Come la Chiesa cattolica, anche il Partito democratico dovrà cercarsi un papa straniero. Il monito di Ezio Mauro, scolpito su Repubblica, destò scalpore ai piani alti del Partito democratico. Alcuni si irritarono per l’ingerenza di un giornale nella vita del partito. Pier Luigi Bersani, con il suo aplomb piacentino, mormorò: «Non sapevo di essere un papa italico. D’ora in poi, andrò ai comizi in sedia gestatoria».
Ma i più si eccitarono: «Se lo dice Mauro, dobbiamo credergli. Cerchiamolo subito un leader che non venga dalla nomenclatura del partito, né dal vecchio Pci e nemmeno dai surrogati messi in pista dopo il 1989».
Detto fatto, anche sull’onda della sconfitta nelle elezioni regionali, venne formata una commissione riservata, anzi segreta, con l’incarico di prendere in esame le figure papabili. I lavori non dovevano trapelare all’esterno. Ma sappiamo come vanno queste faccende. C’è sempre chi parla. Tanto che il Bestiario è in grado di rivelare i nomi in discussione e il giudizio che ne venne dato.
Si cominciò dallo scrittore Roberto Saviano, molto gradito a Repubblica. Ma venne subito scartato con un verdetto senza appello: «Buono per la scrittura, non per il partito. In più, a causa di sacrosanti motivi di sicurezza, non sapremmo mai dove rintracciarlo». Da Saviano si passò a Michele Santoro: «Lui ci farà diventare comparse di Annozero, per di più senza gettone». Giovanni Floris? «No, stravede soltanto per la Polverini e prima o poi diventerà il suo spin doctor». Marco Travaglio? « Macché, lui vorrà come vice tre pubblici ministeri che scopriranno tutti i nostri altarini».
Il grande politologo Giovanni Sartori? «Troppo pervaso di previsioni cupe. Spedirà sotto terra il morale del partito». Eugenio Scalfari? «Troppo pieno di sé. Ci obbligherà a mandare a memoria tutte le sue prediche domenicali». Furio Colombo? «Troppo collerico. Passerà le giornate a leggere la vita all’intero vertice del Pd. Le sue urla le sentiranno fino alla villa di Arcore e il Caimano ne gioirà». Paolo Flores d’Arcais? «Ma siamo pazzi? È un giacobino sanguinario e metterà su una ghigliottina per segarci». Roberto Benigni? «Bravo comico, ma pessimo politico. Vorrà prenderci tutti in braccio come fece con quel santo di Enrico Berlinguer. Però ci siamo imborghesiti e molto ingrassati. Ci lascerà precipitare a terra uno dopo l’altro: una catastrofe mai vista».
E Fabio Fazio? «Un viso pallido, da gatta morta. E poi la sua spalla, la Littizzetto, non lo farà muovere dalla tivù, sennò il loro giocattolo si rompe». Allora proviamo con uno dei suoi autori, Michele Serra, è un vecchio compagno, che ne dite? «Da quando vive in campagna è diventato uno snob. A noi non ci vede neppure con il binocolo». Il principe Emanuele Filiberto? «È una star nazionalpopolare, ma sta con l’Udc. E poi dovremmo prenderci pure il suo tutore, il magico Pupo».
La commissione segreta era stremata. Dopo esser passata da un candidato fasullo all’altro, non sapeva più che pesci pigliare. Poi uno dei membri ebbe un colpo di genio: «Abbiamo preso in esame soltanto maschi. Perché non pensiamo a una donna? Il Pci, la Dc e tutti i loro discendenti non si sono mai affidati a una femmina. Forse è il momento di rompere una pessima tradizione».
L’esame ricominciò, questa volta dedicato alle signore. Concita De Gregorio, la direttora dell’Unità? «Graziosa, ma prevedibile. Scrive sempre lo stesso editoriale, dei brodetti noiosi». Lucia Annunziata? «Troppo professorale. In più è una sudista, sia detto senza offesa. Per contrastare la Lega abbiamo bisogno di un leader nordista».
Allora proviamo con Lilli Gruber, viene dall’Alto Adige, potrebbe andar bene? «No. È una donna meravigliosa, ma troppo innamorata di se stessa. Il suo 8 e mezzo sembra il boudoir della Signora Marchesa. Tutti guardano soltanto lei e non gli ospiti». La Debora Serracchiani? «È già sparita dalla scena, nessuno se la fila». Bianca Berlinguer? «Grande donna e grande cognome. Ma appartiene alla storia del vecchio Partitone Rosso». Ilaria D’Amico? «È vero che dal calcio è passata alla tivù politica, però è ancora una principiante, sia pure del genere Bellone Prorompenti».
Flavia Perina? «Bravissima, ma sta con Fini ed è una deputata di Berlusconi. Sveglia, compagni, non diciamo bestialità!». Barbara Spinelli? «È una saccente al cubo, si vede che è cresciuta alla scuola di Barbapapà Scalfari». E la Rosy Bindi? Non sarebbe un papa straniero, ma una formidabile papessa, non è così? «Non è così per niente. Si è rovinata a forza di apparire in tivù: sempre vestita di un nero luttuoso, capelli in disordine, petulanza insopportabile, una madre superiora con il frustino!».
La commissione riservata aveva perso tutte le speranze di trovare il Papa giusto. Poi la sera di venerdì 2 aprile, il problema si risolse da solo. La marchesa Gruber aveva invitato nel salottino il professor Massimo Cacciari, sino a qualche giorno prima sindaco di Venezia. Non poteva certo dirsi uno straniero. E non era più un ragazzo, essendo nato nel 1944. Ma si rivelò fortissimo. Spiegò che il Pd doveva pensare a se stesso e non parlare mai più di Berlusconi. Lo fece con una grinta tale da tramortire la Gruber e una bella politologa dalla chioma rossa. Entrambe estasiate.
I commissari segreti esultarono: «Ecco l’uomo giusto al posto giusto». Uno di loro obiettò: «E se Cacciari ci manda a quel paese?». «Pazienza. Non ci resterà che arruolare Pier Ferdinando Casini. Basterà fargli crescere una barba alla veneta. E il gioco sarà fatto!».
Giampaolo Pansa per il Riformista
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