe politica che è stata eletta con liste blindate, che spesso non ha neppure mai visto un collegio elettorale in vita propria – al limite qualche patinata cena elettorale – ma che adesso ti parla della piazza anche se ha frequentato solo quella di Ballarò. Ci sono anche i sondaggi, come no: nel caso di certe generiche affermazioni di Fini, però, non valgono neanche quelli, anzi, non vengono menzionati. Il 70 per cento degli elettori di centrodestra (fonte: Crespi Ricerche) è contro il testamento biologico che il governo sta cucinando, ma guai a dirlo; il 51 per cento degli elettori del Pdl è favorevole a un riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, ma è roba da froci, roba da sinistra o, peggio ancora, da destra europea. C’è poi una faccenda che mette in presidente della Camera in una posizione oggettivamente eccentrica – ne convengo pienamente – ed è quella sul voto agli immigrati, posizione che oltretutto è la stessa di Santa Romana Chiesa: e però guardate la disparità di trattamento.
Lo dicessero alla Chiesa, «rientra nei ranghi».

E’ vero, la sinistra applaude Gianfranco Fini: e allora? Applaudirebbero anche un carciofo, se fosse alternativo a Berlusconi. E’ solare che mirano a fomentare divisioni, ci stanno pure riuscendo. Ma non dite che le idee di Fini siano uguali a quelle di un Franceschini, e questo sia perché sono diverse e basta e sia perché, spesso, non sono neppure idee, sono solo uscite genericissime e dettate dall’ecumenismo che il suo ruolo richiede o almeno permette: uscite che ogni volta, però, sono sottoposte a plurimi processi alle intenzioni.

Davvero, io Fini neppure lo conosco e della sua ascesa politica m’importa relativamente. Certe sue uscite forcaiole non gliele perdonerò mai, per quanto possa interessarvi. Però so, e ho visto, che ha fatto un percorso mica da ridere, ha pagato prezzi salati e senz’altro discutibili – certi suoi bagni penitenziali li ho trovati, quelli sì, cattocomunisti – e comunque ha elaborato e sofferto lo scioglimento di un partito storico per ben due volte.

Ha fatto bene? Ha fatto male? Chissà. A oggi sappiamo solo che tutto questo è servito per ritrovarsi stampate nero su bianco, un bel mattino, le ciniche espettorazioni giornalistiche di chi gli ha intimato di punto in bianco: «Rientra nei ranghi, sei ridicolo».

I ranghi.
A pensarla come Gianfranco Fini sono in milioni, nel centrodestra, e in milioni fisiologicamente non la pensano come lui: volete smembrare gli uni dagli altri, ciascuno nel suo preciso rango? Non è difficile: basterebbe tornare alla Repubblica multipartitica, basterebbe non mettersi in testa fondare il più grande partito della storia d’Italia come però, ecco, è stato fatto: un crogiolo composito, complesso, ridondante, soprattutto molto più e ambizioso dei ranghi da caserma prefigurati da qualche bollito con in mano il Winchester. La terza parola che compone il nome del partito – il Pdl – forse andrebbe riletta e riletta sino a stamparsela nel cranio una volta per tutte.
Mica i ranghi.

mercoledì 9 settembre 2009

Un saluto da Piccolo e Nera


Il sole di settembre è veramente un piacere, per umani e altri animali, che se ne stanno al tepore del pomeriggio a dormicchiare.
Piccolo e Nera erano sulla poltrona, in una posizione così simpatica che non ho resistito, Noè invece è snob e asociale, e col cavolo che si lascia fotografare in compagnia dei fratelli…

martedì 8 settembre 2009

Addio Mike


Buon viaggio, e buon riposo.
Mi spiace davvero, era una persona per bene e un umile lavoratore.
In questo paese di stronzi che se la tirano, un’eccezione.
E ancora vergogna a chi non ha saputo cosa fosse la gratitudine.

lunedì 7 settembre 2009

L’Albero della libertà per il popolo iraniano a Palazzo Marino

Milano, piazza della Scala lunedì 13 alle 18.00.

Crescerà sulla terrazza di Palazzo Marino “l’Albero della libertà” per il popolo iraniano: un ficus benjamino sempreverde dell’Asia donato al Presidente del Consiglio comunale Manfredi Palmeri dagli studenti iraniani a Milano, dal giornalista dissidente Ahmad Rafat, dal Presidente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia Daniele Nahum e dal Presidente dell’Associazione Annaviva Matteo Cazzulani.

La proposta unanime della Conferenza dei Capigruppo insieme alle consigliere comunali è di esporre il prossimo 13 luglio sulla facciata di Palazzo Marino una gigantografia con la foto di Neda, la ragazza uccisa lo scorso giugno e divenuta il simbolo della protesta contro il regime in Iran


venerdì 4 settembre 2009

Il bebè alieno? una povera scimmietta scuoiata viva

Avevo visto quell'immagine. Poiché, se si fosse trattato di un autentico alieno, il mondo si sarebbe messo a tumultuare come e peggio che per le avventure erotiche di Papi, e ciò non era accaduto, non ho degnato di attenzione la cosa.

Ma oggi Paolo Attivissimo rivela una notizia da incubo: l'alieno era una povera scimmietta, scuoiata ad arte per creare la notizia bufala. Io non ho molto da aggiungere a un semplice Dio li maledica.

Li scuoierei tutti quanti io personalmente, così imparano qualcosa dalla vita, questi schifosi.

Dopo Boffo, un autentico film dell’orrore…

Dagospia pubblica oggi questa analisi anonima, quindi immagino opera di qualche suo insider, sulle prospettive di nuovi equilibri di potere in area cattolica. Prospettive per tutti noi terrificanti, ovviamente…


 

In epoca di prima Repubblica vigeva una rigida divisione del lavoro che più o meno funzionava così. Alla Dc e ai cattolici la televisione, il servizio pubblico, la Rai (vedi l'era di Ettore Bernabei). Al Pci e alla sinistra la cultura, il cinema, l'editoria, l'università. Ai laici e alla massoneria i grandi quotidiani del Nord, i giornali legati alla finanza e all'imprenditoria.

Un codice da tempo saltato per aria, con l'irruzione di Berlusconi. E con l'infiltrazione ai vertici dei media un tempo laici degli uomini della più potente lobby politico-economico-ecclesiale che ci sia oggi in Italia: la falange di Comunione e Liberazione.

Morto il fondatore don Luigi Giussani nel 2005 i ciellini hanno affidato la cura delle loro anime a un prete spagnolo, don Carron. E loro si sono buttati sulla coltivazione delle Opere.

La Compagnia delle Opere è la holding di Cl, un colosso economico che attira banche, enti pubblici, lega cooperative. Oggi la Cdo è presieduta dal biondo Bernard Scholtz, ma il vero leader è il rubizzo Giorgio Vittadini, il numero uno della nomenklatura ciellina. Come si è visto all'ultimo Meeting di Rimini, quando "Vitta" ha accolto alla Fiera il governatore di Bankitalia Mario Draghi, esponente dei poteri laici. Sembravano due capi di Stato stranieri chiamati a firmare un armistizio.

Potere politico: nel Pdl ci sono Roberto Formigoni, il vice-presidente della Camera Maurizio Lupi che ha in mano l'organizzazione del partito, il vice-coordinatore Giancarlo Abelli, l'europarlamentare Mario Mauro. Una corrente in ascesa.

E poi soldi, tanti soldi. E tanta Expo. Anche sul registratore di cassa ci siamo.

Ma per vincere le guerre che contano oggi servono le armate mediatiche. I crociati ciellini lo sanno bene, si sono preparati da tempo ad Armageddon.

Ricapitoliamo.

Ciellino è Luigi Amicone, direttore del settimanale "Tempi" che circola allegato con il "Giornale" berlusconiano, ed editorialista del "Foglio". Nella squadra di Giuliano Ferrara è appena arrivato il vaticanista Paolo Rodari, ciellino anche lui, in arrivo dal "Riformista".

Ciellino è il vice-direttore vicario del foglio arancione di Antonio Polito, Ubaldo Casotto. Al "Giornale" c'è l'ex agente Betulla, Renato Farina, in questi giorni tra i più scatenati all'attacco del confratello di fede Dino Boffo. "Dino, Dinetto dì la verità", lo ha stuzzicato nei giorni scorsi l'onorevole Farina, come un gattone con un topolino: lui ne sa qualcosa, della verità.

In quota "Libero" c'è il giornalista che parla con la Madonna di Fatima Antonio Socci. E sta per arrivare il vice-direttore Franco Bechis, oggi alla guida di Italia Oggi, altro ciellino di ferro, maritato a Monica Mondo, volto della tv della Cei Sat2000, fino a ieri diretta da Boffo.

Finito? No, perché alla "Stampa" di Mario Calabresi è appena sbarcato l'editorialista Michele Brambilla.

Un devoto del Movimento spunta perfino nel ponte di comando dell'ammiraglia laica, "Repubblica": il vice-direttore Angelo Rinaldi, l'ombra di Ezio Mauro, il cui matrimonio fu celebrato da don Giussani e che in morte del Fondatore si autosospese dalla carica per protesta contro un articolo di Francesco Merlo considerato irriverente nei confronti dell'aspirante Santo.

Ai vertici dei media confindustriali c'è Gianfranco Fabi, vice-direttore del "Sole" e direttore di Radio 24. In corsa per sostituire Boffo.

Al "Corriere", ascoltata l'antifona, si è avvicinato ai sacri testi giussaniani l'inviato Aldo Cazzullo, autore durante l'ultimo meeting di Rimini di un salmodiante diario quotidiano, una lode mattutina per Com.&Lib. Perfino un laicissimo come Giampaolo Pansa è andato a Rimini a confessare di sentirsi cattolico, acclamato da migliaia di ciellini.

Anche alla testa del Tg1 sta per arrivare un altro ex ragazzo di don Giussani, il formigoniano Enrico Castelli, con i galloni di vice-direttore.

C'era un solo giornale che finora aveva resistito all'assalto. Per paradosso, il quotidiano dei vescovi "Avvenire". Boffo era attento alle ragioni di Cl per ragioni di fede e di cassetta, ma espressione di un'altra banda curiale, quella legata al cardinale Camillo Ruini che con i ciellini ha sempre avuto un rapporto di diffidenza.

Ma ora anche "Avvenire" potrebbe finire in mani cielline: diretto da Fabi o da Roberto Fontolan, ex braccio destro di Gad Lerner al Tg1, ex direttore del Velino, oggi direttore di Oasis, la rivista della diocesi di Venezia voluta dal cardinale Angelo Scola.

E qui si aprono nuove, magnifiche prospettive.

Il progetto di Ruini-Boffo è sempre stato quello della Chiesa-lobby, attenta a inserire un drappello di fedelissimi di qua e di là per giocare sui tavoli dei due schieramenti: i teodem alla Paola Binetti e la Margherita di Francesco
Rutelli di qua, l'Udc di Pierfurby Casini di là. Il bel Pier era il prediletto di Ruini-Boffo: quando si spezzò l'alleanza con il Pdl di Berlusconi in Laterano fu Quaresima, digiuno e astinenza.

I ciellini, invece, si sono piazzati armi e bagagli dentro il Pdl. Non amano il Cavaliere ma sperano di ereditarne l'Impero con il loro uomo di punta: l'ex casto Roberto Formigoni.

E poi c'è la partita che conta di più. Il Soglio più alto. L'Anello del Pescatore. La Cattedra di Pietro. C'è un uomo che si prepara da anni alla successione di papa Ratzinger, quando verrà il momento. È il patriarca di Venezia cardinale Angelo Scola, il prediletto di don Giussani, nato e cresciuto a Lecco con l'amico Formigoni, di poco più giovane.

Potere ecclesiale e potere politico.

Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Scola papa, Formigoni presidente e Giussani santo subito. La Santa Trinità di Comunione e liberazione che punta a governare la Chiesa, l'Italia e le chiavi del Paradiso. Con l'aiuto di Dio, delle Opere e dei media.

giovedì 3 settembre 2009

I leghisti ci mettono un po', ma poi si adeguano...


Diciamo che i leghisti ci hanno messo un po’, ma la lezione l’hanno appresa e ora sono in tutto uguali ai partiti della prima Repubblica…
Renzo Bossi, figlio d’arte di Umberto, noto più che altro per la sua cronica incapacità di conseguire la maturità, è stato nominato nel consiglio di direzione dell’“Osservatorio sulla trasparenza e l’efficacia del sistema fieristico lombardo”.

Almeno nei partiti della prima Repubblica c’erano i professionisti, i professori universitari, i titolari di un serio diploma, e quelli che non avevano preso la maturità potevano portare come scusante il fatto che a 18-20 anni erano in guerra, in un campo di concentramento o sulle montagne a fare i partigiani, anche “solo” in fabbrica a far girare il tornio… Renzo Bossi, come direbbe suo padre, al massimo può dire che sta facendo “la trota”.

Dio, la figa e tutto il resto

Marcello Veneziani scrive oggi un articolo interessante, e pure divertente sulla necessità che la Chiesa scenda a patti con la realtà del rapporto tra l'uomo e il sesso e cerchi di salvarsi da questa onda di discredito oramai schiantatasi su di lei a causa dell'incoerenza tra la sua predicazione, i fatti della vita e quelli della Chiesa stessa.

Ha ragione Veneziani: tanta gente ha perso la fede con la verginità, riducendo il cristianesimo ad un precetto di astinenza sessuale, evidentemente è un mio lettore, avendo io scritto tanto tempo fa che la Chiesa aveva "trasformato Nostro Signore in un guardone e la Bibbia in un manuale di igiene sessuale".

Detto questo, l'articolo è piacevole, ma nulla di più, diciamo un divertissement di fine estate…

Fatevi processare, puffoni!

Il senso della misura proprio gli manca.
Passano anni a pubblicare ogni peto di qualche procuratore, a rovesciare ogni palata di letame sull’immagine pubblica e privata di un uomo descrivendolo chiaramente come un delinquente, conducono una sistematica campagna in cui la critica politica lascia abbondantemente il passo alla demolizione della dignità personale e, quando la vittima decide di reagire con gli strumenti che l’ordinamento giuridico pone a disposizione di tutti cittadini e a chiedere che tali condotte siano esaminate da un tribunale della Repubblica come per tutti i cittadini, si mettono a piangere e a urlare “come i fascisti”.

Di più, per rendere la cosa più melodrammatica, mettono in prima pagina l’attacco “alle donne”, evocando una condizione di inferiorità (quasi si potesse dire poverine, sono solo delle donne, lasciatele stare) che proprio loro dovrebbero combattere culturalmente.

Siccome proprio non accettano l’idea che le parole siano pietre, ecco che aprono i loro editoriali con frasi leggere come “Quel che non si può comprare né corrompere deve tacere…”.
Per l’obiettivo dei loro attacchi non è previsto che possa muoversi a pietà neppure “Nessuno tocchi Caino”: deve soccombere e lasciarsi aggredire, è colpevole e immondo per definizione, non farebbe una cosa giusta neppure se decidesse di morire.

E i fascisti, naturalmente, sarebbero gli altri.
Per una simile faccia di tolla c’è solo l’indimenticato grido risuonato un giorno in un corridoio di tribunale: “fatevi processare, [b]puffoni”.

mercoledì 2 settembre 2009

Se chi guarda i porno è colpevole per forza

Alberto Stasi era al suo computer mentre si consumava il delitto nella villetta di Garlasco.
Un alibi di ferro, dunque innocente.
Il guaio è che il giovane Stasi stava guardando al suo computer filmini pornografici, e una persona civile queste cose non le farebbe mai: dunque, in ogni caso è colpevole.

Ciò che sbalordisce è il dito alzato del moralista che pretende di inchiodare Stasi alla sua colpa morale: chi guarda il materiale pornografico è sempre un altro, qualcuno che non frequenteremmo mai, qualcuno che vive in modo indegno e disgustoso, proprio come noi non faremmo mai.
E invece su 153 milioni di navigatori on line nel mondo, 147 milioni avrebbero visitato almeno una volta un sito hard. Il 90 per cento del ricavato pubblicitario di Internet viene dalla pornografia; il mercato porno - in tutte le sue varianti tecnologiche - cresce in modo esponenziale, con un valore medio annuo (dal 2002 al 2004) di 993 milioni di euro.

Questi dati possono far riflettere sul significato della sessualità, dell’erotismo, dell’amore, sulla nostra educazione sentimentale: tutti ragionamenti interessanti.
Ma l’equivalenza tra il consumatore di materiale pornografico via Internet e il suo grado di pericolosità sociale che può perfino spiegare un omicidio è stravagante, a meno che non si consideri quell’equivalenza il frutto maturo del moralismo moderno.

Si fanno dotte distinzioni tra moralismo e morale, condannando il primo, celebrando la seconda. Moralista sarebbe colui che si erge a giudice del comportamento altrui, un comportamento che agli occhi del moralista è accettabile e ammissibile se rispetta le regole del costume civile di una società, appunto la sua morale. Tanto per intenderci, il moralista è come un cartello stradale, il quale indica il percorso da seguire che lui, il cartello, comunque, non farà mai. La morale invece è la regola stabilita da quello stesso cartello.
D’accordo, l’esempio può sembrare (soltanto sembrare) pretestuoso: ma sono convinto che oggi non ci sia proprio più nessuna differenza tra la morale e il moralista.
In questi tempi quale morale non è gratuita, fine a se stessa? Quale morale non si basa su pretesti per il proprio libero gioco, per i propri interessi camuffati da nobili principi? Si parla di imbarbarimento della politica, dell’informazione, della giustizia... Cos’è questo imbarbarimento? È l’azione del moralizzatore che di volta in volta decide quale siano le regole da far rispettare secondo il proprio comodo, il proprio vantaggio. La morale non è che il frutto di un indecente gioco di potere: se non hai potere e sei fuori dal comando sei un immorale, dunque il peggio del peggio.
Qual è oggi il moderno tiranno? L’uomo immorale: cioè l’uomo a cui si costruisce addosso l’abito del trasgressore della moralità, naturalmente cucitogli da chi pretende di mettere le regole morali. E così sappiamo anche chi siano oggi gli eroi della libertà: sono coloro che lottano per la moralità del mondo (non più per cambiare o salvare il mondo), una moralità che vedono minacciata da chi si fa una bella risata delle loro regole di potere che pretendono di stabilire chi sia l’uomo morale.

Senza andare troppo lontano si guardi cosa è successo in casa nostra. È andata perduta l’anima cattolica del Paese, e così, invece di concentrarsi sul peccato (presupposto fondamentale della morale cattolica), ci si è concentrati sui peccatori. L’anima cattolica era attenta all’umanità del peccatore: lo comprendeva mentre dedicava le sue forze a combattere il peccato. Oggi c’è una perfetta, simmetrica inversione di questo principio essenziale del cattolicesimo, per cui ogni istanza morale che dovrebbe circoscrivere e annientare il peccato diventa un’occasione per il moralista di attaccare politicamente il presunto peccatore.

Eccolo lì, Alberto Stasi, davanti al suo computer a guardarsi filmini pornografici. Come può non essere colpevole uno che non conosce l’abc delle regole morali?
Dovrà farsene una ragione e mettersi il cuore in pace, perché qualunque sia la verità sulla tragedia di Garlasco, lui è già stato condannato dai moderni eroi che combattono per la moralità del mondo.

Stefano Zecchi