mercoledì 14 aprile 2010

Ogni resistenza è inutile: dopo quello vero arriva pure il Bruno Vespa virtuale



Lo annuncia l'ANSA: la RAI è in trattative con una società canadese per ottenere un software di animazione ultrarealistico... e i pilot sono stati fatti proprio con Vespa e il Cavaliere... 


articolo su ANSA

martedì 13 aprile 2010

L’infame faccia tosta di Bertone e dei suoi accoliti

Dopo avere occultato per decenni (secoli?) la vergogna delle violenze a carico di minori perpetrate da religiose e religiosi di ogni ordine e grado, circondata dallo scandalo, la chiesa cattolica rilancia con una mossa degna di Goebbels: prende le proprie responsabilità, il frutto del combinato disposto tra la perversione di un’ideologia che nega la natura e crocifigge uomini e donne alle proprie fobie sessuali e un’omertà di chiaro stampo mafioso, e le getta addosso a una minoranza.
Nel più classico stile delle dittature, la chiesa cerca di costruire un nemico cui addossare le proprie colpe, e si illude di prendere i classici due piccioni con una fava, usando gli omosessuali come capri espiatori, additandoli all’odio, così come i nazisti fecero con ebrei, rom e, appunto, omosessuali.

Facendo così, la chiesa spera di ribaltare il tavolo e trovare addirittura un’arma per fermare l’avanzata dei diritti civili della minoranza omosessuale.
Con una faccia tosta da ceffoni, il cardinale Bertone la spara alta, blaterando che “Molti studiosi hanno dimostrato un legame tra omosessualità e pedofilia”, evitando di spiegarci non solo chi siano questi molti studiosi, ma soprattutto dove starebbe l’omosessualità di quegli infedeli ministri di Dio impegnati a stuprare minori di sesso diverso dal proprio… un’omosessualità evidentemente molto ben repressa.

È sempre più difficile essere liberali con la chiesa cattolica, ricordarsi che le responsabilità penali sono personali e che la responsabilità oggettiva è un’infamia, di fronte all’uso criminale che della tonaca fanno non solo gli stupratori, ma anche chi i loro superiori.

domenica 11 aprile 2010

Che schifo: tocca pure essere d'accordo con Gasparri e Capezzone

A sinistra hanno un’idea originale della satira: quando non s’accompagna con la coprofagia è l’occasione per l’esercizio della violenza più volgare, in particolare dedita al dileggio dei morti (ricordiamo Vauro) o all’augurio di morte.
Il “quotidiano fondato da Antonio Gramsci” (di cui non conosciamo il sense of humour, ma doveva averne, sennò sai che dolori a furia di rivoltarsi nella tomba) pubblica una vignetta di Staino che riesce nell’opera di unire dileggio ed augurio, grazie alla tenera figliola di Bobo che nello stesso tempo gioisce d’una strage (novantasei morti nello schianto dell’aereo che portava il presidente polacco Kaczynski) e si rattrista del fatto che l’A319 della Repubblica Italiana non faccia la stessa fine.

La classe non è acqua, ovvio.
Ma, reso omaggio all'eleganza del kompagno (sì, con la k come Kossiga) Staino, la cosa più seccante è dovermi trovare d’accordo con Gasparri («La vignetta, se così si può definire... rappresenta una vergognosa offesa alle vittime della tragedia aerea che ha decimato il vertice della Polonia. Pur di augurare la morte a Berlusconi e al governo italiano, il giornale della De Gregorio ha toccato punte di aberrazione indefinibili. Il cinismo e l'odio spinti alle estreme conseguenze... Le tragedie vanno rispettate. Non usate per le campagne di odio condotte da gente priva ormai del lume della ragione...») e Capezzone («non solo si ride sui novantasei morti polacchi, ma ci si duole perché non è ancora successo altrettanto qui da noi. C'è da rimanere allibiti dinanzi a una simile caduta di gusto. Quando l'odio contro Berlusconi raggiunge questi livelli, non ci sono neppure parole adeguate per commentare. C'è solo da augurarsi che Staino stesso e la direttrice de L'Unità De Gregorio vogliano scusarsi, e che anche tanti uomini e donne di sinistra facciano sentire il loro sconcerto»).
Ma è possibile che i sinistri a certe cose non ci pensino mai?

mercoledì 7 aprile 2010

La riforma dell’avvocatura è da mafiosi, e passerà con il consenso di tutti

In questo Paese (Ricucci dixit) sono tutti bravi a fare i froci col culo degli altri: tutti cianciano di merito, competizione e mercato, poi stanno pronti a sparare su ogni rischio di mercato aperto.
Lo hanno fatto anche gli avvocati che, archiviate le lenzuolate di Bersani, hanno fatto lobbying e ora stanno per ottenere una nuova legge: tornano le tariffe minime, si alzano le barriere all’ingresso, addirittura è prevista una soglia minima di reddito sotto la quale ti sbattono fuori dalla professione.
Come hanno ottenuto questo?
In parte col fatto che gli avvocati sono il vero partito di maggioranza relativa del Parlamento, sicché hanno ottenuto il consenso unanime delle forze politiche di destra, centro e sinistra...

In parte credo c’entri un’altra notizia: la cassa previdenza degli avvocati ha 4 miliardi di euro… e qualche centinaio di milioni da usare per partecipare al piano di “social housing” di Tremonti.


Insomma: mi sa che gli avvocati stanno per comprarsi la chiusura del loro mercato, complimenti!


su Libertiamo: La riforma della professione forense è la festa degli ‘insider
articolo di Sandro Iacometti per Libero: Gli avvocati chiamano Tremonti: meno tasse in cambio di case

Sconsigli per gli acquisti: vellutata di melanzane Knorr

Da bravo single dagli orari infami, mi riduco spesso a usare il microonde, e le zuppe preconfezionate le ho provate quasi tutte.
La scorsa settimana c’era una novità Knorr: la “vellutata di melanzane”.

Colpa mia, dovevo leggere il “con pomodori e formaggio” che c’è scritto, un po’ più piccolino ma non illeggibile, sotto il nome.
Per farla breve: sembra di avere un piatto di pizzette Catarì, liquide.

martedì 6 aprile 2010

Il Paese dei detenuti in attesa di confessione

Procedura penale? Da Scaglia a Frisullo, passando per la mamma di Genova accusata di aver ucciso il figlio, la cronaca offre storie clamorose di detenuti senza condanna. Altre si svolgono nell'ombra dell'anonimato. Uno scandalo tutto italiano. E tra tante ipotesi di riforma della giustizia, nessuna sfiora il tema.
C’è un volto della giustizia italiana che fa paura. È quello rivelato dalla pratica costante della carcerazione preventiva che chiude negli istituti penitenziari innocenti e probabili colpevoli prima ancora di un processo e di una sentenza. Sono migliaia in Italia i detenuti in attesa di giudizio, aspettando in celle affollate che la magistratura compia, con tempi lunghissimi, il suo lavoro.
Qualche volta la cronaca si imbatte in casi clamorosi. È accaduto tempo fa al padre dei fratellini di Gravina sbattuto in galera con l’accusa di aver ucciso i suoi figli e di aver nascosto i loro corpi che poi sono stati trovati vicino casa, precipitati senza violenza da un edificio diroccato. È accaduto all’ex presidente della regione Abruzzo chiuso in un regime carcerario odioso e che a tutt’oggi non sa ancora di quali colpe è stato accusato malgrado la sua vicenda abbia provocato un vero e proprio terremoto politico con le sue dimissioni, l’anticipo delle elezioni e la vittoria della parte a lui avversa. Non ci sono solo storie di ieri, ne vogliamo raccontare almeno tre che invece sono più recenti e alcune ancora in corso.
Meno di venti giorni fa lo stesso destino del padre dei fratellini di Gravina è toccato a Katerina Mathas, una giovane donna di Genova accusata di aver ucciso con la complicità del fidanzato suo figlio con terribili sevizie. La Mathas si è fatta sedici giorni di carcerazione preventiva, è stata indicata dai media come una terribile infanticida e poi sia il pm sia il gip l’hanno scarcerata perché non c’erano prove a sorreggere l’accusa. Ma nelle carceri italiane ci sono anche, fra gli altri, due detenuti eccellenti, di quelli che per aver ricoperto posizioni di potere e per l’odiosità delle colpe addebitategli vengono considerati dalla pubblica opinione come colpevoli prima che un tribunale ne accerti la responsabilità.
Uno è Silvio Scaglia l’ex amministratore delegato di Fastweb accusato con altri di una maxi-truffa e inseguito da un mandato di cattura internazionale. A fine febbraio Scaglia torna in Italia e viene rinchiuso a Rebibbia, quindi nei suoi confronti non potrebbe valere il sospetto di aver cercato la fuga visto che era nelle Antille e ha scelto spontaneamente di consegnarsi ai suoi giudici. Scaglia per di più si dimette dal consiglio di amministrazione di Fastweb quindi non è più in grado di svolgere attività che possano manipolare le eventuali prove a suo carico. Eppure da fine febbraio è in carcere come un delinquente comune senza che alcun tribunale abbia finora accertato la sua colpevolezza. Probabilmente viene sospettato di non aver rivelato tutto quello che sa, il che conferma che in Italia la carcerazione preventiva è la risorsa estrema dei magistrati per ottenere quella che non è più da secoli considerata in diritto la “prova regina”, cioè la confessione.
L’altro personaggio pubblico che ha passato Pasqua in galera è Sandro Frisullo, ex leader del Pd pugliese nonchè ex vicepresidente della Giunta Vendola. Frisullo si è allontanato da ogni attività politica e amministrativa all’indomani delle accuse formulate contro di lui. Ha ammesso la sua frequentazione con Tarantini e di aver goduto dei favori sessuali di alcune escort amiche del faccendiere pugliese. Ma Tarantini ha dichiarato di aver dato anche soldi, una tangente in cambio di favori. Frisullo invece nega che ciò sia mai accaduto. L’ex esponente del Pd pugliese è in carcere malgrado sia notoriamente una persona mal messa fisicamente che in carcere non può curare le numerose malattie di cui soffre. Eppure anche per lui non ci sono state pietà e equità. Finchè non confessa sarà detenuto.
Una politica che si rispetti e una magistratura efficiente dovrebbero aprire di comune accordo il dossier sulle carcerazioni preventive. Il carcere è il luogo terribile e giusto per imputati considerati colpevoli e a cui è stata comminata una pena rapportata alla gravità del reato. Il carcere dovrebbe essere escluso, invece, quando si sia ancora nella fase istruttoria e il cittadino va considerato, fino a prova contraria, innocente.
Non a caso lo stesso codice disciplina in modo severo le ipotesi di carcerazione preventiva. Invece nella realtà il carcere viene utilizzato come strumento estremo di pressione sull’indagato per costringerlo a confessare il reato di cui è accusato. Spesso il tempo della carcerazione si rivela non solo ingiusto in sé ma insopportabilmente lungo anche rispetto alla violazione della legalità ipotizzata. Accade che l’onere della prova non spetti più a chi accusa ma a chi è costretto a difendersi. Può accadere, ed è accaduto, che persone non in grado di reggere la condizione carceraria si siano auto-accusate per cercare di tornar libere.
Siamo di fronte a casi di violenza giudiziaria che dovrebbero far riflettere. Innanzitutto il governo. Sono anni che siamo sommersi da leggi e leggine che cercano la salvaguardia per il premier e per i suoi sodali, ma nulla si é fatto sullo scandalo della carcerazione preventiva. La stessa opposizione, così sensibile ai richiami giustizialisti, non si rende conto che limitare i casi di carcerazione preventiva non significa indebolire la magistratura ma applicare norme elementari di diritto. Se vogliamo parlare di riforma della giustizia partiamo da qui e non dalle intercettazioni.

Peppino Caldarola per il Riformista

La Lega Nord in Sardegna: se non è una bufala è, comunque, una stupidaggine

Su Polisblog appare la notizia dello sbarco della Lega Nord in Sardegna.Da sardo, so che i sardi non si considerano né parte del sud né del centro Italia, ma sardi, appunto, un’entità a sé stante, cosa “diversa”, tanto da chiamare il resto del Paese “il continente”.
La Sardegna ha, e lo si sa, una radicata cultura autonomista: sono decenni che in Sardegna ci sono movimenti politici autonomisti, sicché – astrattamente – si tratterebbe di un “mercato di espansione” pronto per la Lega.
Il punto è che, appunto, la Sardegna ha una cultura autonomista originale, e la Lega vi esporterebbe un mero rebranding, un prodotto “forestiero”, che paradossalmente sarebbe vissuto come “centralista”.
Insomma, di tutti i mercati politici, la Sardegna mi pare quello con “barriere all’importazione” più alte: la Lega potrà comodamente espandersi nel resto dell’Italia, ma credo che la Sardegna (così come il Regno delle Due Sicilie) sarà l’ultima a capitolare…

Obama e quei cattivoni di Israele

Cari amici,
la storia è questione di combinazioni, a volte di alchimie personali. Chi avrebbe immaginato negli anni scorsi un presidente personalmente ostile ad Israele, serenamente convinto che il suo compito principale in politica estera fosse  rappacificarsi il mondo islamico, e ben deciso a regolarsi di conseguenza, a usare cioè Israele come moneta di scambio con gli arabi, sia pure fra oscillazioni, incertezze e confusioni - e soprattutto di ipocrisie e falsità? Nessuno forse. Eppure la situazione è questa.
Il 3 giugno 2008, in piena campagna elettorale davanti all´assemblea dell´Aipac, l´associazione ombrello filo-ebraica americana, aveva dichiarato: "any agreement with the Palestinian people must preserve Israel's identity as a Jewish state, with secure, recognized and defensible borders. Jerusalem will remain the capital of Israel, and it must remain undivided." [
ogni accordo con il popolo palestinese deve preservare l´identità di Israele come Stato ebraico, con confini sicuri, riconosciuti e difendibili. Gerusalemme  resterà la capitale di Israele e non deve essere divisa] (trovate qui il testo del discorso: http://www.npr.org/templates/story/story.php?storyId=91150432).
Del resto da quindici anni c´è in America una legge che stabilisce esattamente questo (per un riassunto vedi qui: 
http://www.justice.gov/olc/s770.16.htm).
Quella di Obama era però in realtà pura ipocrisia, menzogna consapevole o adulazione per ottenere qualche voto ebraico, come in effetti accadde. Poi, una volta eletto, Obama ha cambiato idea come sappiamo, o meglio ha tirato fuori le sue vere idee e ha detto e fatto ben altre cose.
Vi prego davvero di perdere cinque minuti su questo link per vedere il comportamento di Obama, al di là delle esaltazioni giornalistiche:  
http://www.youtube.com/watch_popup?v=tCAffMSWSzY#t=28 .

Certo, non è la prima volta che un presidente americano è ostile agli ebrei e a Israele. Lo era Jimmy Carter, a modo suo lo era anche Eisenhower. Ma che sarebbe successo se al posto di Roosvelt a fronteggiare Hitler ci fosse stato un Obama, con la capacità di muovere la stampa e la società americana che ogni amministrazione americana ha? Molti di voi si ricorderanno di un romanzo di Philip Roth , intitolato "Il complotto contro l´America", uscito in italiano da Einaudi qualche anno fa, in cui presidente degli Stati Uniti diventa Charles Lindbergh, fanatico antisemita e ammiratore di Hitler, come in effetti l´aviatore era. Le conseguenze sono quelle che potete immaginare: la fine della democrazia e una persecuzione antiebraica estesa anche sull´America.
Obama non è questo, naturalmente, non è un razzista antisemita dello stile hitleriano; ma chiaramente pensa che l´interesse americano sia di non farsi coinvolgere nelle storie di Israele e degli ebrei e che sia meglio allearsi con gli arabi che sono molto di più, hanno il petrolio e si presentano anche come vittime del colonialismo.
Ma, ripeto la domanda, che sarebbe accaduto se ci fosse stato un Obama a guidare l´America durante la seconda guerra mondiale, con tutta l´approvazione dei media autorevoli e degli opinion leader di cui gode ancora oggi, dopo un anno e passa di fallimenti internazionali? Grazie a un miracolo di internet, ho ricevuto una copia del New York Times proveniente da questo corso storico alternativo (sapete che c´è una seria teoria fisica per cui tutti i mondi possibili coesistono come universi paralleli...), e ve lo faccio leggere qui a fianco. Con molta angoscia, perché mostra com´è sottile il filo che ci porta a essere dove siamo. Ma anche con fiducia. Perché nella storia vi sono delle forze capaci di controbilanciare anche un presidente come Obama
Ugo Volli

Bersani, ancora una volta indietro di vent’anni.

Bersani dice Non credo a soluzioni presidenzialiste. Penso che ci sia anche gente in buona fede che puo' immaginare soluzioni presidenzialiste come quelle che vediamo in Occidente, ma a volte, pensando magari agli Stati Uniti, si rischia di trovarsi nell'Argentina di 20 anni fa”.


Le stesse parole di Giorgio La Malfa, che commentando nel '91 la proposta del PLI per la riforma istituzionale alla francese disse “si sogna la Francia e ci si sveglia in Argentina”.
La fine di La Malfa la conosciamo… speriamo quella del PD sia la stessa.

Se Berlusconi e il centrodestra fossero intelligenti, darebbero SUBITO i loro voto a questa proposta della Bonino.


A dispetto di quel che dice Libero, per me non si tratta di punire i sindacati, ma di realizzare, finalmente, la Costituzione: vuoi i soldi e la rappresentanza? datti delle regole e rispettale, tutto qui.



Qui l'articolo di Libero

lunedì 5 aprile 2010

Un Papa per il PD, conclave semiserio per trovare un sostituto di Bersani

Come la Chiesa cattolica, anche il Partito democratico dovrà cercarsi un papa straniero. Il monito di Ezio Mauro, scolpito su Repubblica, destò scalpore ai piani alti del Partito democratico. Alcuni si irritarono per l’ingerenza di un giornale nella vita del partito. Pier Luigi Bersani, con il suo aplomb piacentino, mormorò: «Non sapevo di essere un papa italico. D’ora in poi, andrò ai comizi in sedia gestatoria».


Ma i più si eccitarono: «Se lo dice Mauro, dobbiamo credergli. Cerchiamolo subito un leader che non venga dalla nomenclatura del partito, né dal vecchio Pci e nemmeno dai surrogati messi in pista dopo il 1989».
Detto fatto, anche sull’onda della sconfitta nelle elezioni regionali, venne formata una commissione riservata, anzi segreta, con l’incarico di prendere in esame le figure papabili. I lavori non dovevano trapelare all’esterno. Ma sappiamo come vanno queste faccende. C’è sempre chi parla. Tanto che il Bestiario è in grado di rivelare i nomi in discussione e il giudizio che ne venne dato.


Si cominciò dallo scrittore Roberto Saviano, molto gradito a Repubblica. Ma venne subito scartato con un verdetto senza appello: «Buono per la scrittura, non per il partito. In più, a causa di sacrosanti motivi di sicurezza, non sapremmo mai dove rintracciarlo». Da Saviano si passò a Michele Santoro: «Lui ci farà diventare comparse di Annozero, per di più senza gettone». Giovanni Floris? «No, stravede soltanto per la Polverini e prima o poi diventerà il suo spin doctor». Marco Travaglio? « Macché, lui vorrà come vice tre pubblici ministeri che scopriranno tutti i nostri altarini».


Il grande politologo Giovanni Sartori? «Troppo pervaso di previsioni cupe. Spedirà sotto terra il morale del partito». Eugenio Scalfari? «Troppo pieno di sé. Ci obbligherà a mandare a memoria tutte le sue prediche domenicali». Furio Colombo? «Troppo collerico. Passerà le giornate a leggere la vita all’intero vertice del Pd. Le sue urla le sentiranno fino alla villa di Arcore e il Caimano ne gioirà». Paolo Flores d’Arcais? «Ma siamo pazzi? È un giacobino sanguinario e metterà su una ghigliottina per segarci». Roberto Benigni? «Bravo comico, ma pessimo politico. Vorrà prenderci tutti in braccio come fece con quel santo di Enrico Berlinguer. Però ci siamo imborghesiti e molto ingrassati. Ci lascerà precipitare a terra uno dopo l’altro: una catastrofe mai vista».


E Fabio Fazio? «Un viso pallido, da gatta morta. E poi la sua spalla, la Littizzetto, non lo farà muovere dalla tivù, sennò il loro giocattolo si rompe». Allora proviamo con uno dei suoi autori, Michele Serra, è un vecchio compagno, che ne dite? «Da quando vive in campagna è diventato uno snob. A noi non ci vede neppure con il binocolo». Il principe Emanuele Filiberto? «È una star nazionalpopolare, ma sta con l’Udc. E poi dovremmo prenderci pure il suo tutore, il magico Pupo».


La commissione segreta era stremata. Dopo esser passata da un candidato fasullo all’altro, non sapeva più che pesci pigliare. Poi uno dei membri ebbe un colpo di genio: «Abbiamo preso in esame soltanto maschi. Perché non pensiamo a una donna? Il Pci, la Dc e tutti i loro discendenti non si sono mai affidati a una femmina. Forse è il momento di rompere una pessima tradizione».


L’esame ricominciò, questa volta dedicato alle signore. Concita De Gregorio, la direttora dell’Unità? «Graziosa, ma prevedibile. Scrive sempre lo stesso editoriale, dei brodetti noiosi». Lucia Annunziata? «Troppo professorale. In più è una sudista, sia detto senza offesa. Per contrastare la Lega abbiamo bisogno di un leader nordista».


Allora proviamo con Lilli Gruber, viene dall’Alto Adige, potrebbe andar bene? «No. È una donna meravigliosa, ma troppo innamorata di se stessa. Il suo 8 e mezzo sembra il boudoir della Signora Marchesa. Tutti guardano soltanto lei e non gli ospiti». La Debora Serracchiani? «È già sparita dalla scena, nessuno se la fila». Bianca Berlinguer? «Grande donna e grande cognome. Ma appartiene alla storia del vecchio Partitone Rosso». Ilaria D’Amico? «È vero che dal calcio è passata alla tivù politica, però è ancora una principiante, sia pure del genere Bellone Prorompenti».


Flavia Perina? «Bravissima, ma sta con Fini ed è una deputata di Berlusconi. Sveglia, compagni, non diciamo bestialità!». Barbara Spinelli? «È una saccente al cubo, si vede che è cresciuta alla scuola di Barbapapà Scalfari». E la Rosy Bindi? Non sarebbe un papa straniero, ma una formidabile papessa, non è così? «Non è così per niente. Si è rovinata a forza di apparire in tivù: sempre vestita di un nero luttuoso, capelli in disordine, petulanza insopportabile, una madre superiora con il frustino!».


La commissione riservata aveva perso tutte le speranze di trovare il Papa giusto. Poi la sera di venerdì 2 aprile, il problema si risolse da solo. La marchesa Gruber aveva invitato nel salottino il professor Massimo Cacciari, sino a qualche giorno prima sindaco di Venezia. Non poteva certo dirsi uno straniero. E non era più un ragazzo, essendo nato nel 1944. Ma si rivelò fortissimo. Spiegò che il Pd doveva pensare a se stesso e non parlare mai più di Berlusconi. Lo fece con una grinta tale da tramortire la Gruber e una bella politologa dalla chioma rossa. Entrambe estasiate.


I commissari segreti esultarono: «Ecco l’uomo giusto al posto giusto». Uno di loro obiettò: «E se Cacciari ci manda a quel paese?». «Pazienza. Non ci resterà che arruolare Pier Ferdinando Casini. Basterà fargli crescere una barba alla veneta. E il gioco sarà fatto!».


Giampaolo Pansa per il Riformista

Finanziamenti pubblici ai giornali: anche “il Fatto” prende i suoi

Come scrive l’autore di seguito, non c’è nulla di male. A patto di non predicare l’opposto di ciò che si fa. Ma questo è sport nazionale, al quale neppure le vergini de “il Fatto” si sottraggono.

Non c'è niente di drammatico nell'appartenere alla famigerata casta dei giornali: purché chi vi appartiene non combatta una battaglia contro la famigerata casta dei giornali. E' il caso de Il Fatto, sotto la cui testata c'è scritto che «Non riceve alcun finanziamento pubblico» anche se non è vero, anzi, è decisamente falso.
Affianco alla citata frasetta, infatti, in piccolo, si legge «Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv. in L.270/02/2004) Art. I comma I Roma Aut. 114/2009» che in lingua italiana significa che il quotidiano, dopo averne fatto richiesta, fruisce delle «tariffe postali agevolate per i prodotti editoriali».
Trattasi dei pure famigerati «contributi indiretti» che riguardano le tariffe postali e che nel caso rappresentano, con quelle elettriche telefoniche, «la fetta più grossa distribuita a tutti i giornali»: la definizione è di una celebre puntata di Report andata in onda il 23 aprile 2006.
Sono agevolazioni di cui può giovarsi chi ne faccia richiesta, s'intende: è, anche, il caso de Il Fatto. Ed è il caso, per fare esempi notevoli, de La Repubblica-Espresso che nel 2004 hanno ricevuto 12 milioni di euro, Rcs e Corriere della Sera 25 milioni di euro, Il Sole 24 Ore della Confindustria 18 milioni di euro, Mondadori 30 milioni di euro.
Restando ai soli abbonamenti, per ogni copia spedita, Il Sole 24 Ore invece di 26centesimi ne spende solo 11. La differenza ce la mette lo stato. Nel 2004, nel caso, ci ha messo 11 milioni e 569 mila euro. Ma questi erano appunto i dati del 2004. E oggi? E, per quanto c'interessa, nel caso de Il Fatto? Dipende dallo scaglione di sconto.
Il quotidiano diretto da Antonio Padellaro vanta 45mila abbonamenti dei quali soltanto ottomila sono cartacei: gli altri - riferiscono fonti interne al giornale - sono tutti online, spediti in formato Pdf. Lo sconto dipende dal peso fisico del giornale, che nel caso è attorno ai 200 grammi e appartiene quindi allo scaglione che prevede uno sconto del 50 per cento; la tariffa di 26 centesimi per copia scende perciò a 13. Ergo, fanno poco più di mille euro. Al giorno.
Calcolando le 312 uscite annuali de Il Fatto (che il lunedì non è in edicola) fanno circa 325mila euro che non vengono pagati e che le Poste si fanno rimborsare dallo Stato, cioè dal contribuente, come si dice. Dai cittadini, direbbe Di Pietro.
E un Beppe Grillo? Come lo direbbe? Più o meno come lo fece il 6 marzo 2008 sul suo blog, mentre preparava il Vaffa-day del 25 aprile successivo: «Berlusconi, De Benedetti, la Confindustria e il salotto buono di Rcs si fanno pagare i costi del telefono, della luce e dei francobolli per le spedizioni. Sono contento. I più ricchi imprenditori italiani lo sono anche per merito nostro. Quando lo psiconano leccherà un francobollo gratis per spedire Panorama, penserà a noi con affetto sincero».
Ora: se Il Fatto fruisca anche di agevolazioni per la luce e per il telefono noi non sappiamo, anche se non stupirebbe né scandalizzerebbe. Ma per i francobolli, come detto, sì, c'è scritto in testata. Padellaro e Travaglio posso ringraziare a loro volta.
Invece si lamentano. Su Il Fatto di ieri, a pagina 10, compare un riquadrino titolato «Un colpo ai giornali» in cui si condanna «la riduzione delle tariffe postali che riguardano 8000 testate».
Cioè: abbattono il grosso dei soldi elargiti alla casta giornalistica (Grillo ci promosse un fallito referendum) e a Il Fatto non sono contenti. Per niente: «L'intervento», si legge, «cancella i 50 milioni di euro di rimborsi alle Poste e rischia di incidere anche sui costi degli abbonamenti in corso, penalizzando i gruppi che si affidano meno all'edicola».
Esempi da fare? Eccoli: «Il Sole 24 Ore o Italia Oggi». Basta. Il Fatto dimentica di citare Il Fatto. E Marco Travaglio, probabilmente, spera che qualche grillino dimentichi ciò che disse lui stesso arringando la folla del 25 aprile 2008, quando tuonò contro i finanziamenti all'editoria (tutti i finanziamenti all'editoria) pur scrivendo sull'Unità che percepiva dei contributi diretti milionari, allora come oggi. Ora invece scrive su Il Fatto, che i contributi li percepisce indiretti. E ha un bel contratto con la Rai, pagata con il canone.
Filippo Facci per Libero

venerdì 2 aprile 2010

Qui si insultano i preti, e si difende il ministro Alfano

IO sono un privato cittadino, posso dire tutto quel che voglio sui preti.
Posso dire che li considero tutti dei pedofili in fieri e che reputo la Chiesa Cattolica un’associazione a delinquere, anche perché io posso finire un tribunale a risponderne.
Un Magistrato della Repubblica invece deve pesare le parole col bilancino.
Perché la toga gli dà un potere straordinario, quello di seminare il dubbio nelle menti delle persone, e perché tanto i giudici non rispondono MAI dei loro atti.
Per questo un giudice non dovrebbe rilasciare interviste di sorta ma parlare solo con le sentenze.
Il principio vale quando un giudice piscia fuori dal vaso con Berlusconi, vale quando piscia fuori dal vaso con un povero Cristo qualunque, vale [nonostante tutto] anche quando piscia su un cardinale.

Il giornalismo? la continuazione della guerra con altri mezzi.

Nel Paese della guerra civile continua, quando non crepitano le mitragliette ci pensano le tipografie.
Ed ecco che i due settimanali d’opinione più diffusi, da tempo immemorabile oramai al soldo delle due superpotenze che si combattono sull’italico suolo, vanno avanti in questa lodevole attività a tappeto a ogni numero.
La settimana prima delle elezioni ci aveva pensato l’Espresso, con un numero che era una chiamata alle armi già dalla copertina, che ritraeva un cavaliere photoshoppato per trasformarlo nel clone cattivo dei Visitor (ci sarebbero gli estremi per una querela per ingiuria, ma tant’è).



Ora risponde Panorama, con una storica immagine dalla forbita didascalia:



La nostra stampa è ridotta alla militanza più pura.
Un tempo persino i quotidiani di partito si facevano qualche scrupolo, oramai non resta che dichiararsi d’accordo con D’Alema, per il quale era civile lasciare la carta stampata in edicola… e con queste premesse, che razza di democrazia può essere?