Buon anno!
giovedì 31 dicembre 2009
lunedì 28 dicembre 2009
Gli anni passano, ma Bergamo e l’Italia restano province iraniane
Quando l’ho letta stentavo a crederci, non per la notizia, ma perché mi ha fatto ripiombare indietro di almeno una quindicina d’anni, quando il proprietario di una nota catena di sex shop lottava con l’amministrazione bergamasca per riuscire ad aprire un punto vendita nella “città dei Mille”.
La notizia non è quella che a Bergamo, in via Sardegna 2/b, apre oggi un sex shop. Nè che, come ovvio, prima ancora che si alzassero le saracinesche del punto vendita (il più grande della città, come fa notare Bergamo news) si siano alzati i lai di parroci e consiglieri comunali di centrodestra, che si lagnano della vicinanza del negozio a scuole e oratori assortiti (qualcuno li avverta: in un paese ricco e cattolico come il nostro ci sono scuole e oratori ogni tre isolati in ogni città, senza parlare di ciò che si vede in televisione a ogni ora…).
La notizia è che, siccome al peggio non c’è mai fine, al coro dei difensori della famiglia e della virtù, s’è unito pure quello dei piddini.
Scrive infatti oggi sempre Bergamo news che il Partito Democratico interviene sul tema, dicendosi “sconcertato del fatto che sia lasciato al privato che affitta gli spazi la discrezionalità più assoluta rispetto a quale tipo di esercizio accetti di collocare all’interno di uno stabile”.
In un comunicato stampa il consigliere comunale del Pd Fiorenza Varinelli annuncia che il gruppo presenterà un ordine del giorno affinché “l’Amministrazione comunale non solo si faccia portavoce presso i proprietari dell’esercizio commerciale delle legittime preoccupazioni dei residenti, e solleciti anche la Regione Lombardia a inserire nella propria normativa precisi vincoli che impediscano l’apertura di simili esercizi commerciali nelle vicinanze di servizi educativi frequentati da minori”.
“Risulta che la normativa regionale che la normativa regionale – aggiunge il comunicato - non prevede alcun vincolo relativo alla opportunità della collocazione di simili esercizi commerciali. Ciò significa che, come sta accadendo in questo caso, nessuna legge vieta che l’esercizio commerciale in questione possa essere aperto a 5 metri dalla scuola primaria e a 50 dall’oratorio e dalla scuola dell’infanzia del quartiere. Lascia sconcertati il fatto che sia lasciata al privato che affitta, la discrezionalità più assoluta rispetto a quale tipo di esercizio accetti di collocare all’interno di uno stabile”.
Oltre allo sconcerto di vedere che questi hanno cambiato nome più volte di quante una persona perbene cambi i calzini, senza cessare però di restare i soliti vecchi comunisti che rimpiangono la pianificazione economica e il potere dello Stato sulle botteghe, c’è la desolazione di osservare ancora una volta che, da qualunque lato di giri non trovi un liberale a pagarlo in oro.
Ai nostri politici la teocrazia iraniana gli fa 'na sega: non hanno bisogno neppure degli ordini dell'imam per sostenere - da destra a sinistra senza eccezione alcuna - le posizioni più ipocrite e illiberali, sempre pronti ad attaccare i diritti individuali (quello alla libera scelta dei trattamenti sanitari, quello a costruirsi una famiglia, quello a pregare Dio secondo le proprie tradizioni, persino quello ad aprire un negozio) pur di leccare la tonaca al vero potere di questo sciagurato Paese.
O mia Patria, sì bella e perduta…
La notizia non è quella che a Bergamo, in via Sardegna 2/b, apre oggi un sex shop. Nè che, come ovvio, prima ancora che si alzassero le saracinesche del punto vendita (il più grande della città, come fa notare Bergamo news) si siano alzati i lai di parroci e consiglieri comunali di centrodestra, che si lagnano della vicinanza del negozio a scuole e oratori assortiti (qualcuno li avverta: in un paese ricco e cattolico come il nostro ci sono scuole e oratori ogni tre isolati in ogni città, senza parlare di ciò che si vede in televisione a ogni ora…).
La notizia è che, siccome al peggio non c’è mai fine, al coro dei difensori della famiglia e della virtù, s’è unito pure quello dei piddini.
Scrive infatti oggi sempre Bergamo news che il Partito Democratico interviene sul tema, dicendosi “sconcertato del fatto che sia lasciato al privato che affitta gli spazi la discrezionalità più assoluta rispetto a quale tipo di esercizio accetti di collocare all’interno di uno stabile”.
In un comunicato stampa il consigliere comunale del Pd Fiorenza Varinelli annuncia che il gruppo presenterà un ordine del giorno affinché “l’Amministrazione comunale non solo si faccia portavoce presso i proprietari dell’esercizio commerciale delle legittime preoccupazioni dei residenti, e solleciti anche la Regione Lombardia a inserire nella propria normativa precisi vincoli che impediscano l’apertura di simili esercizi commerciali nelle vicinanze di servizi educativi frequentati da minori”.
“Risulta che la normativa regionale che la normativa regionale – aggiunge il comunicato - non prevede alcun vincolo relativo alla opportunità della collocazione di simili esercizi commerciali. Ciò significa che, come sta accadendo in questo caso, nessuna legge vieta che l’esercizio commerciale in questione possa essere aperto a 5 metri dalla scuola primaria e a 50 dall’oratorio e dalla scuola dell’infanzia del quartiere. Lascia sconcertati il fatto che sia lasciata al privato che affitta, la discrezionalità più assoluta rispetto a quale tipo di esercizio accetti di collocare all’interno di uno stabile”.
Oltre allo sconcerto di vedere che questi hanno cambiato nome più volte di quante una persona perbene cambi i calzini, senza cessare però di restare i soliti vecchi comunisti che rimpiangono la pianificazione economica e il potere dello Stato sulle botteghe, c’è la desolazione di osservare ancora una volta che, da qualunque lato di giri non trovi un liberale a pagarlo in oro.
Ai nostri politici la teocrazia iraniana gli fa 'na sega: non hanno bisogno neppure degli ordini dell'imam per sostenere - da destra a sinistra senza eccezione alcuna - le posizioni più ipocrite e illiberali, sempre pronti ad attaccare i diritti individuali (quello alla libera scelta dei trattamenti sanitari, quello a costruirsi una famiglia, quello a pregare Dio secondo le proprie tradizioni, persino quello ad aprire un negozio) pur di leccare la tonaca al vero potere di questo sciagurato Paese.
O mia Patria, sì bella e perduta…
Post Scriptum:
qualcuno di buon senso liberale è rimasto pure a Bergamo: si tratta del coordinatore provinciale del Popolo della Libertà, Carlo Saffioti, il quale dichiara:
“…Le discussioni sull’apertura del sexy shop nel quartiere di San Tomaso mi sembrano davvero eccessive. Capisco che il gruppo consiliare del Pd, ricordandosi delle proprie radici, pretenda che sia l’ente pubblico a decidere che cosa possa essere commercializzato e si lamenti per il fatto che il privato sia libero di affittare a chi vuole il proprio spazio commerciale. La libertà comporta anche questo: che nel rispetto delle leggi possano essere aperti anche dei sexy shop. Possono piacere o no… ma mi sembra pretestuoso vietarne l’apertura in quanto vicino alle scuole: siamo assediati da pubblicità di ogni genere spesso sexy e provocanti, nelle tv le rappresentazioni di rapporti sessuali e l’esposizione di belle gambe e bei seni sono ormai ad ogni ora, … Che senso ha scandalizzarsi per un sexy shop che ha le vetrine oscurate e al quale può accedere solo un maggiorenne? Tocca alla famiglia, alla scuola, oratori e alle diverse agenzie educative, il compito di far sì che il giovane sia messo nelle condizioni, quando adulto, di decidere che cosa comprare e in quali negozi entrare...”.
Bravo Saffioti, del resto lui era consigliere comunale liberale già quando dichiararsi liberali era quantomeno eccentrico... evidentemente era liberale per davvero allora, e lo è rimasto ora che, paradossalmente, è più difficile.
domenica 27 dicembre 2009
La piccola e bella mostra sul centenario della nascita di Indro Montanelli
Se, in questi giorni di cazzeggio passaste per il centro, fate un salto al Museo di Storia Contemporanea di Milano.
Io ci sono passato (ammetto per caso) proprio ieri, e ho potuto così visitare la piccola mostra dedicata a Indro Montanelli.
Alcune sale con foto e citazioni della sua ricchissima produzione, una mostra sicuramente tardiva e troppo piccola, ma che per questo, altrettanto, sfugge alla retorica e, confessiamolo, alla noia, rischio che più del primo Montanelli avrebbe temuto.
I curatori della mostra - Mario Cervi e Luigi Mascheroni – scrivono nell’introduzione che “Curare una mostra di immagini montanelliane è il mestiere più facile del mondo… Indro pareva nato apposta per essere fotografato. Tutto aiutava in lui. L’alta statura, il corpo filiforme, l’eleganza ossuta delle mani che artigliavano idee e battute. E soprattutto quel volto che avrebbe fatto invidia, per come forava l’obiettivo e per come rifletteva i sentimenti, a un Eduardo De Filippo…”, a guardare quelle foto non si può che concordare, e a leggere le sue parole si scopre anche un Montanelli inatteso, come quello dolcissimo che parla del suo amore con Colette Rosselli.
Io ci sono passato (ammetto per caso) proprio ieri, e ho potuto così visitare la piccola mostra dedicata a Indro Montanelli.
Alcune sale con foto e citazioni della sua ricchissima produzione, una mostra sicuramente tardiva e troppo piccola, ma che per questo, altrettanto, sfugge alla retorica e, confessiamolo, alla noia, rischio che più del primo Montanelli avrebbe temuto.
I curatori della mostra - Mario Cervi e Luigi Mascheroni – scrivono nell’introduzione che “Curare una mostra di immagini montanelliane è il mestiere più facile del mondo… Indro pareva nato apposta per essere fotografato. Tutto aiutava in lui. L’alta statura, il corpo filiforme, l’eleganza ossuta delle mani che artigliavano idee e battute. E soprattutto quel volto che avrebbe fatto invidia, per come forava l’obiettivo e per come rifletteva i sentimenti, a un Eduardo De Filippo…”, a guardare quelle foto non si può che concordare, e a leggere le sue parole si scopre anche un Montanelli inatteso, come quello dolcissimo che parla del suo amore con Colette Rosselli.
Insomma, se avete qualche minuto, andateci.
venerdì 25 dicembre 2009
mercoledì 16 dicembre 2009
Alberto Stasi e i cadaveri erranti (giusto per ricordare che la giustizia ci riguarda tutti)
Leggendo le agenzie di stampa sulla richiesta di condanna per Alberto Stasi formulata dal pm Muscio, mi è venuta in mente (chissà poi perché…) la famosa storiella dei due appuntati che rinvengono un cadavere in via Aleksandr Isaevič Solženicyn e, non sapendo come scrivere correttamente nel verbale il nome del drammaturgo russo, ipotizzano di spostare la salma in via Giacomo Leopardi, cognome certamente di più semplice verbalizzazione.
Ecco, siccome le perizie (soprattutto quelle disposte dal gup di Vigevano Stefano Vitelli, quindi non di parte) stavano per far crollare tutto l’impianto accusatorio, cosa si “inventa” il pm Rosa Muscio? Modifica, posticipandolo, l’orario della morte di Chiara Poggi che sarebbe stata uccisa non più intorno alle 11/11,30 bensì dopo le 12,20 ora in cui Alberto Stasi avrebbe finito di lavorare al suo computer, come stabilito dalle perizie informatiche. E se, per ipotesi, l’unico imputato dell’omicidio avesse scritto al pc fino alle 14,55? Niente paura, si sposti ancora l’ora del compimento del crimine (magari verso le 15, tanto per stare più tranquilli) e tutto è risolto.
Non solo. Come già osservato da qualcuno, il nuovo orario consente di rendere praticamente senza effetti anche la testimonianza di una vicina di casa dei Poggi che ha sempre sostenuto di aver visto una bicicletta da donna davanti alla villa dell’omicidio intorno alle 9,10/9,15. Quella due ruote non è stata mai identificata così come, nella ricostruzione fatta dal pm, assai poche certezze (per non dire nessuna) si mostra di avere su movente e arma del delitto.
Da esterni quali siamo noi, si ha la sensazione di essere di fronte ad un castello accusatorio assai fragile che traballa alla prima folata di vento: una fragilità sulla quale è basata, però, la richiesta di infliggere trent’anni di reclusione a Stasi a fronte di indizi di colpevolezza “chiari e precisi”: una richiesta, è bene ricordarlo, che rappresenta il massimo della pena prevista in caso di processo con rito abbreviato. E mica è finita, perché la dottoressa Muscio chiesto al giudice di non concedere le attenuanti generiche e di considerare invece le aggravanti delle sevizie e dei futili motivi.
Per dirla con l’avvocato Angelo Giarda, questa inchiesta «fa paura perché prima si è trovato il colpevole e poi ci si è messi a caccia delle prove contro di lui».
Per quel che ci riguarda continuiamo a credere che il caso non sia chiuso e che il colpevole (vero) deve essere ancora identificato.
Intanto il cadavere di via Solženicyn può essere trasferito in via Leopardi.
Gianluca Perricone su "Giustizia Giusta"
Ecco, siccome le perizie (soprattutto quelle disposte dal gup di Vigevano Stefano Vitelli, quindi non di parte) stavano per far crollare tutto l’impianto accusatorio, cosa si “inventa” il pm Rosa Muscio? Modifica, posticipandolo, l’orario della morte di Chiara Poggi che sarebbe stata uccisa non più intorno alle 11/11,30 bensì dopo le 12,20 ora in cui Alberto Stasi avrebbe finito di lavorare al suo computer, come stabilito dalle perizie informatiche. E se, per ipotesi, l’unico imputato dell’omicidio avesse scritto al pc fino alle 14,55? Niente paura, si sposti ancora l’ora del compimento del crimine (magari verso le 15, tanto per stare più tranquilli) e tutto è risolto.
Non solo. Come già osservato da qualcuno, il nuovo orario consente di rendere praticamente senza effetti anche la testimonianza di una vicina di casa dei Poggi che ha sempre sostenuto di aver visto una bicicletta da donna davanti alla villa dell’omicidio intorno alle 9,10/9,15. Quella due ruote non è stata mai identificata così come, nella ricostruzione fatta dal pm, assai poche certezze (per non dire nessuna) si mostra di avere su movente e arma del delitto.
Da esterni quali siamo noi, si ha la sensazione di essere di fronte ad un castello accusatorio assai fragile che traballa alla prima folata di vento: una fragilità sulla quale è basata, però, la richiesta di infliggere trent’anni di reclusione a Stasi a fronte di indizi di colpevolezza “chiari e precisi”: una richiesta, è bene ricordarlo, che rappresenta il massimo della pena prevista in caso di processo con rito abbreviato. E mica è finita, perché la dottoressa Muscio chiesto al giudice di non concedere le attenuanti generiche e di considerare invece le aggravanti delle sevizie e dei futili motivi.
Per dirla con l’avvocato Angelo Giarda, questa inchiesta «fa paura perché prima si è trovato il colpevole e poi ci si è messi a caccia delle prove contro di lui».
Per quel che ci riguarda continuiamo a credere che il caso non sia chiuso e che il colpevole (vero) deve essere ancora identificato.
Intanto il cadavere di via Solženicyn può essere trasferito in via Leopardi.
Gianluca Perricone su "Giustizia Giusta"
martedì 15 dicembre 2009
L'autore è un folle, ma il motivo è la politica
La prima domanda: è il gesto di un folle, una cosa che può capitare a chiunque e dovunque? Oppure è il frutto di un clima, di un'assuefazione alla violenza verbale e all'odio politico?
A me pare che la risposta l'abbia data lo stesso Massimo Tartaglia al procuratore Spataro: «L'ho colpito perché odio la sua politica». E cioè: il gesto è certamente folle, ed è stato compiuto probabilmente da un folle, che ieri ha mandato anche la regolare lettera di scuse. Ma la motivazione è politica. Non siamo in Taxi driver. Tartaglia conosce la politica di Berlusconi attraverso la rappresentazione che ne danno gli oppositori e i media, come tanti altri italiani. Non tutti quelli che la odiano lancerebbero in faccia al premier un corpo contundente, ma solo uno che la odia può farlo. Dal che discende una lezione: quando Napolitano e le poche persone sagge di questo paese invitano a non creare un clima d'odio nel conflitto politico, lo fanno proprio perché sanno che al mondo ci sono pure i folli. Dunque la spiegazione del pazzo isolato (vedi prima pagina dell'Unità di ieri) non esorcizza il problema che abbiamo davanti.
La seconda domanda: perché questo odio politico colpisce Berlusconi come forse mai nessuno prima nella storia della Repubblica? Secondo me Berlusconi è oggetto di odio, e non solo di normale avversione politica, perché la sua persona è stata messa davanti alla sua politica. C'è cioè una parte dei suoi oppositori che pensa che la ragione per cui lui vince sia lui medesimo, e non la sua politica. E dunque, se non ci fosse lui, non ci sarebbe neanche la sua politica, e i suoi oppositori andrebbero al governo. È la pericolosa «scorciatoia» cui faceva riferimento Napolitano ieri. Un po' quello che si pensava di Craxi durante Tangentopoli: fatto fuori lui... E invece, fatto fuori lui, arrivò Berlusconi.
La terza domanda: dove avviene il corto circuito tra legittima critica politica e istigazione all'odio? Avviene quando si porta alle estreme conseguenze questa personalizzazione. Se cioè, per liberarmi del governo Berlusconi, io sostengo, ammicco, lascio capire, da un pulpito politico o mediatico, che quel tizio lì è andato al potere con l'aiuto della mafia, con i soldi della mafia, e con il tritolo della mafia, francamente non si vede perché chi ci crede non debba prenderlo a pugni se se lo trova davanti. Insomma: se Berlusconi è il demonio che si è impadronito dell'Italia, tutto è consentito. Perfino la dottrina liberale prevede il tirannicidio. Forse non abbiamo valutato appieno, in queste settimane, che cosa vuol dire sentire in un'aula di tribunale un mafioso che dice di essere stato complice del presidente del Consiglio. Forse non l'hanno valutato appieno nemmeno i magistrati che in quell'aula ce l'hanno portato. È inutile dunque che la Trimurti che ha messo in piedi questo assioma, Di-Pietro-Santoro-Travaglio, faccia ora complicati distinguo tra la critica legittima e l'istigazione all'odio. È il contenuto della loro critica che non è politico, ma antropologico e infamante. Dunque è un'istigazione all'odio. Ieri Travaglio ha infatti scritto sul sito di Grillo una vera e propria apologia dell'odio: «Non vedo per quale motivo qualcuno non potrebbe odiarlo».
La quarta domanda: Berlusconi è corresponsabile di questa personalizzazione, e di conseguenza di questo clima di odio? Il premier è responsabile di molti mali della politica italiana, su questo non ci piove. Ma l'idea che possa essere lui la causa dell'aggressione di cui è stato vittima ricorda molto le tesi giustificazioniste di chi sosteneva che la causa del terrorismo era l'ingiustizia della società. La madre di questi cretini è sempre incinta, e ieri ci ha pensato Di Pietro a ricordarcelo. Non c'è mai l'attenuante della provocazione per chi ricorre alla violenza. E su questo deve stare molto attenta anche l'opposizione seria, quella del Pd per esempio. «Il senza se e senza ma» di Bersani deve stroncare ogni ambiguità. E la sua visita a Berlusconi in ospedale è un gesto di forte significato, che da solo ripara alla scivolata della Bindi.
Quello che considero l'errore vero di Berlusconi, da questo punto di vista, è piuttosto di avere troppe volte rotto la solidarietà delle istituzioni, litigando per esempio con il Capo dello Stato che pure non ha mai avuto nessuna voglia di litigare con lui. Perché questo indebolisce quella fiducia comune dei cittadini nei fondamenti della Repubblica che è anche il miglior antidoto per isolare i seminatori di odio ed estipare la violenza dal conflitto politico. Odio e violenza sono infatti troppo radicati nella politica italiana per poter sottovalutare il tema cruciale della difesa della democrazia e delle sue istituzioni rappresentative.
La quinta domanda: la crisi di Milano rafforza politicamente Berlusconi e indebolisce l'opposizione? Penso di sì. Insomma, domenica mattina l'opposizione sembrava più ampia e più forte che mai prima nella storia di questa legislatura. Un moderato come Casini proponeva fronti nazionali per fermare il Cavaliere, in cui accettava e sdoganava perfino Di Pietro, Bersani trovava finalmente una prospettiva di alternativa su cui lavorare, e Fini contemplava da lontano ma con interesse un futuro senza Berlusconi. L'atto di Tartaglia ha distrutto in pochi secondi mesi di lavorìo politico. Intanto ha reso Di Pietro inservibile per ogni politica di unità nazionale presente o futura. Ha messo in imbarazzo Casini e Bersani. E ha fatto accorrere Fini al capezzale del suo arci-nemico.
Ci sarebbe da riflettere per chi sostiene che l'opposizione deve fare a cazzotti per vincere. Ma i seminatori d'odio non hanno alcun reale interesse a un'alternativa di governo. In realtà, loro prosperano con Berlusconi al governo. E di questo passo è molto probabile che prospereranno a lungo.
Antonio Polito
A me pare che la risposta l'abbia data lo stesso Massimo Tartaglia al procuratore Spataro: «L'ho colpito perché odio la sua politica». E cioè: il gesto è certamente folle, ed è stato compiuto probabilmente da un folle, che ieri ha mandato anche la regolare lettera di scuse. Ma la motivazione è politica. Non siamo in Taxi driver. Tartaglia conosce la politica di Berlusconi attraverso la rappresentazione che ne danno gli oppositori e i media, come tanti altri italiani. Non tutti quelli che la odiano lancerebbero in faccia al premier un corpo contundente, ma solo uno che la odia può farlo. Dal che discende una lezione: quando Napolitano e le poche persone sagge di questo paese invitano a non creare un clima d'odio nel conflitto politico, lo fanno proprio perché sanno che al mondo ci sono pure i folli. Dunque la spiegazione del pazzo isolato (vedi prima pagina dell'Unità di ieri) non esorcizza il problema che abbiamo davanti.
La seconda domanda: perché questo odio politico colpisce Berlusconi come forse mai nessuno prima nella storia della Repubblica? Secondo me Berlusconi è oggetto di odio, e non solo di normale avversione politica, perché la sua persona è stata messa davanti alla sua politica. C'è cioè una parte dei suoi oppositori che pensa che la ragione per cui lui vince sia lui medesimo, e non la sua politica. E dunque, se non ci fosse lui, non ci sarebbe neanche la sua politica, e i suoi oppositori andrebbero al governo. È la pericolosa «scorciatoia» cui faceva riferimento Napolitano ieri. Un po' quello che si pensava di Craxi durante Tangentopoli: fatto fuori lui... E invece, fatto fuori lui, arrivò Berlusconi.
La terza domanda: dove avviene il corto circuito tra legittima critica politica e istigazione all'odio? Avviene quando si porta alle estreme conseguenze questa personalizzazione. Se cioè, per liberarmi del governo Berlusconi, io sostengo, ammicco, lascio capire, da un pulpito politico o mediatico, che quel tizio lì è andato al potere con l'aiuto della mafia, con i soldi della mafia, e con il tritolo della mafia, francamente non si vede perché chi ci crede non debba prenderlo a pugni se se lo trova davanti. Insomma: se Berlusconi è il demonio che si è impadronito dell'Italia, tutto è consentito. Perfino la dottrina liberale prevede il tirannicidio. Forse non abbiamo valutato appieno, in queste settimane, che cosa vuol dire sentire in un'aula di tribunale un mafioso che dice di essere stato complice del presidente del Consiglio. Forse non l'hanno valutato appieno nemmeno i magistrati che in quell'aula ce l'hanno portato. È inutile dunque che la Trimurti che ha messo in piedi questo assioma, Di-Pietro-Santoro-Travaglio, faccia ora complicati distinguo tra la critica legittima e l'istigazione all'odio. È il contenuto della loro critica che non è politico, ma antropologico e infamante. Dunque è un'istigazione all'odio. Ieri Travaglio ha infatti scritto sul sito di Grillo una vera e propria apologia dell'odio: «Non vedo per quale motivo qualcuno non potrebbe odiarlo».
La quarta domanda: Berlusconi è corresponsabile di questa personalizzazione, e di conseguenza di questo clima di odio? Il premier è responsabile di molti mali della politica italiana, su questo non ci piove. Ma l'idea che possa essere lui la causa dell'aggressione di cui è stato vittima ricorda molto le tesi giustificazioniste di chi sosteneva che la causa del terrorismo era l'ingiustizia della società. La madre di questi cretini è sempre incinta, e ieri ci ha pensato Di Pietro a ricordarcelo. Non c'è mai l'attenuante della provocazione per chi ricorre alla violenza. E su questo deve stare molto attenta anche l'opposizione seria, quella del Pd per esempio. «Il senza se e senza ma» di Bersani deve stroncare ogni ambiguità. E la sua visita a Berlusconi in ospedale è un gesto di forte significato, che da solo ripara alla scivolata della Bindi.
Quello che considero l'errore vero di Berlusconi, da questo punto di vista, è piuttosto di avere troppe volte rotto la solidarietà delle istituzioni, litigando per esempio con il Capo dello Stato che pure non ha mai avuto nessuna voglia di litigare con lui. Perché questo indebolisce quella fiducia comune dei cittadini nei fondamenti della Repubblica che è anche il miglior antidoto per isolare i seminatori di odio ed estipare la violenza dal conflitto politico. Odio e violenza sono infatti troppo radicati nella politica italiana per poter sottovalutare il tema cruciale della difesa della democrazia e delle sue istituzioni rappresentative.
La quinta domanda: la crisi di Milano rafforza politicamente Berlusconi e indebolisce l'opposizione? Penso di sì. Insomma, domenica mattina l'opposizione sembrava più ampia e più forte che mai prima nella storia di questa legislatura. Un moderato come Casini proponeva fronti nazionali per fermare il Cavaliere, in cui accettava e sdoganava perfino Di Pietro, Bersani trovava finalmente una prospettiva di alternativa su cui lavorare, e Fini contemplava da lontano ma con interesse un futuro senza Berlusconi. L'atto di Tartaglia ha distrutto in pochi secondi mesi di lavorìo politico. Intanto ha reso Di Pietro inservibile per ogni politica di unità nazionale presente o futura. Ha messo in imbarazzo Casini e Bersani. E ha fatto accorrere Fini al capezzale del suo arci-nemico.
Ci sarebbe da riflettere per chi sostiene che l'opposizione deve fare a cazzotti per vincere. Ma i seminatori d'odio non hanno alcun reale interesse a un'alternativa di governo. In realtà, loro prosperano con Berlusconi al governo. E di questo passo è molto probabile che prospereranno a lungo.
Antonio Polito
lunedì 14 dicembre 2009
Tra la Alfano e la D’Addario: quando le mignotte fanno una figura migliore
A sinistra un non famosissimo deputato della Repubblica, che oggi ha dichiarato: “non ci penso proprio a dare la mia solidarietà a Berlusconi… da subito non ho dato solidarietà al premier per l'attacco subito e non gliela darò mai...”
A destra una celebre mignotta, che oggi ha dichiarato: “...esprimo solidarietà al premier Silvio Berlusconi...”
Tra le due, una sola oggi ha mostrato un senso della politica degno di Nilde Iotti, e non è l’eurodeputata dell’Italia dei Valori.
Violenza in piazza del Duomo: le parole di un berlusconiano D.O.C.
Hanno colpito Berlusconi. L'immagine del volto del Premier trasformato in una maschera di sangue raggiunge tutti noi con la sua carica di violenza. Con la follia che trasforma un uomo in simbolo da abbattere ad ogni costo e con ogni mezzo, e la persona che diventa un bersaglio fisico. Il film drammatico di piazza Duomo farà il giro del mondo, testimoniando il degrado dello scontro politico in Italia. Ma per una volta, non è questo che conta. Conta l'effetto su ognuno di noi, sul Paese, sul sistema politico.
Amici e avversari, sostenitori e oppositori oggi devono essere solidali con il premier - come siamo noi - e senza alcun distinguo, nel momento in cui è un uomo colpito dalla violenza. E devono fare muro contro l'insania di questo gesto, prima di tutto perché è gravissimo in sé e poi perché può incubare una stagione tragica che abbiamo già sperimentato, negli anni peggiori della nostra vita.
Solo così la politica (che la violenza vuole ammutolire) può salvarsi, ritrovando il suo spazio e la sua autonomia, nella quale è compreso il confronto durissimo tra maggioranza e opposizione e anche lo scontro di opinioni, programmi e strategie. Ma distinguendo, sempre, tra le critiche e l'odio, tra il contrasto d'idee e la violenza, tra le funzioni e le persone.
Anche se il gesto di piazza Duomo è fortunatamente isolato e frutto di follia, in gioco c'è niente meno che la libertà. La libertà di Berlusconi di dispiegare le sue politiche e le sue idee coincide con la nostra stessa libertà di criticarlo. Questo spazio di libertà si chiama democrazia: difendiamola.
Ezio Mauro, direttore di "la Repubblica"
Amici e avversari, sostenitori e oppositori oggi devono essere solidali con il premier - come siamo noi - e senza alcun distinguo, nel momento in cui è un uomo colpito dalla violenza. E devono fare muro contro l'insania di questo gesto, prima di tutto perché è gravissimo in sé e poi perché può incubare una stagione tragica che abbiamo già sperimentato, negli anni peggiori della nostra vita.
Solo così la politica (che la violenza vuole ammutolire) può salvarsi, ritrovando il suo spazio e la sua autonomia, nella quale è compreso il confronto durissimo tra maggioranza e opposizione e anche lo scontro di opinioni, programmi e strategie. Ma distinguendo, sempre, tra le critiche e l'odio, tra il contrasto d'idee e la violenza, tra le funzioni e le persone.
Anche se il gesto di piazza Duomo è fortunatamente isolato e frutto di follia, in gioco c'è niente meno che la libertà. La libertà di Berlusconi di dispiegare le sue politiche e le sue idee coincide con la nostra stessa libertà di criticarlo. Questo spazio di libertà si chiama democrazia: difendiamola.
Ezio Mauro, direttore di "la Repubblica"
Analisi superficiale? meglio: nessuna nuova analisi, solo un reprint.
Mi si accusa di superficialità. Può essere.
Però sono anni che ripeto le stesse cose, sulle radiose giornate di mani pulite presupposto indefettibile della scomparsa dei partiti democratici della prima Repubblica e della necessità di un nuovo blocco moderato cui ha dato risposta Silvio Berlusconi, sulla legittimazione politica di questo, sulla sistematica e pericolosa illusione di liberarsene come fatto con i partiti della prima Repubblica, ossia al di fuori del confronto elettorale.
Evidentemente non sono letto con attenzione, oppure la mia illusione di scrivere in un buon italiano è, appunto, un’illusione.
Conosco benissimo “su che humus si è sviluppato il berlusconismo”: la risposta dei moderati a un colpo di Stato.
Dal mattino alla sera milioni di italiani si sono trovati di fronte alla prospettiva di essere governati da gente che, per buona ragione, ha sempre rappresentato una minoranza di questo Paese, e hanno scelto di conseguenza.
Dopo di che Silvio Berlusconi è diventato il “cavaliere nero” il 24 novembre 1993, e, da lì in poi, la cosa più gentile che s’è detta di lui è stata che fosse un mafioso.
Berlusconi non aveva fatto in tempo a scendere in politica, che già si diffondeva la notizia secondo cui i PM sequestravano le liste degli aderenti a Forza Italia, con l’evidente scopo di terrorizzare cittadini inermi, che si affacciavano sicuramente ingenui ma legittimamente alla politica.
Diversi anni fa, Tiziana Maiolo usava questa metafora: “Silvio Berlusconi mi ricorda quella ragazza che viene violentata dal fidanzato. Il quale poi le spiega che non la sposa perché non è più vergine. Prima lo hanno aggredito come mai (neppure ad Andreotti, che comunque ha potuto governare qualche decennio) è capitato a un leader nel nostro paese. Poi, mentre ancora i pugni atterrano sul suo naso, gli dicono che non è più integro e che deve farsi da parte, che non deve alzare la voce.”
Altro che “Berlusconi, che ha approfittato della situazione, alimentando lo scontro frontale tra gli schieramenti”.
Il caso ha voluto che Berlusconi avesse i mezzi per difendersi, e che sia stato scelto proprio per questo, diversamente assieme a lui a soccombere si sarebbero trovati i suoi elettori.
Nella furia di negare legittimità all’avversario, gli è contestato persino il diritto di scegliere il nome del proprio partito scrivendo che “ha volutamente usato il gergo calcistico per parlare del suo ingresso in politica”. E qui secondo il mio modesto avviso, e la mia esperienza sta la cartina al tornasole del criterio usato.
“Forza Italia” era un partito moderato d’ispirazione borghese il cui messaggio era appunto la chiamata all’azione ai cittadini che volevano difendere “un certo tipo” di idea di Paese, occidentale, “in qualche modo liberale” (ho già scritto molte volte su ciò che penso del significato del termine per SB), non ideologicamente orientato, idoneo a riunire sotto lo stesso tricolore milioni di elettori provenienti dalle esperienze più diverse.
Se avessi dovuto immaginarmi io il nome d’un nuovo partito, avrei fatto, come molti altri in quel periodo, la solita operazione di recupero di “luoghi comuni” della nomenclatura delle organizzazioni politiche: “partito dell’unione dell’alleanza riformatrice democratica liberalsocialista eccetera italiano”. Non è un caso che io sia io, e SB sia SB: lui ha dato a un progetto nuovo un nome nuovo, “Forza Italia”, in questo dimostrando ancora una volta la sua capacità di essere un comunicatore a tutto tondo. Il nome e la strategia di comunicazione erano coerenti con le premesse, e, per me, più che legittime, che poi a qualcuno dia fastidio il fatto che il prossimo sia capace di idee più brillanti delle proprie, lascia il tempo che trova.
Nella furia di negarne l’umanità, oggi assistiamo allo spettacolo di chi non esita a dire che in fondo l’aggressione se l’è cercata, come una ragazza che è giusto stuprare perché indossa la minigonna un po’ mignotta, come se non dovessimo invece tutti affermare che l’arena della politica e delle idee non dovrebbe consentire il ricorso alla violenza, come se il passaggio dalla polemica allo scontro fisico non ci avesse già regalato un passato abbastanza pesante.
Dopo sedici anni dispero, ma continuo con questo appello al buon senso, alla resa di fronte all’evidenza: così come c’era un solo modo virtuoso per liberarsi di Craxi e di Forlani, c’è un solo modo virtuoso per liberarsi di Silvio Berlusconi, attendere che gli italiani cambino idea come già hanno fatto alcune volte in questi sedici anni, e che lo facciano nel confronto trasparente tra opzioni politiche credibilmente alternative (e l’accozzaglia dall’UDC a Rifondazione non lo sarebbe).
Ogni scorciatoia, giudiziaria, elitaria o di piazza, ripeterà il dramma del ‘92, generando una nuova interminabile transizione.
Però sono anni che ripeto le stesse cose, sulle radiose giornate di mani pulite presupposto indefettibile della scomparsa dei partiti democratici della prima Repubblica e della necessità di un nuovo blocco moderato cui ha dato risposta Silvio Berlusconi, sulla legittimazione politica di questo, sulla sistematica e pericolosa illusione di liberarsene come fatto con i partiti della prima Repubblica, ossia al di fuori del confronto elettorale.
Evidentemente non sono letto con attenzione, oppure la mia illusione di scrivere in un buon italiano è, appunto, un’illusione.
Conosco benissimo “su che humus si è sviluppato il berlusconismo”: la risposta dei moderati a un colpo di Stato.
Dal mattino alla sera milioni di italiani si sono trovati di fronte alla prospettiva di essere governati da gente che, per buona ragione, ha sempre rappresentato una minoranza di questo Paese, e hanno scelto di conseguenza.
Dopo di che Silvio Berlusconi è diventato il “cavaliere nero” il 24 novembre 1993, e, da lì in poi, la cosa più gentile che s’è detta di lui è stata che fosse un mafioso.
Berlusconi non aveva fatto in tempo a scendere in politica, che già si diffondeva la notizia secondo cui i PM sequestravano le liste degli aderenti a Forza Italia, con l’evidente scopo di terrorizzare cittadini inermi, che si affacciavano sicuramente ingenui ma legittimamente alla politica.
Diversi anni fa, Tiziana Maiolo usava questa metafora: “Silvio Berlusconi mi ricorda quella ragazza che viene violentata dal fidanzato. Il quale poi le spiega che non la sposa perché non è più vergine. Prima lo hanno aggredito come mai (neppure ad Andreotti, che comunque ha potuto governare qualche decennio) è capitato a un leader nel nostro paese. Poi, mentre ancora i pugni atterrano sul suo naso, gli dicono che non è più integro e che deve farsi da parte, che non deve alzare la voce.”
Altro che “Berlusconi, che ha approfittato della situazione, alimentando lo scontro frontale tra gli schieramenti”.
Il caso ha voluto che Berlusconi avesse i mezzi per difendersi, e che sia stato scelto proprio per questo, diversamente assieme a lui a soccombere si sarebbero trovati i suoi elettori.
Nella furia di negare legittimità all’avversario, gli è contestato persino il diritto di scegliere il nome del proprio partito scrivendo che “ha volutamente usato il gergo calcistico per parlare del suo ingresso in politica”. E qui secondo il mio modesto avviso, e la mia esperienza sta la cartina al tornasole del criterio usato.
“Forza Italia” era un partito moderato d’ispirazione borghese il cui messaggio era appunto la chiamata all’azione ai cittadini che volevano difendere “un certo tipo” di idea di Paese, occidentale, “in qualche modo liberale” (ho già scritto molte volte su ciò che penso del significato del termine per SB), non ideologicamente orientato, idoneo a riunire sotto lo stesso tricolore milioni di elettori provenienti dalle esperienze più diverse.
Se avessi dovuto immaginarmi io il nome d’un nuovo partito, avrei fatto, come molti altri in quel periodo, la solita operazione di recupero di “luoghi comuni” della nomenclatura delle organizzazioni politiche: “partito dell’unione dell’alleanza riformatrice democratica liberalsocialista eccetera italiano”. Non è un caso che io sia io, e SB sia SB: lui ha dato a un progetto nuovo un nome nuovo, “Forza Italia”, in questo dimostrando ancora una volta la sua capacità di essere un comunicatore a tutto tondo. Il nome e la strategia di comunicazione erano coerenti con le premesse, e, per me, più che legittime, che poi a qualcuno dia fastidio il fatto che il prossimo sia capace di idee più brillanti delle proprie, lascia il tempo che trova.
Nella furia di negarne l’umanità, oggi assistiamo allo spettacolo di chi non esita a dire che in fondo l’aggressione se l’è cercata, come una ragazza che è giusto stuprare perché indossa la minigonna un po’ mignotta, come se non dovessimo invece tutti affermare che l’arena della politica e delle idee non dovrebbe consentire il ricorso alla violenza, come se il passaggio dalla polemica allo scontro fisico non ci avesse già regalato un passato abbastanza pesante.
Dopo sedici anni dispero, ma continuo con questo appello al buon senso, alla resa di fronte all’evidenza: così come c’era un solo modo virtuoso per liberarsi di Craxi e di Forlani, c’è un solo modo virtuoso per liberarsi di Silvio Berlusconi, attendere che gli italiani cambino idea come già hanno fatto alcune volte in questi sedici anni, e che lo facciano nel confronto trasparente tra opzioni politiche credibilmente alternative (e l’accozzaglia dall’UDC a Rifondazione non lo sarebbe).
Ogni scorciatoia, giudiziaria, elitaria o di piazza, ripeterà il dramma del ‘92, generando una nuova interminabile transizione.
domenica 13 dicembre 2009
Tanto tuonò che piovve
Adesso giocheranno tutti a ridimensionare, scopriremo che si tratta d’un tifoso deluso dalla vendita di Kakà o d’uno squilibrato, ma i fatti sono lì.
Ancora una volta la reductio ad bestiam (quella che Ferrara chiamava un tempo character assassination) operata su Silvio Berlusconi ha funzionato.
Nel migliore stile nazista hanno trasformato l’avversario nel “male”, l’hanno fatto dal giorno dopo quello in cui espresse la legittima opinione sulla candidatura di Gianfranco Fini a sindaco di Roma, continuano a farlo ogni giorno da sedici anni.
Ancora una volta è andata bene: un cavalletto o un souvenir non sono una pallottola.
Ancora una volta non servirà a nulla, anzi gli sproloqui cresceranno solo, e gli evocatori del tirannicidio continueranno a dare fiato alla loro follia.
Ancora una volta la reductio ad bestiam (quella che Ferrara chiamava un tempo character assassination) operata su Silvio Berlusconi ha funzionato.
Nel migliore stile nazista hanno trasformato l’avversario nel “male”, l’hanno fatto dal giorno dopo quello in cui espresse la legittima opinione sulla candidatura di Gianfranco Fini a sindaco di Roma, continuano a farlo ogni giorno da sedici anni.
Ancora una volta è andata bene: un cavalletto o un souvenir non sono una pallottola.
Ancora una volta non servirà a nulla, anzi gli sproloqui cresceranno solo, e gli evocatori del tirannicidio continueranno a dare fiato alla loro follia.
martedì 1 dicembre 2009
HIV: una petizione per suor Letizia
Ogni 1 dicembre si celebra, come sappiamo, la “World AIDS day”, giornata mondiale della lotta all’AIDS, occasione nella quale, un po’ come a Natale, tutti ci si sente più buoni e ci si lancia in declamazioni di sensibilità verso chi l’HIV se l’è già beccato, auspicando la scoperta di una cura… e dimenticando sistematicamente chi l’HIV potrebbe evitare di prenderselo.
A Milano, per esempio, una lodevole iniziativa è da tempo abbandonata nell’incuria municipale: il sistema delle macchine scambia siringhe, che permette di eliminare dalla circolazione siringhe potenzialmente infette (ah, poveri bimbi nei parchi!) e di evitare la trasmissione dell’HIV tra i cittadini tossicodipendenti.
Le posizioni proibizioniste e beghine della signora Moratti le conosciamo tutti, nondimeno non mi voglio arrendere all’idea che quella che una volta era la “metropoli europea” ne resti ostaggio, favorendo così la diffusione dell’HIV.
Per questo ho firmato e invito a firmare la petizione per la “riduzione del danno” da tossicodipendenza che i radicali propongono ai residenti milanesi.
Se avete un minuto, fate qualcosa di più di indossare un fiocchetto rosso una volta l’anno e andate su http://www.firmiamo.it/sign/petition/scambiasiringhe per sottoscrivere la petizione.
Anche se dei tossici non ve ne fregasse un accidente, pensate al costo economico e sociale che ogni contagio evitato permette di risparmiare: siate “egoisti”, e firmate.
A Milano, per esempio, una lodevole iniziativa è da tempo abbandonata nell’incuria municipale: il sistema delle macchine scambia siringhe, che permette di eliminare dalla circolazione siringhe potenzialmente infette (ah, poveri bimbi nei parchi!) e di evitare la trasmissione dell’HIV tra i cittadini tossicodipendenti.
Le posizioni proibizioniste e beghine della signora Moratti le conosciamo tutti, nondimeno non mi voglio arrendere all’idea che quella che una volta era la “metropoli europea” ne resti ostaggio, favorendo così la diffusione dell’HIV.
Per questo ho firmato e invito a firmare la petizione per la “riduzione del danno” da tossicodipendenza che i radicali propongono ai residenti milanesi.
Se avete un minuto, fate qualcosa di più di indossare un fiocchetto rosso una volta l’anno e andate su http://www.firmiamo.it/sign/petition/scambiasiringhe per sottoscrivere la petizione.
Anche se dei tossici non ve ne fregasse un accidente, pensate al costo economico e sociale che ogni contagio evitato permette di risparmiare: siate “egoisti”, e firmate.