Appare oggi sul Corriere una piccola notizia, che spiega tutto quello che c’è da sapere sulla giustizia del nostro Paese.
Nell’agosto del 2003, un gruppo nutrito di dipendenti dell’aeroporto di Malpensa viene filmato mentre è intento a rovistare nelle valigie dei passeggeri in partenza. Come giusto, i signori vengono rinviati a giudizio per furto aggravato.
Nelle more del procedimento (sono trascorsi solo cinque anni, in fondo, che volete che sia…), SEA, la società che amministra gli aeroporti milanesi e da cui dipendevano tali nobiluomini, decide di licenziarli in massa.
Alcuni di questi non ci stanno: “perché mai bisognerebbe licenziare qualcuno che, addetto allo smistamento dei bagagli, viene sorpreso a rovistare nelle altrui valigie?”, così fanno ricorso al giudice del lavoro.
E oggi, sul Corriere, appare la notizia: uno di questi ha vinto la causa, il giudice del lavoro ha ordinato la reintegrazione del lavoratore perché “SEA non ha indicato gli oggetti del furto contestato e le eventuali denunce dei passeggeri riferite al giorno di cui alla contestazione”.
Ecco, se qualcuno avesse bisogno di capire perché la nostra giustizia è a pezzi e i nostri magistrati sono indifendibili, rifletta su questo piccolo episodio.
Cosa c’è di più grave per un addetto allo smistamento bagagli dell’aprire le valigie altrui? Da quando violare la proprietà altrui, l’altrui intimità e riservatezza (nelle valigie ognuno dovrebbe essere libero di stipare quel che vuole, nei limiti di peso e di legge) è consentito impunemente?
Si tratta di una condotta in sé censurabile, che rappresenta una gravissima violazione della fiducia accordata al lavoratore, la stessa violazione che ci sarebbe se la signora delle pulizie organizzasse dei festini in casa nostra durante la nostra assenza.
Invece, quello che è ovvio per tutte le persone normali (“le valigie altrui non si aprono”) non è altrettanto ovvio in un tribunale della Repubblica e, come in Pinocchio, il furbo va impunito, mentre l’incolpevole viene mazziato.
Tardo sessantottismo, cieca lettura dei codici o condotta obbligata, sono vicende come questa che demoliscono la credibilità della casta togata, non hanno bisogno di detrattori esterni, a rovinarne il rispetto bastano le sentenze.
io dico che invece sia l'eccessivo garantismo ad essere colpevole.
RispondiEliminasarebbe ora di finirla ma vedo che ultimamente si sta continuando ad andare nella direzione opposta
Garantismo?
RispondiEliminaNo, no, il garantismo non c’entra.
Garantismo significa pretendere che il codice di procedura sia rispettato da chi deve applicarlo, che la magistratura faccia il suo lavoro senza inventarsi compiti che non gli sono propri.
Ma qui?
Il giudice del lavoro non doveva mica decidere sulla colpevolezza o meno dei lavoratori.
Doveva chiedersi se ha senso che continui a lavorare come addetto ai bagagli uno sorpreso a rovistare negli altrui bagagli, che poi questi abbia pure rubato o meno, non importa.
E invece è finita come sappiamo: non è un problema di garanzie, ma di buon senso, che oramai s’è perso del tutto.
No, Gabibbo, è il "garantismo", lo stesso per cui Andreotti o altri politici vengono definiti innocenti pure se c'è una sentenza che dice chiaramente che hanno avuto rapporti con mafiosi solo perché dal punto di vista giuridico è caduta in prescrizione. Probabilmente il giudice del lavoro ha applicato delle norme molto strette.
RispondiEliminaIo penso che ci siano magistrati che sbagliano, come ci sono chirurghi che sbagliano, informatici che sbagliano, avvocati che sbagliano, imprenditori, calciatori, ingegneri...
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